ANGHIARI – Il Teatro Povero di Monticchiello, il Bruscello di Montepulciano, la Tovaglia a Quadri di Anghiari. Che cosa hanno in comune questi tre paesi oltre al fatto di essere in terra toscana, tra Siena ed Arezzo? La storia certamente, ma anche quella consapevolezza che, attraverso il teatro, declinato in tre maniere differenti con l’unica radice popolare e paesana, fa di un comune una comunità, che attraverso la condivisione di un gioco serio, qual è il teatro, con il suo divertimento e le sue regole, si possa, grazie a quelle qualità invisibili ed astratte, intangibili e volatili, costruire un percorso stretto di vicinanza, di solidarietà, di comunanza di valori. Ecco che cosa può fare il teatro, legare ed avvicinare attorno a temi caldi e profondi e sentiti, intorno ad argomenti sensibili del recente passato come del presente pressante, essere e farsi, nuovamente, come alle origini, agorà di pensiero e riflessione, certo anche di svago ed intrattenimento culturale con un occhio sempre ben attento all’oggi, al suo farsi, al suo divenire, ai cambiamenti in atto che le persone del luogo percepiscono e toccano con mano.
In una parola sola questo tipo di teatro, ma tutto il teatro in generale, è necessariamente politico, raffrontandosi, rapportandosi e riappropriandosi della polis, dagli aneddoti alle storie nascoste, dai calambour e gramelot dialettali che demarcano campanilismi ed aree geografiche alle ferite ancora aperte, dai volti scomparsi alle gesta piccole e quotidiane che fanno quel terreno, quel dna di cui sono piene le persone. Le pietre del nostro intorno ce le portiamo dietro con lo sguardo, nelle rughe, nei sorrisi: è controproducente ed inutile cercare l’appiattimento, una grossolana commercializzazione e globalizzazione di simboli ed archetipi. Siamo tutti portatori sani di storie e racconti paesani e provinciali, infinitesimali, ognuno degno di esistere e di essere ricordato e portato ad esempio, la cui somma si chiama vita, esperienza, cultura, pane per la mente.
E così ad Anghiari, da diciannove anni famosa sia per la celebre Battaglia descritta con il suo pennello da Leonardo da Vinci si per la “Tovaglia a Quadri”, in una sua via che si allarga sulle mura, il Poggiolino, ogni anno per dieci giorni a cavallo del Ferragosto (10-19 agosto) va in scena una sorta di “riassunto delle puntate precedenti”. La narrazione, affidata a Paolo Pennacchini, e la regia, di Andrea Merendelli, attraverso i frizzanti non-attori, punta su un’esplosione dialettica, in pura calata valtiberina, frammentata e frastagliata che, ad elastico, ed andando a pescare nel passato come secchio nel pozzo di ieri, miscela con brio, capacità, leggerezza e mercurio vivo, i fatti dell’oggi ritrovando eco e risonanza con il passato, creando sponde prolifiche, appoggi di destrezza, ricordi da rinverdire. Una storia per il popolo del paese ma anche per i molti turisti che arrivano da fuori, un modo per conoscere meglio le zolle, il panorama, il verde intorno, le larghe pietre in salita, le mura spesse, il campanile che rintocca fiero.
Si sparano ancora i “Razzi”. Gaza ce lo ricorda, ogni tanto. Non si tratta dell’onorevole (?!) omonimo sul quale ci ha costruito una carriera Crozza sulla sua parodia. Qui si gioca sulla bivalenza appunto di quelli sparati a fine seconda guerra mondiale, che falcidiarono uomini e bestie da cortile, ed i “razzi” che nel dialetto della zona significa gli animali che danno la razza, gli animali buoni per la riproduzione. In mezzo alle quattro portate classiche, i crostini, i bringoli al sugo finto, il brasato ed i cantucci, sopra la famosa ed esportata in tutto il mondo tovaglia a quadri Busatti, spessa e fitta come le storie che qui si raccolgono (Anghiari è la città della memoria e dell’autobiografia), la perdita delle tradizioni, come della lingua del posto, delle usanze delle nuove generazioni, è il perno sul quale si riannoda, ora a ventaglio adesso a ritroso con flash back spiazzanti, il testo tra inserti ed incursioni di canzoni popolari e fisarmonica, accenni e rigurgiti di strascichi polemici di politica d’altri tempi (“Fossile” amministrativo provinciale “rosso”), scontri tra quella campagna genuina, che l’Asl e la 626 ed i Nas vorrebbero tarpare, ed i furbi che contraffanno i cibi del territorio, i cosiddetti “a km 0”.
In questo clima di tensione, qui realizzato comunque sempre sul filo del feroce sarcasmo toscano che se da una parte schiaffeggia dall’altro carezza, e di scintille sta l’alchimia e l’armonia di un paese che vive tra il vecchio ed il nuovo con la paura di perdere il bagaglio culturale che gli è stato consegnato ma anche con il terrore di perdere il treno per il futuro, il progresso, le innovazioni. Sono i giovani che adesso vogliono rinverdire le tradizioni mentre gli anziani pensano alla campagna come sinonimo di fatica, di miseria, di poche possibilità e molti sacrifici. Se giù “Lombroso” impaglia gli animali, ricordando “L’imbalsamatore” opera prima di Matteo Garrone, sopra alle finestre due comari escono, come orologi a cucù per le loro prediche acide e ficcanti, rintuzzando i vari protagonisti come grilli parlanti stizziti. C’è “Darwin” che cerca il lupo nero della zona per proteggerlo e studiarlo, mentre il “Boia”, il cacciatore, con il figlio “Mirino”, lo cercano per fargli la pelle. Opposte visioni del mondo, diametralmente differente sentire nei confronti della Natura. Proprio in occasione della grande luna piena, la più luminosa del secolo, un licantropo (che morde come l’uruguaiano Suarez ha fatto con la spalla di Chiellini ai recenti mondiali di calcio brasiliani) si aggira tra la fitta boscaglia e l’altrettanto inespugnabile burocrazia e nomenclatura di carte e bolli che intralcia e mette i bastoni tra le ruote a chi avrebbe voglia di fare. C’è un mondo che cambia là fuori, cambia con la Luna e le stagioni e che va azzannato e va curato, va colto e protetto, va allevato senza averne terrore. E’ l’equilibrio che fa la differenza tra il vivere ed il lamentarsi.
“Razzi”, Tovaglia a quadri, Anghiari. Una storia di Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini. Assistenza tecnica: Stefan Schweitzer. Oggetti di scena e costumi: Emanuela Vitellozzi. Con: Fabrizio Mariotti, Sergio Fiorini, Ermidio Santi, Mario Guiducci, Andrea Valbonetti, Alessandro Severi, Michele Rossi, Rossano Ghignoni, Giuseppe Di Leva, Andrea Finzi, Cecilia Bartolomei, Elisa Cenni, Stefania Bolletti, Marta Severi, Ada Acquisti, Maris Zanchi, Gabriele Meoni, Lea Cerquatti, Appunti musicali ricomposti da Mario Guiducci. Regia: Andrea Merendelli. Visto ad Anghiari il 10 agosto 2014.