Teatro, Teatrorecensione — 12/02/2014 at 11:04

Niente si crea, niente si distrugge ma tutto è “Alchemy”

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FIRENZE – Più che una compagnia sono un movimento, un concetto, non soltanto un modo di interpretare la scena o di stare sul palco. Dici Momix e ti vengono in mente le grandi compagnie internazionale, Stomp, La Fura o il Cirque du Soleil, che ogni anno, anche con più cast, compiono il giro del mondo, in continua tournée, portando le loro meraviglie agli occhi dei cinque continenti, per la meraviglia di iridi e bocche spalancati ad ogni latitudine.

E’ un’abbondante overdose di colori e gesti e suoni e musiche, in un raffinato e concettuale divenire della Natura questo “Alchemy”, il disfarsi, il purificarsi, il diventare sempre qualcos’altro dell’immenso bene che abita il nostro pianeta. In qualche modo è un omaggio alla Terra, a tutto quello che vi è sopra ma anche ad una certa spiritualità che alberga attorno, vicino, che aleggia la bellezza, ma anche la crudeltà del Pianeta, perché la Natura non conosce Bene o Male ma soltanto prosegue e continua il proprio incessante lavoro e lavorio.

Già la scena con la quale si apre il sipario ci mostra, con una preghiera islamica in sottofondo a fare da tappeto sonoro, uno squalo che placido a mezz’aria nuova tra le palafitte lasciate da qualche popolo primitivo. Il mare e le sue creature continueranno anche dopo di noi. Tutto è suggestione alla ricerca dell’emozionante viaggio dentro il “Paradiso Perduto”: scoperta, timore, stupore. Un rosso profondo ancestrale ci conduce fino alla bocca dell’inizio del Tutto, dove Colonne di Atlantide di un mondo sommerso cadono e Dei greci o Ulisse che potente rema, ma anche un Cristo con tanto di croce, o ancora Atlante che si fa carico del Globo sono immersi nelle faccende terrene umane, il Mito che forma, che crea, che sposta, che dirige, che ci aiuta e poi ci consegna, dal Caos, la grande bellezza.

Niente si crea e niente si distrugge, ma tutto si trasforma. Frase migliore non ci poteva essere per delineare le figure che appaiono, sembrano per poi scatenarsi in altri paramenti, in altre disinvolte architetture di un linguaggio universale, onirico, visuale, metaforico, trascendentale. In video, che rende la profondità e la completa apnea dentro gli albori di ciò che eravamo, di ciò che siamo stati e forse di quello che torneremo ad essere (polvere eravamo e polvere torneremo?), gli elementi vitali che compongono il puzzle concreto di tutto quello che ci circonda ed al quale, immischiati in una quotidianità di asfalto e cemento, plastica e smog, non diamo più alcun peso: il legno con i suoi nodi e le sue vene che sembrano scritte eterne, le radici che vanno orgogliose come talpe cieche in fondo alle viscere ad agguantare l’ultima goccia possibile. La vita vince su tutto.

Si affastellano sotto il grande ventaglio-bandiera, che copre e svela prima un fossile che subito dopo assume le forme di un cervello umano, il pensiero, le sinapsi, le connessioni; in un attimo appaiono animali e bestie mitologiche come le Gorgone fino ad un Sole esploso ed esplosivo in un pantano nucleare che rimbalza su stalattiti solide, appuntite e gelate. La fine è comunque un nuovo inizio. E’ il miracolo della vita che si esplica, per noi poveri mortali, nella nascita, in donne che portano in loro future gambe e pensieri, e tutto l’infinito compreso e compresso dentro un piccolo uomo che uscirà a riveder le stelle.

Se la prima parte era più terrena, nella seconda è l’Universo e lo Spazio ad interessare l’uomo che considera ormai troppo stretto il suo pianeta e, curioso, s’imbatte e si cimenta alla conquista del profondo nero, nella conoscenza dell’imperscrutabile. Dopo tutto riprende nell’incredibile girandola e giravolta del Tempo e dello Spazio con la rinascita dei fiori, dei bozzoli. Non siamo finiti, non siamo infiniti, ma facciamo parte di un processo evolutivo senza fine. Chiamalo Dio.

Non siamo soltanto ingranaggi del motore ma siamo pistoni fondamentali, la cui missione principale è vivere. Una decina di giovani danzatori-atleti-acrobati dai corpi scolpiti si incastrano in un gioco di attimi e precisione, di millimetri e secondi. Tecnica e cuore. Una piece zen, che potrebbe essere stata disegnata da Osho, che sicuramente Tiziano Terzani avrebbe approvato.

 

Alchemy”, Momix, uno spettacolo creato e diretto da Moses Pendleton, assistito da Cynthia Quinn, first assistant Tsarra Bequette, Dajuan Booker, Autumn Burnette, Jonathan Bryant, Arron Canfield, Jennifer Chicheportiche, David Dillow, Simona Di Tucci, Eddy Fernandez, Rory Freeman, Jon Eden, Vincent Harris, Morgan Hulen, Catherine Jaeger, Jaime Johnson, Jennifer Levy, Elizabeth Loft, Nicole Loizides, Steven Marshall, Anila Mazhari, Emily McArdle, Danielle McFall, Graci Meier, Sarah Nachbauer, Quinn Pendleton, Rebecca Rasmussen, Cara Seymour, Matt Shanbacher, Brian Simerson, Ryan Taylor, Evelyn Toh. Co-direttore Cynthia Quinn, disegno luci Michael Korsch, disegno costumi Phoebe Katzin, Moses Pendleton e Cynthia Quinn, realizzazione costumi Phoebe Katzin, assistita da Beryl Taylor, Linda Durovcova, Kimberly Lombard, proiezioni video Moses Pendleton, montaggio video Woodrow F. Dick III, collage musicale Moses Pendleton, montaggio musicale Andrew Hansen, direttore tecnico Gianni Melis, direttore di scena Fabrizio Pezzotti. Con: Tsarra Bequette, Jennifer Chicheportiche, Catherine Jaeger, Rebecca Rasmussen, Evelyn Toh, Arron Canfield, Eduardo Fernandez, Vincent Harris, Steven Marshall, Ryan Taylor. Visto al Teatro Verdi, Firenze, l’11 febbraio 2014.

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