PRATO – Il quai ouest è un luogo senza spazio e senza tempo, il non luogo greco in cui si incontrano personaggi che in condizioni definite normali non sarebbero mai stati destinati ad incrociarsi. Una commedia umana, un formicaio nei bassifondi di una città occidentale sconosciuta e mai nominata, annegata nel fango. Quai ouest Approdo di ponente è un’opera del 1985 scritta dal drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès, in scena fino al 2 dicembre al teatro Fabbricone di Prato per la regia di Paolo Magelli. All’indomani di un viaggio in America Koltès inizia a lavorare al testo dello spettacolo, che andrà in scena per la prima volta a Nanterre nel 1986. A folgorarlo è un luogo visto nella zona di Manhattan. Un hangar usato per il traffico portuario e poi andato distrutto. All’interno di quello stesso hangar Koltès colloca i suoi personaggi, bestie senza stato e senza religione mosse esclusivamente dalle proprie pulsioni e costrette, per una serie di coincidenze non casuali, a condividere giocoforza lo stesso spazio vitale. L’enfer c’est les autres, ma in questo caso nessuno dei personaggi, che vivono tutti di vita propria, si trova lì per caso. Il loro incontro è dovuto a un primo fallimento, che ne innesca poi tanti altri con un effetto dirompente a cascata.
Colpevole di un crack finanziario, il manager Maurice Koch (Paolo Graziosi), decide di andare a trovare la morte in un hangar, situato probabilmente nella periferia di una città di cui non è dato sapere il nome, per annegare nel fiume non solo il suo corpo ma anche il suo senso di colpa. Lì dentro incontra Charles (Francesco Borchi), delinquente refrattario alla luce del giorno e Abad (Francesco Cortopassi), il negro muto dotato solo di capacità di azione e privato volutamente della parola. Se all’interno dell’hangar vale la regola per cui niente si crea e niente si distrugge ma tutto si scambia, la stessa riguarda anche il diritto di vivere e di morire. I soldi poi non sono altro che beni materiali, come una Jaguar, un Rolex e delle carte di credito, con cui Maurice intende comprare il silenzio sulla scelta della propria morte. Nonostante la filosofia del do ut des che permea tutte le relazioni sociali, il tentato suicidio di Maurice viene sventato da qualcuno che si butta immediatamente dopo di lui, ripescandolo dalle acque del fiume.
“Chi vi ha autorizzato a ripescarmi?” grida allora Koch, ancora bagnato e tremante per il freddo. In quello stesso momento però si rende conto che la sua auto è stata messa fuori uso e che da quel purgatorio, in cui è andato a scontare le sue pene, sarà difficile fuggire.
Al suo seguito interviene la sua segretaria, Monique Pons (Valentina Banci), in abito lungo da sera e tacco a spillo, che cerca con tutte le forze di convincere Koch a fare ritorno a casa. A differenza degli abitanti dell’hangar con cui hanno poco in comune, Maurice e Monique sono due borghesi fuggiti dalla città-civiltà per motivi diversi ed approdati in un luogo che prolifica nel nero della notte più buia e grazie agli espedienti di personaggi, che vivono di criminalità e di violenza. La città di Magelli completamente ricoperta da un pavimento di fango non è poi molto diversa dalla città di pietra, scritto di Ismail Kadaré, a cui il regista aveva affidato l’apertura del suo spettacolo Giochi di famiglia. Se in quella città così dura e impenetrabile anche alla pioggia battente era difficile essere bambini, in questa città di fango è difficile essere adulti. Nessuno quindi, Koch compreso perché incapace di farsi carico dei danni provocati dal proprio fallimento, è in grado di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Nel fango i personaggi seppelliscono, uno dopo l’altro, i valori della civiltà che non hanno mai conosciuto o che si sono lasciati volutamente alle spalle. Dai bassifondi di quell’angolo di mondo dimenticato da tutti, c’è Charles, in realtà Carlos, che si atteggia a capobanda e protettore di Abad, il negro immigrato dall’Africa, considerato come una proprietà e legato a lui soltanto dal senso di gratitudine di essere stato salvato. La sorella di Charles, Claire (Elisa Cecilia Langone), vorrebbe diventare grande tutta insieme e mercanteggiare l’iniziazione al mondo degli adulti con Faq (Fabio Mascagni), giovane dell’hangar vestito in modalità rock anni ’80 che tenta in ogni modo di accedere alla sua sessualità con espedienti e finte promesse.
Dal buio dell’hangar spuntano fuori gli unici due adulti, la madre Cécile (Alvia Reale) e il padre Rodolfe (Mauro Malinverno). La madre che lavora per strada come prostituta, è divorata al suo interno da un male che la porterà alla morte con sofferenza e da un insaziabile desiderio sessuale, lo stesso per cui il marito, claudicante e violento oltre misura, l’ha dai bassifondi di Lomas Altas.
Nell’hangar quindi si scontrano diversi mondi e culture. Il quai ouest rappresenta nella traduzione il lungofiume occidentale, l’ultimo approdo per Maurice e Monique, due borghesi, due anime perse che ricordano il degrado urbano della città. Ma il quai ouest è soprattutto un rifugio per i suoi abitanti. Lo è per Charles, che rifiuta il suo nome e quindi la sua identità trovando nel quai ouest un luogo in cui dedicarsi agli affari sporchi, e da cui desidera alla fine scappare abbandonando tutto e tutti, persino la famiglia. Lo è per Rodolfe e per Faq, che in quel luogo privo di etica e di regole possono dare sfogo alle proprie pulsioni animali, e lo è per Claire, che lì desidera fare il salto all’età adulta, salto che le costerà caro come una profezia che si autoavvera. Non lo è per Cécile, divisa in due dalla smania di tenersi stretto un figlio che rifiuta lei e il suo passato e la nostalgia per il mondo ispanico dal quale proviene e in cui lei ritrova la sua vera essenza.
Quai ouest quindi non affronta soltanto il tema delle relazioni umane, mettendo a confronto una serie di personaggi che costituiscono – nella variante di Balzac – una commedia umana, ma tratta anche la problematica attuale della convivenza tra tre diverse culture, occidentale, africana e sudamericana. A dimostrazione del fatto che le tre culture parlano linguaggi differenti, che impediscono la comunicazione e la comprensione, Koltès dà la morte ai suoi personaggi per mano di Abad, l’unico vissuto nel silenzio di una lingua muta. Le storie di ognuno quindi annegano nel sangue e sprofondano nel fango del palcoscenico, che schizza le caviglie e si attacca agli abiti. Un fango appiccicoso dal quale la pioggia, effetto speciale dello spettacolo, riuscirà a far scaturire la rinascita. Una pioggia incessante, che bagna soltanto ma non lava.
Visto al teatro Fabbricone di Prato il 14 novembre
Quai Ouest
Approdo di ponente
di Bernard-Marie Koltès
traduzione Saverio Vertone
regia Paolo Magelli
drammaturgia Željka Udovičić
scene Lorenzo Banci
costumi Leo Kulaš
musiche Arturo Annecchino
luci Roberto Innocenti
con Valentina Banci, Paolo Graziosi,
Francesco Borchi, Francesco Cortopassi,
Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone,
Alvia Reale, Mauro Malinverno
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana in collaborazione con Spoleto57 Festival dei 2Mondi
(crediti fotografici di Luca Manfrini)