AVIGLIANA (Torino) – Terza giornata di Festival con i padroni di casa in scena. La “Piccola compagnia della Magnolia”, ensemble attivo dal 2004, formati in Francia, al Théatre de l’ Epée de Bois della Cartoucherie, con maestri del calibro di Antonio Diaz-Floriàn e artisti quali Judith Malina, Michele Di Mauro, Eugenio Allegri. Da qualche anno in residenza ad Avigliana. In val di Susa, dove dalle vedute panoramiche del borgo, di bellezza estrema, medievale-sabaudo, si vedono le montagne del Frejus (e si legge “Tav:Mafie” come fosse impresso nella terra, di bianco).
Giorgia Cerruti – anima e fondatrice delle compagnia con Davide Giglio – in scena con “Zelda, vita e morte di Zelda Fitzgerald”, il suo primo monologo. Nel luogo, non canonico, di una chiesa sconsacrata, l’attrice attende i suoi spettatori in un letto, rosa intenso, moribonda, un dipinto vivido. Rimarrà sul “sepolcro” per tutto il tempo della piece. Restituendo carne, voce e spirito alla scrittrice coniuge di un ingombrante marito, la cui fama ha dettato ritmi e umori di convivenza, contribuendo probabilmente all’esplosione schizofrenica di cui i germi latitavano da sempre nella psiche di Zelda. Ma non è l’esposizione biografica che interessa alla Cerruti. Piuttosto l’indagine attraverso un personaggio, percepito interiormente, nel profondo, come traccia di specchio/ideale di vita (ciò che Genet definirebbe lo specchiarsi in ciò che si vorrebbe essere ma non si riesce), come medium di contatto con l’altro. Un linguaggio fisico e verbale trattato ed esposto con dovizia, con mestiere, con artigianalità. Rigore formale e sincerità. Uno spettacolo duttile a rappresentazioni in spazi diversificati. Più intimo in ubicazioni ristrette.
Un articolo sulla notizia della morte di Zelda, ispira la Cerruti. Approfondisce, scopre un carteggio meraviglioso tra lei e il suo consorte. Scopre una donna tra rose e fuoco… decide di metterla in scena. Di mettersi nei panni del personaggio. “Frugando nella vita e nella poetica di Zelda, il sentimento provato è stato di struggenza” – racconta la Cerruti – “accorgersi di una temperatura di vita da onorare.” Ci parla del suo personaggio con un’ammirazione che le inumidisce gli occhi: “Zelda era ammalata dell’inesausta ricerca del sublime. Materica, aveva sete nervosa di possedere le cose, le arti, le persone. Tutti in fondo cerchiamo questo, e il non ottenerlo ci rende insoddisfatti. Lei era insoddisfatta. A ogni traguardo se ne poneva un altro. Questo l’ha resa folle. E la sua follia ha condizionato tutta la sua scrittura: cambi ellittici nella cifra come nel contenuto, cambi di tono verticali, ma comunque di grande maestria stilistica.”
Si addentra in resoconti artistici: “M’interessa la sua temperatura di vita. Non un’intenzione di biografia, un ampliare invece a un ragionamento dell’oggi, su un modo di essere artisti non corrotto, puro, una tensione verso una ricerca pura di relazione verso l’opera d’arte, un rapporto tutelato con l’opera d’arte. Ma anche un’indagine di conflitti umani, di coppia. Un far riaffiorare una grossa presenza di gerarchie, chi comanda tra lui e lei, un’analisi di un rapporto conflittuale. Pur rimanendo insieme tutta una vita il rapporto fisico tra marito e moglie collassa: questo racconta un’incapacità di stare in un contenitore, dopo un po’ questo contenersi trabocca e si esplode. Lei ha vissuto una serie di esplosioni a catena. Personalmente, non mi dispiacerebbe avere quel tipo di piede sull’acceleratore che aveva lei.”
Il discorso zooma sulla poetica di scena: “…Una volontà netta di evocare la Winnie di Beckett; nell’andare del monologo pochissimi oggetti, catalizzatori del ricordo; slittamenti tra presente e passato nel testo, un passato che è nel presente, come spettro; il suo oggi in un letto d’ospedale, con dei fantasmi che vanno a farle visita e di antitesi una lucidità nel contatto con gli spettatori, alternanza voluta tra presenze che interagiscono in modo passivo e il contatto attivo, confidenziale, con personaggi sovrapposti al pubblico, avvolto in genere in un evocativo odore di rosa; pochi elementi scarni, soggettiva su viso e mani, per distacco dal suo corpo oggetto di venerazione.” Spiega, ancora, la Cerruti su scelte prettamente attoriali: “…l’inseguire un’immersione subacquea in Zelda, nell’inconscio, emotiva. Andare sempre più a fondo in lei mantenendo e aumentando una merlettatura formale, una partitura fisica di raccordi che non devono mai perdersi, anche in una condizione di emotività estrema. Non mischio mai parola e gesto. Una sfasatura tra gesti e parola che dia l’alterità, che non schiacci l’esposto in un piattezza frontale. Per quanto riguarda l’utilizzo della voce, la scelta di lasciare andare le corde vocali…tant’è che alcune voci sono ‘troppo umane’ contrariamente all’abitudine attoriale tesa all’impostazione tecnica, a diaframma stretto.”
La conclusione si fa intima, confidenziale: “La cosa complessa è tenere un filo rosso sotterraneo di raccordi. E’ il mio primo monologo. Lo avverto come ‘dialogo’ con il pubblico. Fondamentale è il cercare gli occhi degli spettatori, in spazi molto piccoli e anche nelle case. La lacrimosità, dei miei”– in scena la Cerruti lacrima evidentemente – è tematica. Uno sgorgare acqua come valore artistico. Una temperatura emotiva che diventi artistica a nervi scoperti. Lo spettacolo mi da la possibilità di amare molto e di essere molto innamorata. Questa storia d’amore tra lui e lei è quello che nei miei sogni vorrei vivere. Se mi dicessero di diventare Zelda, lo accetterei, è un’eroina. Da artista, vorrei dare al pubblico la ricerca incessante di una sincerità (d’artista) nell’evocare qualcosa e non nel vendere la rappresentazione di qualcosa. La ricerca formale deve essere densissima e deve passare per un’attenzione rigorosa, ma dentro deve esserci sincerità, estrema.”
ZELDA: VITA E MORTE DI ZELDA FITZGERALD
di Giorgia Cerruti e Davide Giglio
Con Giorgia Cerruti
Prod. Piccola Compagnia della Magnolia (Torino)
Visto al festival Primavera d’Europa giovedì 18 settembre ‘14 – Chiesa S. Croce Avigliana (To)