ANDRIA – Restituire con la penna i sussulti trasmessi dalle scene. I movimenti intestini, i groppi deglutiti a fatica, l’incanto, la commozione, la meraviglia, la pietas, il pathos, lo straniamento. Per niente facile. A meno che non si voglia praticare la neutralità di una cronaca giornalistica. Ma il mestiere del critico non è quello del cronista. La sensibilità, di un critico, non lo prevede.
“Scende giù per Toledo” accappona la pelle degli spettatori. Destabilizza sensibilità. Le culla, le scuote, le inorridisce, le violenta e le ama dolcemente. Difficile non restituire un pezzo critico che non sia “di pancia”.
Perché la magia del teatro non sta tanto negli effetti speciali, negli estetismi edulcorati, nel mostrare i muscoli (tecnicamente parlando) in scena, nell’imperialismo della regia, nei trucchi. La magia si avverte come una malia serpeggiante in platea, come se il pubblico fosse stordito, inebriato, ubriacato dalla forza e dalla dolcezza della scena.
Dolce e forte è “Scende giù per Toledo”. Un testo meraviglioso di Giuseppe Patroni Griffi. Non a caso definito dalla Ginzburg “dello stile della natura dell’acqua” . Parole a flusso, senza punteggiatura, ora in terza ora in prima persona. Un testo trasgressivo. Trasgressiva è la protagonista. Un femminiello napoletano: Rosalinda Sprint, un nome che svela abbastanza. Trasgressiva perché in società i “ricchioni” sono considerati male. Figuriamoci al Sud. Una minoranza da estirpare. Ma solo in apparenza…per salvare la faccia… per decoro… perché nelle camere rosa confetto, con piume d’oca svolazzanti, boa coloratissimi, parrucche, guepiere, cuscini viola forte, in queste camere fa visita tutta la città. Dal padre di famiglia al macho di strada.
Una camera del genere è la scenografia. Un letto ovale verde-oro (che diventerà una vasca da bagno in corso d’opera), una postazione specchiata a destra con parrucca su volto di manichino, cipria, profumi; nella stessa direzione, prima del fondale, un separé; una luce a forma di palma tailandese, rossa, a sinistra dietro il letto. E Rosalinda/Cirillo in abito da sera, meglio, da strada, azzurro Napoli. Perché è Napoli che racconta Rosalinda. Attraverso le sue storie. Una Napoli sotterranea, invisibile, a ridosso dei quartieri spagnoli. Una Napoli diversa ma mescolata e accoppiata alla città e i suoi uomini.
Il femminiello Rosalinda è scacciato di casa dal padre. Fitta una camera a Monte Calvario. La camera degli incontri. La camera scena. La camera scenografia invisibile di tutte le storie apparse per la voce incarnata di Cirillo. Incarnata nelle vesti e la pelle di altri personaggi dialoganti con Rosalinda (Marlene Dietrich, Camomilla Schulz, Gaetano, Gennaro…) dualismi che calcano – nei momenti di interazione fra più personaggi, trasposizione dell’andare di Patroni Griffi dalla terza alla prima persona e viceversa – la forma prettamente teatrale data al testo, lasciato puro nella somma totale dell’allestimento. Puro e monologante, non riscritto, non drammatizzato, trasmesso attraverso il teatro. Con la bellezza, la bellezza entusiasmante della prova di Cirillo, naturale in scena non volendo intendere con questa espressione il naturalismo di un metodo, ma l’agio di un rapporto totalizzante con lo spazio scenico e il suo agire, una dimestichezza palese con il fare interpretativo da suscitare la sensazione di trovarsi di fronte un uomo che nella skené dimora come habitat originario, utilizzando la tecnica (attorale) con tale padronanza per risultare, fingendo, magnificamente vero.
Un habitat da cui si allontana, fisicamente (raggiungendo le prime file), in una sola scena, verso il finale, quando Rosalinda emigra in Inghilterra e sono descritte le scogliere di Dover. Un segno minimale, simbolo e metafora. Cenni di cui è zeppo lo spettacolo a testimonianza di una regia incisiva nel cucire d’organza drammaturgia e recitazione, prova di un artigianato registico che fa dell’azione (gestuale, iconografia, scenica) traccia per puntellare, non invadere. Fili intrecciati a mestiere (drammaturgia, regia, attoralità) per una maglia dalla fibra resistente ma sfilacciata qua e la come… la silhouette – della figura di Rosalinda – descritta dall’autore stesso: “ritagliata maldestramente nella carta, le forbici si sono mangiate parte del bordo intorno intorno”.
“Scende giù per Toledo” è uno spettacolo destinato a rimanere nella memoria. A ricevere onori. A fare accapponare la pelle degli spettatori, durante e dopo la visione.
SCENDE GIÙ PER TOLEDO
di Giuseppe Patroni Griffi
con e regia di Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Badar Farok
musiche originali Francesco De Melis
assistente alla regia Roberto Capasso
Produzione Marche Teatro e Napoli Teatro Festival
Visto al Festival Castel dei Mondi il 28 agosto 2014 – Andria