GENOVA – Si balla fino a notte fonda a Genova tra due chiese del romanico ligure, San Donato e Sant’Agostino, quelle con le eleganti fasce bianche e grigie, e in uno spazio che, nel nome di Lele Luzzati, si moltiplica tra più sale di spettacolo, un orto sociale, un giardino, un ristorante: il Teatro della Tosse. Si balla dal 26 Novembre: il Festival di Danza Internazionale, “Resistere Creare” è diretto da Michela Lucenti, con nomi illustri e prime nazionali, in scena fino al 6 Dicembre. Breve cronaca di una delle prime sere, ma non la prima. Molta gente giovane si prepara al bar per affrontare il fitto programma artistico o gira tra magiche foto della Pina Bausch e del Tanztheater Wupperthal scattate da Francesco Carbone, 25 anni al seguito di “Pina… Salvadora de mi vida”.
Alle 20.30, “Pizzeria Anarchia” della Compagnia di Balletto Civile scalda in 70 minuti il pubblico, spettatori anziani parlano ad alta voce sconcertati, i giovanissimi rispondono con un applauso: in scena ci sono dieci funambolici danzatori attori musicista che provengono da tre parti del mondo: l’Uomo Palla, i Punks, le vecchiette, il Capo della Polizia difendono o bloccano il diritto alla casa e alla libertà. Tocca poi ai tedeschi Signa con “Il grande rifiuto” ipotizzare quel che sarebbe potuto accadere se non ci fosse stata la Prima Guerra Mondiale, con la complicità del pubblico. Intanto, nell’Agorà, danzatori si muovono liberi improvvisando in mezzo alla gente, e con 14 gradi si può anche stare seminudi. Il ristorante un poco alla volta si riempie, alle tavolate di legno, istigato da un concerto di musica sudamericana che fa muovere passi di samba anche a chi sta seduto.
“Resistere Creare” si incunea nella regolare stagione del Teatro della Tosse, vuole incitare alla resistenza nei confronti dell’immobilità, della taccagneria, della sordità alle relazioni e alla creazione di un cambiamento. Si può trasformare l’esistente tramite la danza? La danza, dice Lucenti, è “testimonianza che si esplicita con forza attraverso immagini, tradotte col nostro strumento più intimo: il nostro corpo”.
Se il corale “Pizzeria Anarchia”, dal nome di uno spazio di Berlino, ha aperto la rassegna, è il nuovo lavoro del coreografo belga Wim Vandekeybus, già con Jan Fabre, a chiuderla il 6 dicembre, con “Speak Low if you speak Love”, lo spettacolo che parla d’amore con tutta l’energia e la bellezza di un gioco di relazioni di estrema fisicità, tra rock e danza classica. Tra gli spettacoli in rassegna, ce ne sono della durata di cinque minuti, come il solo di Francesco Gabrielli che dice la libertà di volare stando attaccato alla terra; ai 108 dei Rootlessroot con “Eyes in the colour of the rain”, il tempo degli eroi non finisce, si può arrivare ad autodistruggersi per poi ricostruire la voglia di vivere, naturalmente attraverso la danza. Il filo conduttore della rassegna è infatti il messaggio che gli artisti del corpo, danzatori acrobati attori, e musicisti trasmettono con l’incredibile energia dei loro strumenti, nella sincerità del loro esercizio al limite del possibile. E il pubblico seduto – sconvolto, sorpreso, eccitato – sembra scosso da una scarica elettrica.