LECCE – Ha addosso un cappotto verde. Si posiziona al centro della piazza, sale sul suo sgabello, come si usa fare ad Hyde Park, e lì comincia. Parla dentro il suo piccolo megafono e richiama la folla che passeggia. Il suo è un richiamo da Pifferaio magico. Qualcuno timido arriva, si avvicina a questo strano tizio che racconta su una cassetta di legno sopra la quale campeggia la scritta “Attore al lavoro”. Ippolito Chiarello è interprete pugliese con decine di esperienze teatrali al proprio attivo, dai Cantieri Koreja fino all’ultimo lavoro per la regia di Barberio Corsetti sul Mahabharata.
Il teatro classico, il teatro di compagnia, il teatro di giro. Quello che non ti realizza, che dopo alcuni anni non ti soddisfa più, che non ti fa esprimere a pieno, che non riesce a far scoccare la scintilla su quel fuoco sacro che avevi quando sei entrato in Accademia. Chi sta fuori dalle grandi compagnie vorrebbe entrarci, chi sta dentro vorrebbe fuggirne. Il punto dolente è sempre però il mercato, la produzione prima, la distribuzione poi. E quando Ippolito aveva messo a punto il suo spettacolo “Fanculo Pensiero” si è trovato molti “vedremo”, tanti “no” e parecchie porte chiuse in faccia.
Dopo lo sconforto iniziale comprensibile la ribellione necessaria successiva. Se non mi fanno fare il mio lavoro dentro, lo farò fuori. E così Chiarello comincia nel 2010 a chiedere il permesso per occupazione di suolo pubblico, paga la Siae ed i diritti d’autore ed esercita il suo diritto a fare quello che gli riesce meglio: raccontare storie alla gente. Inizia così il suo cammino, il suo peregrinare che lo ha portato a toccare le quasi trecento repliche in tutta Italia e capitali europee come Madrid e Barcellona, Londra, Parigi, Berlino il tutto documentato nella pellicola “Ogni volta che parlo con me”, diretta da Matteo Greco che, in forma di fiction e non di docufilm, ripercorre l’esperienza di quest’uomo che si è lasciato alle spalle la sua vecchia vita ed ha intrapreso un nuovo cammino.
Un progetto multisfaccettato e variopinto, interessante ed “esportabile” definito “Barbonaggio Teatrale”: la storia che porta in scena nelle piazze è tratta dal romanzo omonimo e autobiografico di Maksim Cristian, un manager che un giorno decide francescanamente di lasciare beni ed averi e di mettersi in marcia verso una meta non ben precisata. C’è la rivolta interiore al sistema che tutto schiaccia e trafigge e rende poltiglia e gli uomini automi con compiti da organizzare e mansioni da portare a termine, c’è lo slow in contrapposizione al fast, c’è il tempo da tornare ad impadronirsi, ci sono i rapporti umani da riconquistare, i volti e gli occhi da incrociare, c’è la vita da uomini alla quale riconnettersi tralasciando la patina meccanica nel vortice di impegni inutili, che crediamo ineludibili ed importantissimi.
“Se hai fatto una cosa che non ti piaceva ieri e se l’hai fatta anche oggi, non sta scritto da nessuna parte che tu la debba fare anche domani”. Cambiare si può. Un altro mondo è possibile. Un mondo fatto di persone più realizzate e soddisfatte, meno nervose, che meno devono appigliarsi agli psicofarmaci per essere ciò che non vogliono essere, che si devono mettere la maschera ogni mattina prima di uscire di casa. Un mondo fatto di relazioni dal vivo e non virtuali, più mani da stringere ed abbracci da scambiare che messaggi da condividere ognuno con il proprio smart phone. La somma di singoli individui più contenti formano una società più sana. Più sorrisi e meno frustrazioni. Viene in mente la ballata “Todo cambia” cantata da Mercedes Sosa che Nanni Moretti inserì a chiusura del suo film-presagio “Habemus Papam”.
Ma sono infinite le letture. Il fatto che Chiarello quando è in piazza distribuisca al pubblico formatosi spontaneamente di fronte a lui un volantino con la sua piece divisa in undici scene, ognuna, come in un menù di ristorante, associata ad un prezzo, dai 3 ai 15 euro, che la platea può comprare per sentirsela raccontare e che la somma totale del costo dei vari quadri sia 65 euro, cioè la paga minima sindacale dell’attore scritturato, anche questo è motivo di riflessione, approfondimento ed analisi. Nel lavoro di Ippolito, nel portare il teatro fuori dal teatro e nell’andarsi a costruire il pubblico che tendenzialmente e mediamente non va a teatro, esiste una forte critica al sistema e ai meccanismi che governano il mercato degli scambi e della vendita degli spettacoli. Chiamare rivoluzionario il progetto di Chiarello, nel suo rinfrescare l’usanza consolidata degli aedi che andavano di piazza in piazza e di cortile in cortile, non è esagerato.
Tanto che si è formato, attorno al suo carisma, un vero e proprio movimento partecipativo di attori, i “Barboni Teatrali”, che hanno seguito il suo esempio e che adesso, con le stesse modalità e lo stesso format, portano in giro i loro spettacoli divisi in scene comprabili. Non si tratta però di semplice spettacolo di strada dove l’artista esegue il proprio numero e poi a cappello riceve dagli astanti un corrispettivo ad offerta libera. Qui l’attore non ha un esercizio da mostrare ma la sua arte declinata in un testo strutturato con tanto di regia. Un lavoro fatto con dignità e proprio per questo rispettabile. E’ il pubblico, in stretta vicinanza, che, come se avesse un telecomando in mano e facesse zapping, può scegliere, pagando come fosse una pay per view, il pezzo che più lo incuriosisce.
Anche per quanto riguarda il finanziamento dell’intero progetto Chiarello e compagni hanno attuato una ricerca dal basso con un crowd funding popolare, un azionariato di persone comuni e alcune residenze teatrali pugliesi che hanno anticipato 500 euro a testa, la Rete dei Teatri Abitati in collaborazione con l’Apulia Film Commission, e che nella prossima stagione avranno sia il film che lo spettacolo nei loro cartelloni. Si può vedere il barbonaggio come un’ulteriore dimostrazione che con la cultura ci si può mangiare. A livello filosofico ed esistenziale invece si può dire che cambiare è sempre possibile e che si può scendere in qualsiasi momento da un treno in corsa la cui stazione di destinazione non ci soddisfa.
Nella pellicola c’è il camminare, le suole, i passi, l’asfalto, le scarpe ed i tacchi come un Cammino di Santiago laico, una via crucis, ma verso la liberazione, una via Francigena per scoprirsi più forti, ma anche il peregrinare di Don Chisciotte. E’ una riflessione sul lavoro, sul non stare a lamentarsi e sul rimboccarsi le maniche, sul puntare sulla propria voglia di fare e sul proprio mestiere, sul crederci fino alla fine, sul non mollare mai, sul mai farsi abbattere dagli eventi negativi. Perché c’è una bella e sostanziale differenza tra il mestiere, cioè quello che si sa fare, ed il lavoro, quello che si deve fare. “Bisogna partire perché capita, partire per un luogo che non abbia indicazioni per il ritorno”, dice il protagonista senza meta perché la meta è interiore. E sui passi di questo personaggio che cammina dentro la propria coscienza i fondali dell’Arco di Trionfo o di Westminster, del Louvre o le proteste degli Indignados spagnoli, il Big Ben. “Scegliere è facile, ricordarsi la scelta è difficile”.
Ed in qualche stralcio ci ricorda qualche libro di Giuseppe Culicchia oppure il monologo celebre di “Trainspotting”, la frase finale sulla solitudine e sulla condivisione di “Into the wild”, il ritornello di “Desolato”, l’ultima canzone, postuma, di Jannacci. La domanda di fondo, da chiedersi, è: “Io, che cosa voglio fare?” e se dentro di noi qualcosa balbetta e prende tempo, cede e scricchiola allora è il momento di dare una sterzata, di invertire la rotta, che tempo e spazio per cambiare, ed essere felici, c’è sempre. Non dobbiamo essere annoiati, abbiamo una sola vita a disposizione. Nel progetto di Chiarello confluiscono idee equo e solidali, istanze eco sostenibili, scelte ambientaliste per una condotta di vita più pulita e trasparente possibile. La ricerca della felicità ecco che cos’è il barbonaggio, l’andare, il confrontarsi, il parlarsi, il conoscersi. Ogni grande viaggio comincia con un piccolo passo, diceva il saggio.
La frase: “Imparare ad avere paura per smettere di avere paura”.