Ivan Cotroneo è conosciuto a tutti come sceneggiatore, autore, romanziere. Attualmente è alle prese con l’adattamento cinematografico del suo romanzo “La kryptonite nella borsa”, la cui sceneggiatura è scritta da Cotroneo che cura anche la regia, anche da Monica Rametta e Ludovica Rampoldi. Il film è prodotto dalla Indigo Film di Francesca Cima e Nicola Giuliano. “La kryptonite nella borsa”, è una storia ambientata nella sua Napoli anni ’70, in cui vive Peppino, un bambino di sette anni alla prese con una madre in preda a crisi depressive causate dal tradimento del marito, incapace di affrontarlo. L’affetto degli zii, una specie di surrogato materno, conduce il bambino a vivere esperienze a dir poco insolite tra feste alternative, esperienze al limite della trasgressione, sigarette e pasticche per vivere una realtà ai limiti. Il clan famigliare è composto da una nonna sarta specializzata in pantaloni a zampa d’elefante, mentre il nonno alleva pulcini sottoposti a “cure affettive” esasperate. Nella storia compare anche Gennaro, un ragazzo convinto di essere Superman, a tal punto da girare per le strade con una mantellina rosa da parrucchiere sulle spalle, ossessionato dalla kryptonite, il minerale che si trova nel pianeta Krypton dove è nato Superman. Un’ossessione che gli causa la morte andando a finire sotto le ruote di un autobus. Risorge però nella fantasia del protagonista per seguirlo e consigliarlo ogni qual volta Peppino si senta incapace di affrontare da solo la sua vita.
Ivan Cotroneo è dotato di una professionalità multidisciplinare dove si rispecchiano le sue passioni, la vitalità di uomo attento alle vicissitudini umane e all’evoluzione sociale dei costumi. Prolifico ed eclettico, lo scrittore nobilita con uguale impegno tutte le esperienze, alternandosi tra sceneggiature per il cinema, romanzi di narrativa: “Il piccolo libro della rabbia”, “Il re del mondo”, “Cronaca di un disamore”. L’ultimo edito da Bompiani “Un bacio”, narra di una vicenda ispirata a una storia vera: il crudele omicidio di un ragazzo quindicenne che ha sconvolto l’opinione pubblica. Tre adolescenti, un romanzo a tre voci protagonisti di una crudele vicenda di amore, odio e violenza. Costruito come un giallo psicologico, un puzzle di sentimenti.
Conosciuto dal grande pubblico di generazioni diverse, Ivan è un autore televisivo di successo, grazie alla serie “Tutti pazzi per amore” con Stefania Rocca e Neri Marcoré, su Rai Uno. Cotroneo è anche il traduttore ufficiale dei romanzi di Michael Cunningham e Hanif Kureishi. La folgorazione per Cunnigham è avvenuta leggendo in inglese il romanzo “Le ore”, da qui la proposta di tradurlo per la Bompiani. La linea di confine in cui inglobare il suo impegno intellettuale e l’estro artistico è difficilmente circoscrivibile. In lui c’è, alla base del suo agire creativo una sollecitazione esistenziale. Una curiosità innata per tutto quello che muove sentimenti, relazioni, affetti, amicizie. Scrivere al servizio del lettore-spettatore, il quale si può rispecchiare e rivivere le emozioni che sono le matrici esistenziali comuni a molti. Insieme al regista Ferzan Ozpetek, Ivan Cotroneo ha scritto la sceneggiatura del film “Mine Vaganti” che ha riscosso un successo internazionale, tanto da meritarsi numerosi premi, tra i quali i Nastri d’Argento 2010: regia per la migliore commedia, premio ex aequo come attore non protagonista a Ennio Fantastichini, miglior attrice non protagonista ex aequo a Elena Sofia Ricci e Lunetta Savino, e per la miglior canzone originale “Sogna” di Patty Pravo. Al Premio David di Donatello (in gara con 12 candidature) ha vinto il premio miglior attore non protagonista Ennio Fantastichini, e migliore attrice non protagonista Ilaria Occhini. Il film ai Globi d’Oro ha trionfato ottenendo il premio della stampa estera e ben quattro premi per il miglior film, fotografia, sceneggiatura e attrice rivelazione. Un premio da sempre considerato l’anteprima degli Oscar. Al Tribeca film festival di New Jork ha ricevuto la menzione speciale della giuria. Ultimo riconoscimento in ordine di tempo è la candidatura all’EFA People’s Choice Award (European Film Academy). Il film è disponibile anche in versione DVD e BLU- RAY.
L’amore per la cinema è nel Dna di Ivan. Nel 1992 consegue il diploma di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. La sua abilità nello scrivere storie per il grande schermo gli è valsa l’attribuzione dei Premi Solinas, per la sceneggiatura del film “Cosa c’entra con l’amore”. Vincitore anche del Premio Moravia e Saint–Vincent cinema in diretta. L’esordio nel cinema avviene con Pappi Corsicato per il quale ha scritto l’episodio “La stirpe di Iana” inglobato nel film collettivo “I vesuviani” e la scenggiatura del lungometraggio “Chimera”. Porta anche la sua firma la sceneggiatura di “In principio erano le mutande” di Anna Negri e ha collaborato anche alla sceneggiatura di “Piano, solo”, adattato dal libro di Walter Veltroni. Ivan non si nutre di solo cinema però. Il suo nome come autore compare anche in numerose fiction televisive come “Un posto tranquillo”, “Raccontami una storia”, e ha lavorato nella squadra degli autori di “Parla con me” programma di Rai 3 di Serena Dandini. L’intervista che ci ha concesso Ivan, avviene a Roma all’indomani dell’uscita nelle sale di Mine Vaganti. Giornate in cui nelle sale cinematografiche delle principali città si registrava il tutto esaurito. Una mina vagante con un potenziale “dirompente” tale da farlo diventare un film cult. Tra l’incontro con Cotroneo e la pubblicazione è trascorso molto tempo, come se la mole di informazioni e sensazioni raccolte, avesse bisogno di depositarsi e decantare lentamente. Tanti gli stimoli da dove partire per raccontare chi è Ivan Cotroneo.
Iniziamo dalla post produzione del film e le prime proiezioni al pubblico. Quali reazioni ha provato?
“Sono molto soddisfatto dell’esito ottenuto e il gradimento del pubblico, oltre che della critica. Ho percepito durante le presentazioni del film, anche all’estero, che c’è un calore umano notevole e di questo siamo veramente felici io e Ferzan. Ricevo in continuazione mail di congratulazioni da tantissime persone che non conosco. A Berlino dove abbiamo presentato il film c’erano mille persone in sala, e gli italiani presenti erano pochi, segno che il film viene apprezzato ovunque. C’era una forte commozione tra i presenti e alla fine il film è stato festeggiato con un lungo applauso. Così è accaduto in tante altre proiezioni che si succedono in continuazione”.
Il suo ruolo di sceneggiatore l’ha vista partecipe solo in fase di ideazione e scrittura o ha potuto partecipare anche alle riprese?
“Al film abbiamo partecipato tutti. Io sono stato coinvolto anche per la scelta delle location, durante tutto il tempo delle prove, e sul set. Ferzan mi ha chiesto di essere presente e di partecipare anche durante le riprese. Un’esperienza molto coinvolgente, profonda, dove si respirava un senso di estremo calore e di affiatamento. Ferzan ha un grande merito che è quello di aver creato un forte rapporto con il suo pubblico, capace di stabilire un contatto emotivo e io in questo caso mi sono sentito molto partecipe del film, rispetto alle sceneggiature che abitualmente scrivo. Le sceneggiature sono diverse tra loro e dipendono dall’incontro con i registi. Quello che c’è di nuovo in questo film che ho fatto è il rapporto privilegiato che si è instaurato con Ferzan. Ho misurato subito il talento della persona con cui lavoravo, mi sono sentito bene nel lavorare insieme, di giocare in quello che facevamo. Abbiamo scritto per un anno e mezzo insieme e ci siamo anche divertiti. Non ho mai sentito la fatica e percepivo che stavamo costruendo il film insieme”.
Oltre a questo rapporto così affiatato con Ozpetek, come è stata l’esperienza a contatto con gli attori?
“Prima di iniziare le riprese Ferzan ci ha convocati tutti a casa sua per la lettura della sceneggiatura. Il copione cambia con la partecipazione degli attori durante le letture. Un’esperienza altrettanto significativa grazie alla lettura creativa voluta dal regista. Una sorta di laboratorio aperto in cui ognuno diceva quello che gli piaceva di più e cosa voleva fare. Da questo contributo di tutto il cast io e Ferzan abbiamo poi riscritto il film. Lo stesso è successo anche con le location, il direttore della fotografia, i luoghi scelti dove girare”.
Il rapporto tra il regista e gli attori?
“Devo dire che gli attori che recitano nei film di Ozpetek sembrano diversi. In lui c’è una capacità straordinaria di creare delle relazioni con gli attori, così come è successo ad esempio con Riccardo Scamarcio. Li ha trasformati e lanciati al pubblico. Sono meccanismi ignoti con i quali questo regista riesce a tirare fuori la profondità di ognuno degli attori e dai suoi collaboratori. Mi ha fatto sentire coinvolto, diverso, spero anche migliore. Quando abbiamo terminato di scrivere la sceneggiatura gli attori hanno potuto partecipare, attraverso una prima lettura creativa, ad un laboratorio aperto in cui ognuno diceva quello che più gli piaceva del suo ruolo, cosa avrebbe voluto fare. Dopo questa fase io e Ferzan siamo rimasti soli e abbiamo riscritto il film. Lo stesso è accaduto con le location, il direttore della fotografia, i luoghi in cui è ambientata la storia.
Un film intessuto di scrittura poetica dove una frase molto commovente viene recitata da Ilaria Occhini nel ruolo dell’anziana nonna rivolta al nipote Tommaso, rientrato a casa a Lecce da Roma, e deciso ad affermare le proprie scelte personali anche a costo di scontrarsi con la famiglia: “Non farti mai dire dagli altri chi devi amare, e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre”.
Le differenze tra lo scrivere per il cinema o la televisione?
“Il rapporto che c’è tra lo scrivere di cinema o di televisione è dato dal mezzo diverso che influisce sul tipo di pubblico. Se scrivo per il cinema immagino che le persone, il pubblico, conoscano già il regista. Con la televisione generalista, come può essere Rai 1, entriamo nelle case cercando di farlo in punta di piedi. Come nel caso di “Tutti pazzi per amore”. Qui si tratta di affermare qualcosa che prima non c’era sul piano delle immaginazioni. Sono diversi i piani di narrazione. C’è la volontà di scompigliare un po’ le carte. Sapere che sto lavorando su Rai 1 con un pubblico impreparato incide molto sul mio entusiasmo che è vivo nell’utilizzare un mezzo di comunicazione con le persone e rendere più facile il dialogo. Al cinema parlo con persone più simili a me, rispetto alla televisione. Per collocazione, diversità geografica. Parlo con persone che non conosco e questo mi stimola di più. C’è una difficoltà sociale che ci costringe ad avere paura di parlare con le persone diverse da noi. Ci costringiamo a parlare solo tra noi simili per identità, quando invece sarebbe più entusiasmante parlare con chi è diverso da noi che abbia idee diverse dalle nostre. Mi sento meno solo nel lavoro che faccio. Non credo agli scrittori che parlano solo a se stessi. Per la loro ambizione. Il modo di lavorare con Ferzan Opzetek è quello che ti permette di realizzare una scrittura emotiva. Non è un lavoro fino a che resta lettera morta, fino a quando non c’è qualcuno che lo ascolta, lo vede”.
Passiamo alla scrittura narrativa. Nello scrivere un romanzo o una sceneggiatura cosa prova?
“Mi succede spesso di capire meglio il mio pensiero, il mio mondo quando scrivo i miei libri. Sono più autobiografici. Nelle sceneggiature scopro qualcosa di me. C’è molto del mio mondo. In un episodio in “Cronaca di un disamore” c’è un’esperienza che ho vissuto direttamente. In “Tutti pazzi per amore” non è così diretto. Qui scrivo per i sedicenni e signore di 65 anni. Entro nelle persone, nel romanticismo degli adolescenti. La scrittura è un mezzo potente fuori dal controllo. Vai a parare da un’altra parte. Devi pesare il materiale autobiografico quando rileggi ciò che hai scritto”.
I tempi di scrittura sono diversi per un romanzo?
“Ho impiegato anni per scrivere la “Kryptonite nella borsa”. Mi è servito molto tempo nel pensare a questa storia. La gestazione di “Cronaca di un disamore” è stata di un anno, non pensavo di scriverlo e mi sono servito di appunti tratti da storie diverse. Il mio intento era quello di scrivere un romanzo romantico all’altezza degli scrittori che mi piacciono. In più va sommato tutto il tempo impiegato per scrivere quello che poi ho gettato via, ricominciato e lasciato ancora. I miei romanzi sono scritti con leggerezza, racconto di quello che mi porto dietro nella mia vita, i passi falsi. Scrivo di getto tagliando poi il cinquanta per cento di quello che ho scritto nelle prime stesure. Mi piace molto tagliare nella fase di rilettura, lo rileggo come se fossi un altro. Non soffro nel tagliare e questo grazie all’educazione ricevuta alla scuola di cinematografia sperimentale, abituato a mettere le mani sugli altri dove impari a tagliare”.
Da lettore cosa non le piace quando legge un romanzo?
“Non mi piacciono quegli scrittori che amano scrivere quanto sono bravi. Questo si ricollega al tipo di lavoro che faccio dove non mi interessa che gli altri mi dicano quanto io sono bravo, anche in un libro. Io però mi sento più lettore che scrittore. Nella mia vita ho letto più di quanto abbia scritto”.
Anche se però scrivere per lei è vitale
“Prima di tutto ho fatto pace con una caratteristica che un po’ mi spaventava. Quella che vivo per lavorare. Ho trovato un equilibrio a stare dentro le cose che vivo. Come osservatore devi avere una buona capacità ironica e auto–ironica collegata con la distanza anche nei momenti tragici. Quando soffri l’elemento di essere buffo mi permette di stare dentro le cose. Una sorta di scrittura terapeutica, un desiderio di guardare con la distanza di ciò che succede. Da adolescente avevo paura di allontanarmi dalle cose. Ora le emozioni che vivo non mi spaventano più. Stando dentro mi sembrava che mi potesse togliere qualcosa. La paura è un rischio positivo. Devi cercare una strada diversa. Succede sempre la prima volta che affronti una nuova esperienza. Con i registi, con le storie mai scritte prima, con le cose che non hai mai fatto. Sono molto curioso e ho l’ansia da mantenimento. Continuare a scrivere è ciò che mi piace di più al mondo. Finisco nel cacciarmi in cose che non conosco”.