«Potevo essere anch’io, forse, un grand’uomo, Contessa. Mi sono dimesso. Dimesso da tutto: decoro, onore, dignità, virtù, cose tutte che le bestie, per grazia di Dio, ignorano nella loro beata innocenza. Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria, piena di sole o di nuvole, aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti, superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze. Guardiamo alla terra, che tristezza! C’è forse qualcuno laggiù che s’illude di star vivendo la nostra vita; ma non è vero. Nessuno di noi è nel corpo che l’altro ci vede; ma nell’anima che parla chi sa da dove; nessuno può saperlo...»
(Cotrone dal terzo atto de I Giganti della Montagna di Luigi Pirandello)
CASTIGLIONCELLO – “Mito incompiuto”, mito originato dalla fantasia da cui scaturisce la favola e il sogno. Quale strumento più adatto del teatro per far si che possa rivivere sulla scena e nella vita moderna, in cui l’uomo d’oggi è protagonista? L’arte da cui origina si eleva a rappresentazione e allo stesso tempo si interroga, si contraddice, nel tentativo illusorio di esprimere l’inesprimibile. Terzo dei miti moderni, I Giganti della Montagna di Luigi Pirandello, rappresenta il mito dell’arte, rimasto incompleto per la scomparsa del suo autore. Opera ascritta al periodo surrealista del drammaturgo e quindi opera di pura fantasia, incubatore di allucinazioni oniriche. Densa di significati simbolici, quest’opera spiega come Pirandello, nell’ultima fase della sua vita, attraversasse una profonda crisi per la sua arte, rivelando attraverso i personaggi stessi che animano i Giganti, l’ impotenza nell’affrontare la realtà, portandoli, di fatto, ad un isolamento esistenziale ancor prima di aver provato a reagire per non esserne sopraffatti.
Una sconfitta stessa della sua arte rispetto alla vita in bilico tra realtà e sogno. L’incompiutezza del testo ha catturato l’attenzione di un protagonista assoluto della scena del teatro contemporaneo, giunto ad una maturazione artistica che vede Roberto Latini protagonista di una versione del tutto originale e metafisica de I Giganti della Montagna, ancora in fase di evoluzione e definita come un’anteprima di materiali. Un debutto nazionale al Festival Inequilibrio di Castiglioncello, in cui la sua presenza come interprete unico si rendeva necessaria causa l’infortunio occorso a Federica Fracassi, sua partner in scena. Un atto di coraggio e di senso della professionalità a cui l’artista non ha voluto sottrarsi per “onorare l’invito di un Festival a cui teniamo moltissimo e che tanto ha dato alla nostra compagnia. Cerchiamo di ricambiare anche nell’evidenza di un’impreparazione pensando che qui possiamo condividere una fase del lavoro (…) e abbiamo deciso quindi di presentare scene dello spettacolo che verrà e di farlo in forma di materiali”.
Definizione di uno studio in divenire di cui non potremmo che attenderne l’esito finale ma che nel frattempo resta segno tangibile di un’esperienza di totale appagamento sensoriale, e perché no, emotiva. Latini ci offre una lettura dove ci si immerge nella piena totalità per lasciarsi trasportare dal flusso continuo di visioni oniriche: quasi fossero proiezioni del nostro inconscio. Lampi che squarciano il buio della nostra mente segnata da una condizione di instabilità nei confronti della vista stessa. Pirandello credeva in un’arte come “specchio della vita” senza riuscirci e il rifugio consolatorio nel surrealismo porrà fine alla sua esistenza terrena. La trama racconta di una compagnia di attori che giunge dopo lunghe peregrinazioni in un tempo e luogo indeterminati – al limite fra la favola e la realtà – , in una villa chiamata “La Scalogna”.
La contessa Ilse (proiezione che rappresenta l’autore stesso), è la prima attrice e capocomico di una compagnia di attori segnati dalla miseria e povertà, condizione atavica di chi vive da sempre nell’effimero mondo dell’arte e nella difficoltà di andare in scena con il proprio spettacolo. Nella villa abitano personaggi grotteschi tra cui Cotrone chiamato il Mago per via delle sue doti di preveggente. Un indovino che sembra conoscere in anticipo le cause del fallimento artistico della Compagnia della Contessa. Metafora che intreccia un’aspirazione destinata a soccombere per l’impossibilità stessa del rapporto antitetico venutosi a creare fra arte e vita, realtà e sogno, condizione drammatica e interiore vissuta dallo stesso Pirandello nell’affrontare le sue ultime opere drammaturgiche. Ilse deciderà di andare a recitare altrove la Favola del figlio cambiato (dello stesso Pirandello) dove viene richiamato il principio di teatro nel teatro. Cotrone decide di accompagnare la compagnia dai “Giganti della montagna”, i detentori del potere e produttori di ricchezze. L’esatto opposto degli artisti “morti di fame”.
Il loro rifiuto di accogliere la rappresentazione farà si che Ilse non compresa, morirà uccisa dal dolore o per mano dei servi dei Giganti, unici spettatori incapaci di comprendere il messaggio poetico e d’amore proteso verso chi non accetta logiche illusorie di bontà e fede a fronte di ben altri scopi materiali e di profitto. Ritratto impietoso di una società che si nutre solo di ideali cinici e perversi in cui l’Arte non potrà mai soccombere. Roberto Latini si addentra nella storia partendo dalla relazione iniziale che si viene ad instaurare tra Cotrone e Ilse, accentrando su di sé i due ruoli con un senso della misura efficace da non subire nessuna conseguenza, rispetto alla drammaturgia originale studiata insieme a Federica Fracassi.
Le sua apparizioni in scena sono anticipate da atmosfere rarefatte dilatate. Il nero domina come una cappa pesante e avvolge la figura ieratica dell’attore, da cui sgorgano le parole enfatizzate come suoni provenienti da mondi lontani e misconosciuti. Appaiono gradualmente filari di spighe di grano dorate, quasi a simboleggiare il ventre stesso della terra madre da cui si origina la vita stessa, omaggio al Libro della Genesi: “Polvere sei e polvere tornerai. L’uomo è sulla terra per coltivare, per costruire e per morire” ( 2,5). Morte e Risurrezione. C’è un profondo rispetto della poetica in cui Latini si offre come cantastorie e narratore di un travaglio esistenziale che ci appartiene e da cui sembra impossibile affrancarsi. Generoso nella completezza espressiva che gli appartiene da sempre, l’artista sceglie di caratterizzare con immagini visive il senso del tempo che scorre inesorabilmente come il cielo attraversato da nuvole nel loro scorrere senza fine.
Un caleidoscopio di colori avvolgono la sua ombra che appare e scompare, la luce calda che ammanta la scena per farsi rapire dalle tenebre bluastre e lattiginose. Bolle di sapone scendono dall’alto per alimentare un sogno, un parto della fantasia, un inebriamento dei sensi visivi. Roberto Latini sembra dirci che vivere e condividere il Sogno si possa vivere liberi dalle miserie umane, dal dolore e dalla sofferenza. E quando cala la quiete e la pace ecco che lui stesso nell’ultima scena si trasfigura passando dalla condizione di uomo a statua vivente; un corpo nudo svelato che sembra ricordare il personaggio Gollum dal Signore degli Anelli, fino alla traslazione finale che lo fa diventare un spaventapasseri e il suo lento reclinare del il capo, al centro del campo di grano, fa calare la tela. Tra i personaggi dei I Giganti, Cromo nel ruolo di un caratterista, Pirandello gli fa dire: “Fuori di noi! Stiamo sognando! Avete capito? Siamo noi stessi, ma in sogno, fuori del nostro corpo che dorme là”. E tutto pare un sogno da cui è difficile risvegliarsi nell’ineluttabilità di qualcosa a cui non si può sfuggire, e che pure affrontandolo, non si può vincere. Si chiama destino.
I Giganti della Montagna atto I
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Roberto Latini
con Roberto Latini
senza Federica Fracassi
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
assistente alla regia Lorenzo Berti
collaborazione tecnica Marco Mencacci
realizzazione elementi di scena Silvano Santinelli
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi Festival Orizzonti . Fondazione Orizzonti d’Arte, Emilia Romagna Teatro Fondazione
estratto da I Giganti/Roberto Latini
Visto al Festival Inequlibrio di Armunia a Castiglioncello il 4 luglio 2014