GUALTIERI – GUASTALLA (Reggio Emilia) – “Sceso dal quel treno con quella faccia d’aquila… arriva lo straniero. Quale sarà il suo nome, come parlerà?… Sussurra tutta la città. … Schiacciato dalle valigie. La follia!”. Gualtieri. Ligabue. Un paese estraneo per un uomo malvisto. “ È un matto, non deve stare qui con noi”. Sono frammenti della drammaturgia composta per raccontare la vita di Antonio Ligabue, uomo emarginato da una terra che non lo riconobbe mai come un suo figlio, e nonostante questo, resa famosa da lui stesso. Un artista riconosciuto tale poco prima che morisse. Divenuto famoso dopo la sua scomparsa. Giustamente, se non doverosamente celebrato nel 2015, nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa, per merito di Mario Perrotta che ha ideato un progetto artistico a dir poco imponente ed esteso sul territorio, da Gualtieri a Guastalla, dalle rive del Po alle stanze dell’ex manicomio di Reggio Emilia. “Bassa Continua – Toni sul Po”, l’ultimo movimento di una trilogia composta anche da “Un bes Antonio Ligabue” e “Pitur”. L’ultima parte, quella più spettacolare, resa popolare per la partecipazione corale di artisti (ben 180 divisi tra sezioni artistiche differenti), realizzata in luoghi all’aperto, dove Ligabue viveva, facendo conoscere (il valore aggiunto sta in questo) anche spazi architettonici, palazzi, teatri, biblioteche, facendoli assurgere ad un ruolo importante: quello di ambasciatori di un cultura più vasta, spesso dimenticata e non valorizzata sufficientemente. Ed ecco che i tre percorsi ideati da Mario Perrotta: “Città – degli uomini e dello scemo del paese” – “Fiume – della solitudine, della libertà” – “Manicomio – della coscienza dell’artista”, non sono (solo) i palcoscenici sui quali ricreare le fasi di vita di Ligabue, ma, soprattutto, tre viaggi a ritroso in grado di restituire all’artista tutta la sua dignità, la sua identità, la sua straordinaria immaginazione visionaria, divenuta nel tempo dote e talento.
Non è semplice teatro quello di Perrotta, capace di ideare e realizzare un “sogno”; è qualcosa di più importante che solca ogni confine artistico per sconfinare in un ambito culturale, storico e rievocativo tale, da permettere di partecipare in prima persona, ad un evento che resterà nella storia dello spettacolo italiano. Racconta 45 anni di vita, il rapporto contrastato e tormentato tra il “Toni” e il paesaggio urbano, 30 anni di vita solitaria nei boschi e sulle rive del Po, la tavolozza naturale da cui attingeva per dipingere, la sua indole così inquieta da portarlo ad essere ricoverato nel manicomio di Reggio Emilia. Racconti che si intrecciano, convergono e come linee intersecanti per poi divergere, fino a congiungersi con il finale collettivo nella piazza di Gualtieri, dove si poteva assistere al funerale del pittore, celebrazione e accusa per non averlo accettato, per averlo respinto in vita, per aver partecipato alle esequie, quando ormai la sua fama era tale che tutti i possessori di una sua opera facevano a gara per venderla.
I quadri di Ligabue usati per fare sgabelli nelle stalle si trasformano in capolavori che vanno a ruba. “I quadri potevano essere la vostra fortuna, bastava aspettare, voi dovevate restare senza quadri da ammirare e senza vite da svoltare”. Ligabue si triplica per essere interpretato da tre diversi attori: Mario Perrotta, Marco Cavalcoli, Lorenzo Ansaloni ognuno con il suo percorso umano, esistenziale, itinerante, dando vita a scene di rarefatte emozioni. La notte sul Po, le ombre che inseguono la mente del pittore, la vita del paese a lui così ostile, la solitudine tra le golene del fiume, la reclusione nel manicomio divenuto il suo atelier in cui potersi dedicare alla sua pittura, fino a far vivere al pubblico, o meglio dire rivivere, le scene di vita quotidiana che ogni giorno scandivano l’esistenza del pittore.
Tutto ha inizio con una danza frenetica, quasi un rito propiziatorio nella piazza di Guastalla all’imbrunire, la luce soffusa del cielo padano si fondeva con le tinte pastello dei palazzi circostanti. Schiacciato dalle valige che i danzatori usano come oggetti respingenti: metafora potente nell’esprimere quello che era il sentimento popolare nei confronti di Ligabue esiliato in una terra che non lo desiderava. Dalla Svizzera a l’ Emilia, dalle sue amate montagne e pascoli alpini alla pianura padana. Uno straniero e per questo rifiutato. La danza è l’espressione visiva dell’incubo vissuto, malvisto qual’era. Teatro corale e musicato, l’epoca fascista che avanzava fino ad arrivare alla piena del Po del 1951. Ligabue la visse come una tragedia personale, lui che viveva sulle sponde del fiume, si vide travolgere tutto dal fango. L’acqua che sommerse ogni cosa. Tragedia nella tragedia. La natura ostile si aggiungeva a quella che gli uomini dimostrarono nei confronti del Toni. Un percorso itinerante, suggestivo e capace di mantenere una tensione drammaturgica, scenica, recitativa, dall’inizio alla fine. Un’organizzazione artistica capace di spostare artisti e pubblico da paese in paese, dalla campagna alla città. Da Gualtieri e Guastalla all’ex manicomio di Reggio Emilia, facendo rivivere le vicissitudini dolorose e sofferte dell’uomo a cui Mario Perrotta insieme ai tanti artisti, musicisti, danzatori, restituisce con esemplare ricostruzione storica e forse anche affettiva, la dignità di uomo incapace di vivere in una società a lui estranea.
Lo denuncia lo stesso attore e regista supervisore di tutto il progetto (coadiuvato perfettamente dalle regie di Donatella Allegro, Alessandro Migliucci, Andrea Paolucci , l’aiuto regista Vincenzo Picone, l’assistente alla regia Mattia De Lucal) nella scena del corteo funebre che sigla l’evento, lo spettacolo, la vita terrena di Ligabue. Il suo è un grido accorato di denuncia, seduto sopra la sua bara trasportata a spalle, seguita dalla gente che non lo aveva mai amato, parole sentite che provenivano dal cuore. Mario Perrotta è Ligabue che pronuncia parole severe nei confronti di chi si è arricchito con la sua arte, ipocrita nel testimoniare un lutto per nulla sincero, forse dettato dalle convenienze sociali del momento storico. Era diventato famoso il Toni dopo la sua morte, venerato e celebrato; non si poteva mancare al suo funerale. Ma ancor prima il pubblico si è fatto trasportare da emozioni palpabili sui visi stupiti di chi era presente, la notte, sulle sponde del Po. Scie di lucciole, la musica che accompagna la danza, le attrici nei ruoli delle donne che Ligabue cercava invano, femmine procaci, desiderose di farsi corteggiare, provocatorie e ciniche nei confronti di un uomo per nulla attraente e seducente.
Il percorso tra i filari dei pioppi, apparizioni improvvise, musicanti e la balera. Tra di loro un’attrice di talento come Micaela Casalboni, in una delle scene più riuscite dell’intero spettacolo itinerante. La sensualità emiliana, il piacere della trasgressione, l’ardore femminile, viste come un immaginario impossibile da vivere per l’uomo che scappava sempre. Una balera dove si suona e si provoca. Il ballo, la musica, il vagare del Toni che ossessionato dalla presenza femminile rifugge da un desiderio che lo ossessiona. Si viene catturati e portati sul fiume dove appare una figura femminile quasi eterea che offre il suono della viola e la voce di Danusha Waskiewicz, musicista in forza ai Berliner Philarmoniker, scritturata per dare alla scena di Ligabue che appare prima al centro del fiume (un Marco Cavalcoli da brividi per l’intensità della sua recitazione), capace di diffondere nell’aria sonorità struggenti e malinconiche, rese ancor più poetiche per l’apparizione finale dell’attore sulla barca che scompare nel nero della notte.
Ligabue è qui che immaginava i suoi quadri raffiguranti animali esotici, paesaggi lussureggianti mai visti se non sui libro di geografia che si faceva procurare. Non a caso la visita alla Biblioteca Maldotti di Guastalla dove ci viene spiegato come il Ligabue si facesse procurare in visione testi preziosi e rari conservati in una biblioteca, vero giacimento culturale tra libri antichi e quadri, enciclopedie illustrate. Atlanti originali francesi del 1879: “Manca l’Australia perché non era stata ancora scoperta – spiega la guida e attrice Silvia Lamboglia – durante la visita – e Bartoli, un amico di Ligabue prendeva a prestito i libri per darli al pittore. I quadri che raffigurano le bestie selvagge, il quadro del leone sono ispirati dalle immagini tratte dagli atlanti. Vengono studiosi da tutto il mondo per visitare questa biblioteca. C’è anche un raro manoscritto del 1400 che parla di Gerusalemme”. Visitare questo luogo permette di comprendere bene come la curiosità e il desiderio di sapere del pittore, smentisce come egli fosse un matto senza coscienza di quello che faceva. E la psichiatria di quel tempo fece la sua parte per sostenere tale ipotesi.
Lo spettacolo dedicato al ricovero in quello che fu il manicomio di Reggio Emilia, riesce a suggestionare come poche volte è accaduto nell’assistere ad una rappresentazione teatrale. La sua sofferenza, la sua solitudine, la sua incapacità a relazionarsi secondo schemi sociali convenzionali, le sue originali e incomprensibili gesta alla popolazione e ai medici, lo condurranno verso il Padiglione Lombroso, dove si è potuto assistere ad una rievocazione drammatica di quelle che erano le condizioni di degenza. Alle finestre grandi inferriate da dove spuntano visi, braccia e gambe di giovani performer pallidi ed emaciati. Indossano camicie di forza e si aggirano per i corridoi senza meta, blaterando frasi sconnesse. Tra i performer che interpretano i malati di mente ci accoglie un medico in camice dal fare molto severo e professionale, è il bravo Roberto Marinelli, un attore che da un’interpretazione drammatica di come venivano curati i pazienti, tra cui lo stesso Ligabue. Marinelli spiega con un piglio deciso le cure somministrate, le terapie per sedare, la riabilitazione dei socialmente emarginati: “Siamo gli avamposti della comunità scientifica”. Racconta come il paziente artista “maledetto” definito “genio e follia”.
Era il 14 luglio del 1937 quando Ligabue viene ricoverato per la terza volta. Si assiste alla spiegazione di una anamnesi e le parole assumono una valenza impressionante. “Interrogato afferma di essere l’uomo che assomiglia più vicino ad un’aquila. Ligabue – spiega l’attore nei panni di un psichiatra– ha un’alta concezione di sé e scarsa per gli altri. Soffre di deviazioni di carattere sessuale, si manifestano episodi di onanismo pubblico e privati. Presenta condizioni depressive”. Ascoltare la storia clinica di questo uomo non lascia indenni, insorgono emozioni sollecitate dal luogo stesso dove va in scena “Della coscienza d’artista”, la parte del progetto dedicata alla malattia curata al manicomio San Lazzaro, dove si potevano osservare gli strumenti di contenzione utilizzati in passato, epoche dove la malattia mentale veniva trattata con la coercizione, con la sedazione, con trattamenti dolorosi come poteva essere l’elettroschok .
Sono gli anni dove Ligabue, il Toni, si dedicherà a tempo pieno alla pittura e ai suoi autoritratti che lo ossessionavano. Marinelli nelle vesti dello psichiatra lo definisce:“Incline alla pittura e le sue opere frutto di un cervello eccitabile ma le sue opere hanno pari dignità ai quadri di altri artisti”. Il pubblico viene accompagnato dentro le anguste celle dove venivano ricoverati i pazienti acuti e qui si assiste a quelle follie che ogni performer crea per far rivivere decine di Toni, blaterando parole, sussurrando frasi ossessive. Nasce una strana empatia tra attore e spettatore, suggestioni che confluiscono nella danza finale, ritmata, sincopata, gestuale espressiva per raffigurare l’ira , la follia, l’irrazionalità dell’uomo stesso. “Bassa continua Toni sul Po” è un’opera omnia realizzata con estrema cura artisticamente e professionalmente, dove l’impegno di Mario Perrotta e tutti i partecipanti risulta notevole e non solo per la resa spettacolare, quanto, invece, offre un ritratto culturale e sociale del contesto storico in cui Ligabue è il perno centrale, intorno al quale ruotano storie collaterali, ben sviluppate. Il Teatro Comunale Ruggero Ruggeri di Guastalla dove va in scena un percorso teatrale e musicale dietro le quinte della scena.
Ricordi e fasti di un teatro importante sul quale palcoscenico hanno recitato i nomi più illustri, attori e attrici, registi, compagnie nazionali. La visita guidata permette di rivedere un passato in cui si racconta, non solo l’anima di un gioiello architettonico teatrale ma anche la vita di un tecnico di palcoscenico, l’anima stessa del Ruggeri, un uomo che abitava in teatro, la madre preparava la cena per gli attori servita dietro il sipario a fine spettacolo. Ma c’è anche la tragedia vissuta sul Po, la piena del 14 novembre del 1951 quando il fiume rompe gli argini e allaga la terra, devasta i paesi, sommerge case. “Un lago infinito dove sbucano solo i campanili”. Il Po del pittore che non vuole abbandonare, la sua casa è li. Non è un cittadino. Narrazione teatrale e narrazione storica. Un viaggio a ritroso, un progetto di ampio respiro che culmina nel funerale in piazza a Gualtieri, la bara del pittore, Mario Perrotta seduto sopra che si congeda dalla vita con il dolore di chi è stato incompreso e detestato prima e ora, dopo la sua comparsa seguito dalla popolazione, dalle bande musicali che suonano la marcia funebre. Un mesto corteo che sigla un’esperienza unica nel suo genere.
Bassa Continua Toni sul Po di Mario Perrotta
Visto il 24 maggio 2015 a Gualtieri, Guastalla, Reggio Emilia
Progetto Ligabue
testi di Nicola Bonazzi /Mario Perrotta
progetto musicale e arrangiamenti Vanni Crociani
testi musicali di Gabriele Graziani/ Mario Perrotta