PRATO – Interno borghese inglese. La cantatrice calva messa in scena a Parigi nel 1950, si apre su un salotto in cui tutto, compresi gli elementi di decoro, è inglese. Essere inglese viene considerato, in questo caso, una caratteristica fondamentale per lo svolgimento della vicenda. Per la scrittura della drammaturgia Eugène Ionesco si ispirò ad un manuale di conversazione inglese di cui cercò di riprodurre le frasi stereotipate e banali senza possibilità di replica, che fanno dell’opera un’anticommedia incentrata sul controsenso della vita e sull’insostenibile pesantezza dell’essere.
La cantatrice calva è una delle opere più rappresentative del teatro dell’assurdo, che secondo la definizione fornita da Martin Esslin nel saggio The theatre of the Absurd (1961) identifica un gruppo di drammaturghi attivi a Parigi negli anni ’50, tra i quali spiccano Samuel Beckett ed Eugène Ionesco. Le loro opere sono assurde perché non raccontano una storia logica e lineare, i personaggi non si esprimono in forma compiuta ma disarticolano il significato delle parole. Queste opere sono pubblicate e messe in scene a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale e danno quindi una chiara idea dell’alienazione sociale e della crisi di valori in atto in quel periodo storico. La regia di Massimo Castri è fedele in maniera maniacale al testo e alla concezione teatrale di Ionesco, anche se in alcuni momenti si spinge oltre, basti pensare alla descrizione della scenografia che diventa un prologo affidata al capitano dei pompieri, che riveste anche il ruolo di narratore.
Un divano collocato al centro del palcoscenico distribuisce in maniera simmetrica la scenografia, costituita da una pendola, da un divano e da due poltrone laterali su cui sono seduti i signori Smith. Lui (Mauro Malinverno) legge e sbatte ripetutamente il giornale, lei (Valentina Banci) parla di diversi argomenti, come il cibo e la medicina, senza che il suo discorso abbia un filo logico. Nonostante la descrizione minuziosa della cena, gli Smith sono in attesa dei Martin (Fabio Mascagni ed Elisa Cecilia Langone), che vengono annunciati come ospiti dalla cameriera Mary (Sara Zanobbio). Mentre gli Smith escono per cambiarsi d’abito – rientreranno poco dopo vestiti nello stesso modo – tra i Martin si svolge una conversazione al limite dell’inverosimile, in cui i coniugi si comportano come due perfetti sconosciuti che scoprono, attraverso una ricostruzione minuziosa dei fatti, di essere sposati e di abitare nella stessa casa. Successivamente rientrano gli Smith e alla conversazione a quattro si aggiunge il capitano dei pompieri (Francesco Borchi), alla ricerca di un incendio da placare che in realtà non esiste. Il capitano dei pompieri diventa anche artefice di uno spettacolo nello spettacolo e narratore di una serie di aneddoti, che culminano in quello intitolato “Il raffreddore”, al quale partecipano con commenti di sottofondo anche tutti gli altri personaggi.
Prima di andarsene, il capitano dei pompieri fa una domanda sulla cantatrice calva, il personaggio che dà il titolo all’opera ma che aldilà di questa breve allusione non compare mai. Il racconto degli aneddoti si trasforma poi in uno scambio di battute senza senso tra le due coppie, che culmina nel finale a sorpresa che ripropone la medesima scena che apre lo spettacolo con protagonisti i Martin. Il senso della rappresentazione teatrale sta proprio nel non avere un senso. I dialoghi infatti danno luogo a situazioni paradossali, in cui i personaggi scardinano la proprietà di linguaggio per descrivere una condizione di estrema incomunicabilità tra le persone. Aldilà delle numerose battute divertenti – uno per tutti il botta e risposta tra gli Smith sulla famiglia dei Bobby Watson, commessi viaggiatori – l’opera non può essere considerata una commedia. L’effetto comico tendente al grottesco in realtà è funzionale alla proliferazione delle contraddizioni in termini, in cui i personaggi negano ciò che hanno appena affermato oppure si comportano in maniera opposta rispetto alle intenzioni palesate, come il capitano dei pompieri che nonostante la fretta si trattiene in casa degli Smith per dedicarsi al racconto degli aneddoti.
L’assurdo dell’opera risiede in prima battuta nel linguaggio, che è schematico e ripetitivo. Ionesco si diverte a disarticolarne l’unitarietà ricorrendo a frasi fatte, modi di dire, scioglilingua, allitterazioni che culminano nel botta e risposta finale. In Notes et Contre-Notes (1962) Ionesco afferma infatti di volere “fare un teatro di violenza: violentemente comico, violentemente drammatico”. La regia di Massimo Castri prende alla lettera la concezione teatrale dell’assurdo e fa dell’opera un teatro nel teatro, in cui gli attori giocano con lo spazio disegnando giochi simmetrici e con il testo mettendo in risalto il vuoto che alberga all’interno dei personaggi, che si stupiscono di fronte a fatti comuni (ad esempio l’uomo che si allaccia le scarpe in strada) perché di fatto non hanno niente da dirsi. Oltre al linguaggio anche le coordinate spazio – temporali sono prive di un significato. La prima informazione che viene fornita con una certa premura dalla Signora Smith è l’ambientazione, come se essere inglese dei dintorni di Londra avesse una particolare rilevanza per la vicenda. Anche il tempo non è definito, la pendola che si trova nel soggiorno batte rintocchi a caso che variano da una scena all’altra, perché come spiega il Signor Smith “ha lo spirito di contraddizione”.
Infine, il titolo. La cantatrice calva non compare mai in scena come il Godot del testo di Beckett, è il frutto dell’immaginazione folle dei personaggi e l’ennesimo pretesto per dare luogo ad una risposta banale (“si pettina sempre allo stesso modo!”). Il botta e risposta tra i personaggi inizia tra gli Smith e prosegue poi, in una conversazione a quattro, con i Martin. Le due coppie sono ben amalgamate, complementari anche a livello visivo – indossano rispettivamente abiti dalle tonalità fredde e calde – tra di loro si inserisce con funzione di pacere il capitano dei pompieri, che riporta l’equilibrio in scena e poi catalizza su di sé l’attenzione attraverso il racconto degli aneddoti, al quale gli altri personaggi partecipano come tanti spettatori affamati. L’opera si conclude, come nel testo di Ionesco, con un andamento circolare. Dopo la guerra verbale finale, in cui sembra che anche i personaggi vogliano disarticolarsi, si assiste alla stessa scena dell’inizio con protagonisti i Martin. Come se niente fosse cambiato in quella casa nei dintorni di Londra e la pendola avesse continuato a battere rintocchi a caso.
Visto al teatro Metastasio di Prato il 7 dicembre 2014.
La cantatrice calva
di Eugène Ionesco
traduzione Gian Renzo Morteo
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana
scene e costumi Claudia Calvaresi
progetto luci Roberto Innocenti
musiche Arturo Annecchino
aiuto regista Thea Dellavalle
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio, Francesco Borchi
regia Massimo Castri
con la collaborazione di Marco Plini