SOLLICCIANO (Firenze) – Quando, da molto tempo , ti rendi conto che aver da sempre frequentato in Toscana i lavori teatrali all’interno dei carceri di Pisa, Volterra Firenze, Arezzo, Prato e da ultimo Pistoia, e i tentativi fruttuosi, secondo una politica della Regione, nata col progetto Porto Franco nel 1999. Un’idea lungimirante, legata alla consapevolezza e necessità dell’integrazione politica sociale e culturale, fra diverse identità geopolitiche in virtù della logica che tutti noi, migranti e cittadini, abbiamo bisogno degli altri. Cadiamo o possiamo cadere vittime nella rete del Gatto e la Volpe, incontrare il lavoro di Elisa Taddei, è stato cartina di tornasole rivelatrice di una sia pur aspra sensibilità comune.
La Taddei è giovane regista, che senza dubbio ha esplorato su di sé il coraggio delle donne ed artiste, fino ad intercettare nella sua formazione professionale, nientemeno che Iben Nagel Rasmussen (attrice storica dell’Odin Teatret)- oggetto della sua tesi di laurea al Dams di Bologna, per poi lavorare con detenuti a Bologna alla Casa circondariale di Dozza. Torna alla memoria il ricordo di una Casa del Popolo con accanto l’osteria, con le urla, le grida del cosiddetto “popolo”, nei dintorni di Castiglioncello, dove il “ Kohlhoass” di Baliani che ha aperto strade ben oltre quella che poi sarebbe stato definita di teatro di narrazione, si può comprendere perché certe strade si riconoscano.
Un’altra traccia di memoria si affida al trimestrale storico Il Grande Vetro di Santa Croce sull’Arno dove raccontammo dal carcere di Sollicciano i racconti di chi in quel luogo aveva provato a far raccontare le storie dei detenuti, percependo come il terreno culturale di questo Paese attraverso la forma teatro, può essere ancora uno spazio di condivisione di intelligenza, memoria e risorsa essenziale anche e ancora del far politica e di produrre senso e conoscenza.
Il progetto di Elisa Taddei nasce nel 2004 col suo gruppo Krill approvato dal Coordinamento Teatro e Carcere entro le mura di Sollicciano, nel comune di Scandicci con il sostegno della Fondazione Carlo Marchi che opera ”per la diffusione della cultura e del civismo in Italia”.
Questa versione di Pinocchio #2 ( in occasione dei festeggiamenti del decennale di presenza e produzione di spettacoli del Krill) ha visto coinvolti due generazioni di detenuti, i giovani e gli anziani, i padri e i figli, due gruppi distinti che hanno lavorato drammaturgicamente all’interno dei laboratori che precedono l’ allestimento. Fra Geppetti e Pinocchi- padri adottivi anzianotti e figli un po’ degeneri, circola un’aria viziata stracarica di umori che ricalcano non solo il naturale gap generazionale, che tutte le generazioni passate hanno più o meno sperimentato, ma si alimenta di un humus contemporaneo nella nostra società italiana: quella della novità di chi si interroga, da adulto più o meno consapevole, sulla sostanza dei propri figli legittimi o meno, sulle sorti umane e progressive del proprio lascito spirituale e culturale.
Se i parametri antropologici e psicologici archetipici, sono più o meno gli stessi di sempre che hanno attraversato il climax della nostra cultura occidentale, la Taddei sembra aver scelto una linea di pensiero che attraversa e contagia le diverse anime che ribolliscono nell’osservatorio comune; materia peculiare dei nostri tempi, meticciati, confusione di ruoli, fine definitiva del ruolo tradizionale della famiglia italiota, con conseguente perdita di identità fra padri, madri e figli. Non a caso nella scrittura drammaturgica sono entrate schegge di brani tratti da La pecora nera di Ascanio Celestini e da Gli sdraiati di Michele Serra, due intellettuali di generazioni diverse entrambi attenti ai cambiamenti.
Non a caso gran parte fra Pinocchi e Geppetti della Compagnia del Carcere di Sollicciano hanno nomi stranieri ( mentre il progetto Krill è stato anche contaminato dalla collaborazione di un gruppo di studenti disabili del Liceo Artistico di Porta Romana, centro cool della fiorentinità). Lo spettacolo gira veloce, dinamico nelle due apparentemente semplici varianti dei vecchi e dei giovani, ripercorrendo a volo d’uccello le straordinarie suggestioni collodiane. Semplici ma estrosi i costumi e le maschere tutti rigorosamente poveri. Ed in finale si appalesa la Fata Turchina, unica che da leggio non fa morali ma prova a ricucire, solo come le donne sanno fare, ciò che nella vita conta davvero.
Pinocchio#2 Scena Padre regia di Elisa Taddei
Visto a Sollicciano-Firenze il 27 giugno 2014