Teatro, Teatrorecensione — 23/07/2014 at 09:33

Poco burlesca l’operetta: la sofferenza e la liberazione

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SAN GIMIGNANO – I rimandi sono quelli classici, riconoscibili. Lo stile inconfondibile è fortemente quello di Emma Dante, certamente, i temi di fondo gli stessi che legano il lungo lavoro drammaturgico e scenico dell’autrice e regista palermitana. Questo “Operetta burlesca”, che soffre del confronto con “Le sorelle Macaluso” sfornati nello stesso periodo, ripercorre il filone legato non tanto all’omosessualità ma quanto alla non accettazione del diverso da parte di quella società civile borghese e benpensante che colpisce, mette all’indice, inchioda in nome dei valori della cosiddetta “normalità”. La Dante ci ha abituato a questo tipo di analisi da “Michelle di Sant’Oliva” passando per “Le pulle”, fino alla “Rosaspina”.

Operetta 4
Qui però si va dritti per dritti al punto, al nocciolo della questione, senza scarti, senza scossoni senza quel lato psicologico, quel ribaltamento efficace, quella spina nel fianco dello spettatore, quello spaesamento, quella distruzione dei luoghi comuni. Il tragitto è lineare, il tratto in qualche modo prevedibile. Un figlio (Carmine Maringola riesce ad esprimere dolcezza e frustrazione, debolezza e ribellione con naturalezza e decisione), famiglia palermitana ma trapiantata a Napoli, che negli intenti del padre avrebbe dovuto prendere il suo posto nella pompa di benzina (riferimenti fallici e sessuali) e che invece preferisce indossare tacchi a spillo e non rovinarsi le mani con il grasso e non avere le unghie nere di fuliggine e gas di scarico. Sul fondo ondeggiano quattro bambole gonfiabili che sbattono al vento e, immagine ancora più corrosiva e poderosa, appaiono come impiccati in una esecuzione di piazza.

operetta burlesca
Ci sono i cliché del macho: brillantina e smoking ed atteggiamento tronfio ed aggressivo, ci sono i mantra del travestitismo: boa di struzzo, paillettes, strass. Mondi che entrano inevitabilmente in conflitto ma che hanno, entrambi, bisogno dell’esistenza l’uno dell’altro per autoalimentarsi. Bambole sullo sfondo come danzatrici di carillon sono questi corpi a metà strada, accettati soltanto al buio o al riparo dagli occhi giudicanti. Un universo che ricorda quelli di Gabriella Ferri o Mia Martini, i femminielli volterrani dei pezzi della Fortezza di Punzo, le “Cinque rose di Jennifer” di Ruccello, tra risate sguaiate, eccessi fisici e caricaturali.

Operetta 3
Sul proscenio una fila-barriera di scarpe appuntite sfavillanti e sfolgoranti con tacchi vertiginosi e parrucche luccicanti per trasformarsi, diventare quello che dentro si è sempre sentito di essere. Il figlio si spoglia e si veste da donna, mentre la sua parte femminile (Viola Carinci in una danza sensuale mai volgare) segue il percorso contrario. La gioia esposta e carnale fa da contrappeso ad una tristezza piena, i balli smodati sono il contrappasso al tragico consapevole ed all’idea di sconfitta e fallimento alla quale non si vuole comunque cedere e chinare la testa rassegnandosi ed arrendendosi, le piume leggere ed i coriandoli volatili non salvano, il deodorante sparso e spruzzato nell’aria come arma di disinfestazione, ddt, o difesa, creazione di una bolla inaccessibile e protettiva. La trasformazione è in atto in lui/lei, lei che era lui è finalmente libero/a, in questa nuova condizione. Ma in definitiva libero da cosa? Dagli altri o da se stesso?

“Operetta burlesca”, testo, regia, scene e costumi: Emma Dante. Con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola. Coreografie Davide Celona. Luci Cristian Zucaro. Produzione Sud Costa Occidentale. Visto al festival “Orizzonti Verticali”, San Gimignano (Siena), il 19 luglio 2014.

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