ROMA – E’ uno spettacolo interessante “Der Park” visto al Teatro Argentina di Roma. Imponente, ricco, di quelli che difficilmente si vedono in giro da anni, come ha ricordato Mauro Avogadro, incontrato a fine pièce, richiamando alla memoria le 25 pièces di simile imponenza da lui realizzate e auspicando una qualche forma di tutela per questo tipo di arte oramai bistrattata. Avogadro in “Der Park” è l’intenso interprete dello scultore Cyprian, una sorta di mefistofelico creatore e venditore di amuleti dalle contorte forme umane che Oberon (Paolo Graziosi), di cui è servitore, licenzia perchè l’amata Titania (Maddalena Crippa), vittima di un amore pasifeiano, è rimasta ferita dopo che l’ha aiutata a realizzare il desiderio di avere un fondoschiena da mucca per attirare il dio toro (in cambio della cessione del ragazzo nero, uno spazzino, interpretato da Martin Chishimba).
Maddalena Crippa si è detta invece preoccupata per come il pubblico può reagire di fronte alla lunga durata della pièce, quattro ore e mezza, perché si tratta di uno degli spettacoli più lunghi che calcano le scene italiane negli ultimi tempi (si consideri anche l’altrettanto lungo “Lehman Trilogy” del compianto Ronconi al Piccolo Teatro di Milano, le cui due parti, però, possono essere viste separatamente), ma pure non insolito in un regista come Peter Stein che, anni fa, osò un “Demoni” tratto da Dostoevski di ben 11 ore.
Splendida interprete del personaggio più fiabesco dello spettacolo, Maddalena Crippa, trasformista, appare ora una sorta di strega che spunta insieme al suo Oberon da un cespuglio pieno di immondizie, come fossero dei redivivi Nell e Nagg di “Finale di partita” di Beckett, ora una misteriosa dama d’altri tempi che realizza magie (come trasformare l’adulto Höfling – Andrea Nicolini – in un bimbo), ora una fanciulla vogliosa, giovialmente vestita di caldi colori fluo, che desidera un fondoschiena da mucca per conquistare il suo toro, ora una femme fatale in cerca del suo uomo-dio (e seduce tre uomini – Andrea Nicolini, Laurence Mazzoni, Daniele Santisi – per metterli alla prova), fino all’epilogo in cui è l’invecchiata, ma comunque viziosa, mamma di un minotauro (interpretato dal bravo Alessandro Averone) che racconta in un lungo monologo, tanto tenero quanto appassionato, di organizzare feste per vederla felice. Una scena tra le più belle ed intense, dal pathos tanto pittoresco quanto grottesco.
“Der Park” attraverso la sessualità degradata mette in scena una società annoiata, disordinata, sporca, cinica, antiromantica. Dire che sia il riadattamento contemporaneo di “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare è riduttivo, sebbene i personaggi (soprattutto Titania, Oberon e i quattro innamorati Wolf, Georg, Helen e Helma) tentino a più riprese di dirne i famosi monologhi, senza riuscirci. A volte cambiandoli. Frequente è però il riferimento al sogno o al sognare, e la seconda parte si apre con il risveglio di questi strani personaggi su un prato. Nel testo di Botho Strauss e nella regia di Peter Stein si notano, in realtà, forti venature di teatro borghese, dell’assurdo e del grottesco, simbolismo, surrealismo e repentini ritorni alla realtà, con conseguenti scarti percettivi, accanto ad un certo mondo fiabesco, mitico, ancestrale. E poi lo sperimentalismo registico avanguardistico con grande attenzione alle scenografie (parchi, giardini, interno case e il laboratorio di Cyprian) ed ai loro movimenti, tipico di un certo teatro d’oltralpe. Uno spettacolo abbastanza complesso e stilizzato (non ha il classico inizio-svolgimento-fine, ma è una sorta di epopea) che Stein fa scorrere leggero e veloce tra numerosi cambi di scena, spesso imponenti e come una specie di scarti scenografici, generi che si intrecciano e tematiche che si incontrano e poi ritornano modificate in maniera non molto dissimile dai drammi ispirati dalla fisica quantistica. La messinscena gioca sulla meraviglia: quando credi di aver afferrato, si cambia registro. Come quando i tre sportivi sedotti escono di scena vestiti da gendarmi.
Strauss e Stein costruiscono un microcosmo che, secondo le intenzioni espresse nelle note registiche, si muove nella Berlino dell’inizio anni ’80. Il regista sfrutta genialmente le potenzialità dell’opera e del suo titolo. La pièce, ambientata di notte, si apre su di un parco lasciato all’incuria, pieno di immondizie e con una fontana senz’acqua. Gli innumerevoli giardini che poi si susseguono sono invece curati ed ordinati. E’ Wolf (Gianluigi Fogacci) a dire che si è nella notte di San Giovanni (nel “Sogno” shakespeariano era invece nel Calendimaggio), quando la natura fa cose strane. Nella seconda parte sarà Titania a ricordare che era quella la data in cui il dio l’ha posseduta.
Un luogo affollato questo “Der Park”, si chiude con uno stacco cronologico evidente, mostrando Titania madre di un figlio già grande avuto dal dio dalle sembianze di toro, pur cercando sempre la presenza dell’amato Mittelzwein (Paolo Graziosi). Se non l’amore, almeno l’affetto alla fine trionfa. La sfera sessuale rimane. Ci si chiede però che fine abbiano fatto i punk. Per il resto è uno spettacolo eccezionale. E a sottolineare i cambi scena e momenti cruciali della pièce c’è una folta partitura musicale, dodecafonica (nella seconda parte) e rumoristica (di macchine che passano). Del “Sogno” shakespeariano si elimina la cornice ateniese. Ma ciò non toglie che qui i genitori, a modo loro, sono comunque presenti. Mittelzwein (licenziatosi dal “ruolo” di Oberon) si rivela essere il pacato e smemorato padre della ragazza punk (Arianna Di Stefano).
I temi affrontati sono molteplici: il degenerare della sessualità a pura merce o il puro gioco fisico di forza (Erstling – Fabio Sartor), il disorientamento delle nuove generazioni come lo sono i punk, accompagnato dalla noncuranza e dalla consapevolezza di quelle più vecchie di aver perso. La scena in cui Helma – Silvia Pernarella – rimprovera a Wolf di aver dimenticato la storia, il razzismo (che Georg – Graziano Piazza – un avvocato difensore dei più deboli, tenta di combattere nell’amata Helen – Pia Lanciotti – ella stessa straniera), la percezione della natura (la discussione di Helen e Wolf su una secrezione forse di cuculo pare fare il verso al famoso litigio sulla tartaruga di “Delirio a due” di Ionesco), la commistione tra arte e architettura, i discorsi degli innamorati su falsità, desiderio mimetico e sulla presenza “dell’altro”.
Sebbene sia Titania che Helma e Helen sono femmes fatales, solo le ultime due sono insultate dai punk, evidentemente perché sono del mondo reale borghese, mentre la prima è dell’aspetto fiabesco-mitologico e quindi poetico. Titania è talmente immersa nell’aspetto mitologico che pure Cyprian lo chiama “Dedalo”.
E’ frequente nella pièce l’allusione alla magia: oltre alla presenza della maga (qui non c’è il Puck del “Sogno” shakespeariano) e agli amuleti di Cyprian, Georg dice a Wolf che “L’inganno mi ha portato da una fata cattiva”, afferma anche di voler scappare nel mondo dei folletti e “nel vaso di conserve della nonna” perché solo lì si vive bene, lontano dai “beoni del benessere”. Helen è la rappresentate dell’aspirazione al successo e se lo aspetta anche dal marito Georg. Forse è un mondo non molto differente dal nostro, o per lo meno da quello in cui si rischia di cadere se non si prende atto del suo pericolo. Stein forse lo salva con quel pizzico di magia che trova nel complesso testo straussiano. Se l’aspetto definibile magico-fiabesco è affidato alla Crippa, Avogadro si trova nel mezzo tra fantasia e realtà, Graziosi prima nell’uno poi nell’altro e i punk sono la degenerazione, quello borghese è tutto dei quattro innamorati che a tratti riportano, in maniera esilarante, le scene shakespeariane nel bosco, a tratti invece sviluppano tematiche a cavallo tra il mondo della ricchezza annoiata e quello del corteggiamento sensuale, a volte sfiorando sensibilità da teatro dell’assurdo, con uno scarto nel discorso patriottico e nel morality-play.
Paradossalmente, se il mondo pensato da Strauss allude alla mancanza di poeticità, la messinscena di Stein per converso è fatta di scene poetiche.
“Der Park” è uno spettacolo che oltre alla bravura attoriale è pieno di inventiva testuale, scenica, musicale e registica. Peter Stein ne è consapevole se, come afferma nelle note di regia, era da tempo che voleva riallestire questo capolavoro scritto per lui da Botho Strauss all’inizio degli anni ’80 e rappresentato con successo alla Städtische Bühnen di Freiburg nel 1984. Il Teatro di Roma, divenuto Teatro Nazionale quasi in concomitanza con l’inizio delle prove della pièce, ne è il produttore. Tra le iniziative in programma si segnala un “Incontro con la compagnia” a cura di Antonio Calbi e Andrea Porcheddu, previsto per martedì 12 maggio, ore 16,00 al Teatro Argentina.
Visto il 07 maggio 2015 al Teatro Argentina (stagione Teatro di Roma) di Roma.
“Der Park (Il parco)”
di Botho Strauss (da “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare)
regia Peter Stein
scenografie: Ferdinand Woegerbauer
costumi: Anna Maria Heinreich
musiche: Massimiliano Gagliardi
con: Maddalena Crippa, Paolo Graziosi, Mauro Avogadro, Martin Chishimba, Gianluigi Fogacci, Graziano Piazza, Pia Lanciotti, Silvia Pernarella, Andrea Nicolini, Fabio Sartor, Arianna Di Stefano, Michele De Paola, Laurence Mazzoni, Daniele Santisi, Alessandro Averone, Carlo Bellamio e con il piccolo Romeo Diana in alternanza con Flavio Scannella.