A Eduardo De Filippo piaceva giocare con gli equivoci all’interno delle opere teatrali. Le voci di dentro non è però una commedia dell’equivoco, ma una commedia umana che racconta la crisi valoriale del secondo dopoguerra. Crisi che senza velleità anacronistiche è ancora attualizzabile nel contesto contemporaneo, talmente tanto da rappresentare un incubo ad occhi aperti. L’inconscio infatti che si palesa attraverso i sogni è al centro di tutta la drammaturgia. Preceduta dal sogno premonitore della cameriera Maria e dal sonno senza sogni del portiere Michele, la storia ruota intorno ad un giallo, in cui Alberto Saporito (un magistrale Toni Servillo), organizzatore di feste popolari che vive con il fratello Carlo (Peppe Servillo, fratello nella vita e sul palcoscenico) e con Zi’ Nicola, è il testimone di un efferato omicidio perpetrato ai danni di Aniello Amitrano, sedotto e sgozzato dalla famiglia Cimmaruta, famiglia rispettabile e conosciuta che abita nello stesso palazzo. In qualità di testimone Alberto afferma di conoscere il luogo in cui la famiglia tiene nascosti i famosi documenti che potranno confermarne la colpevolezza, ma nel momento esatto in cui inizia la ricerca, che poi si rivela vana, lui stesso si accorge di avere commesso un errore e di avere sognato tutto. L’equivoco quindi finisce per moltiplicarsi all’infinito e per produrre una catena di guai, che coinvolgono Alberto stesso e il fratello.
Nel secondo atto si consuma una classica carovana da sceneggiata napoletana. La scena si sposta dalla casa dei Cimmaruta a quella dei Saporito e anche la scenografia cambia leggermente. Dal bianco iniziale la parete di fondo rivela un secondo fondale, in cui ad una catasta di sedie legate le une alle altre fa da contraltare la palafitta su cui vive Zi’ Nicola, personaggio sui generis e definito “stravagante”, che ha deciso di chiudersi in un mutismo ad oltranza nei confronti di un mondo che pur avendo le orecchie per sentire, si rifiuta però di ascoltare. Mentre Zi’ Nicola con i suoi versi pirotecnici, motivo per cui a Napoli tutti lo chiamano Sparavierze, ha scelto la via della non comunicazione verbale, gli altri personaggi si perdono e perdono anche la propria coscienza in una sequenza di parole inutili, in cui non solo forniscono a turno una diversa ricostruzione dell’omicidio ma addossano anche la colpevolezza a turno su ciascun membro della famiglia. Ne deriva quindi che tutti risultano incriminati: la zia Rosa che fabbrica clandestinamente saponi e candele in casa, il nipote Luigino, la signora Matilde, che da brava chiromante seduce i propri clienti e Don Pasquale, che ha il vizio del gioco. Qual è dunque la verità? Quella che ha riferito Alberto, che ha ritrattato la propria versione dei fatti o quella dei personaggi, che non si fanno scrupoli ad incolpare i vari membri della famiglia? O ancora la verità che si formerà il pubblico?
La spiegazione dell’evento viene fornita, miracolosamente, dal morto Aniello Amitrano, che ritorna dall’oltretomba come un moderno fu Mattia Pascal pirandelliano, giustificando la propria assenza dalla città con la visita ad una zia malata. Come avrebbe dunque detto Zi’ Nicola, ecco che le parole profuse da ciascun personaggio per scagionare se stesso ed incolpare l’altro, si sono rivelate alla fine inutili. Lo spettacolo quindi si presta a tante possibili letture anche alla luce della recente cronaca. Toni Servillo è molto abile ad accarezzare e caratterizzare i suoi personaggi-attori, ma aldilà della bravura diffusa di tutta la compagnia c’è molto altro. La testimonianza di Alberto si spinge oltre la carta dei documenti probatori per affermare che la crisi culturale non è sotto gli occhi di tutti a differenza di quella economica, ma scava in profondità come quel verme del sogno di Maria.
Chi siamo dunque noi per scagliare la prima pietra? Quello a cui assistiamo quotidianamente, senza rendercene conto, è una desertificazione dei valori, tanto che molti, come il personaggio di Michele, non riescono più ad avere sogni in santa pace. E questo perché? Eduardo mette giustamente la risposta in bocca ad Alberto: perché siamo tutti degli assassini, disposti a mettere il delitto dentro il bilancio famigliare al momento opportuno, a stare sempre sul chi va là. “La stima l’abbiamo uccisa…E vi sembra un assassinio da niente?” dice Alberto quasi alla fine dello spettacolo. Senza la fiducia anche le parole sono soltanto rumors e lo sono talmente tanto che non siamo nemmeno più in grado di vivere e di guardarci in faccia. Però, così è, se ci pare.
Visto al Metastasio di Prato il 13/02/2014
Le voci di dentro
di Eduardo De Filippo
regia Toni Servillo
scene Lino Fiorito
costumi Ortensia De Francesco
luci Cesare Accetta
suono Daghi Rondanini
assistente alla regia Costanza Boccardi
con Betti Pedrazzi, Chiara Baffi, Marcello Romolo, Lucia Mandarini, Gigio Morra, Peppe Servillo, Toni Servillo, Antonello Cossia, Vincenzo Nemolato, Marianna Robustelli, Daghi Rondanini, Rocco Giordano, Maria Angela Robustelli, Francesco Paglino
produzione TEATRI UNITI / PICCOLO TEATRO DI MILANO – TEATRO D’EUROPA / TEATRO DI ROMA