BARI – Il successo e i numerosi premi assegnati in sequenza cronologica ravvicinata, sembrano non aver cambiato lo spirito di Licia Lanera, consapevole che la sua carriera di attrice e regista non deve conoscere soste o tanto meno vivere di rendita. Anzi, ora si sente ancora più spronata nel dare il meglio di sé, senza rinunciare mai alla sua sagacia che la contraddistingue. Basta scorrere le immagini registrate durante la cerimonia di premiazione degli Ubu 2014, avvenuta sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano, dove Licia gioca con la sua proverbiale autoironia, improvvisando un fuori programma esilarante. Per lei fare teatro significa immergersi come farebbe un palombaro nel più profondo degli oceani. Lo sente nel sangue il suo lavoro e lo si percepisce sia sulla scena che nella sua vita privata. Carattere esuberante, estroversa, l’attrice e regista è in grado di analizzare con estrema serietà cosa significa recitare e convincere il pubblico che vale la pena ritornare a vedere i suoi spettacoli. Alla domanda se l’Ubu se lo aspettava, la risposta è : “Quando ho visto che ero nelle terne del premio ho iniziato a fare le macumbe”. Da un premio all’altro ha corso su e giù per l’Italia per partecipare alle cerimonie di consegna. Al Piccolo di Milano era già stata per ricevere il Premio Eleonora Duse con la menzione d’onore come miglior attrice giovane. Da li a Roma al Teatro Argentina come miglior attrice italiana under 35 al Premio Virginia Reiter.
La chiamata agli Ubu l’ha vissuta con una certa trepidazione: «Mi sembrava di essere in un reality come il Grande Fratello e non ci volevo credere quando me lo hanno comunicato. Quando la notizia è diventata pubblica sono stata sommersa da una valanga di messaggi, L’ho vissuta come una forma di divismo divertente ma non mi interessa la notorietà quanto, invece, la percezione di aver seminato negli anni qualcosa di utile tramite il lavoro che faccio».
Per partecipare alle consegne dei premi si è fatta migliaia di chilometri: da Bari a Roma, da Roma a Milano, un salto a casa e via di nuovo verso il nord, senza rinunciare ad una passione che per una donna è difficile rinunciare : «Ho fatto shopping ogni volta che mi premiavano per acquistare delle mise eleganti da indossare ai premi», spiega con la sua ineffabile simpatia. L’Ubu le è stato assegnato anche nella categoria come miglior attrice e under 35 grazie all’interpretazione nel ruolo di Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume di Michel Garneau (da La Celestina di Fernando de Rojas un testo letterario spagnolo risalente agli inizi del Cinquecento, con Maria Paiato, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Gabriele Falsetta), diretta da Luca Ronconi e messo in scena al Piccolo Teatro Strehler.
È riconoscente di aver vinto grazia anche alla scelta di Ronconi che l’ha voluta e con il quale aveva già collaborato in passato. L’esperienza con questo regista la definisce «folgorante, faticosa ma meravigliosa. In Celestina ha contato il lavoro di squadra fatto insieme a tutti i miei colleghi e ha contato molto per arrivare al premio». Licia ha interpretato il ruolo di una vecchia prostituta proprietaria di un bordello. Il sesso viene descritto come fonte di corruzione, di intrighi e inganni. L’ultimo prova di una serie di esperienze artistiche che l’hanno fatta crescere. «Quello che conta però è riuscire ad ottenere date per lavorare. Io spero che il premio sia un incentivo nel trovare interlocutori e maggiore attenzione, specie a livello locale, Parlo della Puglia e di Bari in particolare».
Il pragmatismo è qualcosa che conosce bene l’estroversa e versatile attrice: «In Puglia esiste una realtà consolidata dove le realtà artistiche teatrali medie sono state promosse mentre quelle piccole non hanno ottenuto nessun riconoscimento. Abbiamo più notorietà in altre regioni». E per ottenere il meritato successo Licia Lanera ha fatto tutta la gavetta necessaria per emergere alla ribalta. Il suo curriculum la vede laureata in Lettere a Bari, esperienze come stagista con Enzo Moscato, Marco Sgrosso, Massimo Verdastro, Francesca Della Monica, Luca Scarlini, Living Theatre, Odin Teatret, Ricci/Forte e Romeo Castellucci. Nel 2006 fonda la compagnia Fibre Parallele insieme a Riccardo Spagnulo, coppia artistica ma anche nella vita privata.
Una lunga gavetta tutta in salita ma con la determinazione di farsi conoscere, fino a quando nel 2011 vincono il Premio Hystrio come miglior compagnia giovane. Licia racconta la fatica di andare in scena i primi tempi, come nel caso di “Mangiami l’anima e poi sputala”, recitato ogni sera in un teatro di Roma anche se in sala c’erano pochi spettatori. Spettacolo selezionato al Premio Scenario 2007 e finalista al premio internazionale Vertigine 2010, 2.(due) progetto finalista di EXTRA-segnali dalla nuova scena contemporanea vincitore del primo premio Fringe/L’Altrofestival al 18° Festival Internazionale del Teatro di Lugano in Svizzera.
Furie de Sanghe invece è del 2009, ed è stato presentato con il Teatro Kismet Opera e con la collaborazione di Ravenna Teatro/Teatro delle Albe, vincitore del bando Nuove Creatività pubblicato dall’Ente Teatrale Italiano dopo aver debuttato al Teatro Valle di Roma. Furie de Sanghe stato presentato a Skopje in Macedonia e al Theatre de la Ville di Parigi. Duramadre ha vinto il Premio Hystrio-Castel dei Mondi 2011.
Il teatro per Licia Lanera è una ragione di vita che sente fin da bambina, prima come semplice spettatrice poi come partecipante ai laboratori. Ora li dirige lei insieme a Riccardo Spagnuolo in un piccolo spazio che è anche la sede della compagnia. «Ci manca un vero spazio che sia adatto ad allestire i nostri spettacoli e facciamo fronte ad ogni difficoltà anche economica che riusciamo a superare con una certa tranquillità anche senza un vero sostegno da parte della nostra regione. Per dieci anni a Bari siamo rimasti senza assessore alla cultura, zero interlocutori e teatri cittadini chiusi. Forse qualcosa di buono lo abbiamo però fatto noi da soli anche a livello locale, grazie ai corsi che abbiamo gestito. Quaranta allievi e dodici anziani hanno partecipato ai nostri laboratori. Il pubblico che partecipa dal basso, il lavoro sul territorio con la partecipazione alla vita culturale della città e della regione, anche se nessuno è profeta in patria – ci dice Licia con una certa amarezza – e noi siamo nati in un periodo dove il denaro pubblico era finito ma non abbiamo la necessità della questua, solo di crescere se ci viene offerto dell’aiuto. Presenteremo domanda di contributi al Ministero senza essere riconosciuti al livello comunale e regionale. Chi invece dobbiamo ringraziare è il critico Nicola Viesti perché ci ha accompagnati nel nostro percorso di crescita».
Dopo l’esordio di “Mangiami l’anima e poi sputala” dove si racconta di una donna molto bigotta che si innamora di Gesù visto in una chiesa di campagna, riuscendo a farlo scendere dalla croce per portarselo a casa. E qui iniziano i guai: l’uomo parla albanese e cerca di fare all’amore con la donna, tentando di spiegare la sua religione attraverso la somministrazione di quiz, lezioni di aerobica, barzellette, convincendo la poveretta a sposarlo. La prima notte di matrimonio lei non regge all’affronto e uccide Gesù a colpi di mannaia.
Che tipo di teatro è quello che voi proponete?
«Un teatro fortemente popolare che avvicina il pubblico emotivamente e aiuta a solidificare la partecipazione collettiva. Un teatro che si fa con le persone, questo poi permette di ottenere i premi». Il loro repertorio si arrichisce di Furie de sanghe che in dialetto barese sta a significare emorraggia cerebrale. Parla di una realtà famigliare dove la violenza è di casa ma soffocata, specie se subita dalle donne dove l’unica colonna sonora la compone il telecomando. Duramadre è un altro titolo fino ad arrivare all’ultima fatica con Lo splendore dei supplizi :Quattro storie costituiscono il quadro unitario di un presente schizofrenico: c’è la coppietta in crisi, un giocatore compulsivo di videopoker, la convivenza forzata di una badante straniera con un vecchio un po’ razzista un po’ infame e ci sono due operai che rapiscono un vegano per sfogare l’insoddisfazione di una vita che non ha più senso. Sono sempre storie dolorose intrise di una forte umanità ad impatto emotivo che non risparmia nessuno. L’ispirazione drammaturgica nasce da elementi riconducibili alla realtà sociale, spesso degradata e conflittuale. Il teatro scelto dalle Fibre Parallele è sanguigno, materico e non abdica al suo ruolo di divertire ma senza compiacere. Nasce su riferimenti anche biografici appartenenti a Licia e Riccardo, a intuizioni o suggestioni sensoriali. La musica è parte fondamentale della costruzione dei loro spettacoli, un linguaggio drammaturgico alla pari di quello della parola.
Il prossimo vostro spettacolo?
«Si intitolerà Beatitudine e debutterà a giugno di quest’anno e parla di sesso, del rapporto che sussiste oggi tra sesso e potere, con un orizzonte filosofico alla Foucault tanto per intenderci. Vogliamo affrontare la storia della sessualità e della cura di sé». Garantito che anche in questo caso Licia Lanera non si risparmierà sulla scena.