ROMA – Nel secolo scorso Adolphe Appia, scenografo e teorico della scena teatrale, auspicava che le luci in teatro non fossero utilizzate esclusivamente come fonte d’illuminazione, ma che fossero invece un elemento drammaturgico, capaci di creare forme per contribuire e costruire il senso di un’azione teatrale. Assistendo alla performance “The Enlightenment”, del duo Quiet Ensemble, andata in scena in occasione del Romaeuropa Festival 2015, non si può non pensare agli scritti e alla figura del maestro ginevrino, e alla rivoluzione dell’illuminotecnica che progettava di realizzare. Anche chi non conosce il suo operato non può che essere concorde che il protagonista di “The Enlightenment” sia la luce o “l’illuminazione”, che a differenza di come si possa pensare, non illumina ma produce senso, costruisce la drammaturgia e ne diventa suo performer.
Parlare di questo allestimento è cosa abbastanza ardua, se non impossibile; forse si può soltanto vivere il momento della performance senza perdersi in troppi giri di parole. Una cosa è certa però, difficilmente si ha la possibilità di assistere a una performance di questo tipo che da un lato può sconvolgere, irritare, disturbare e dall’altro può affascinare, entusiasmare e coinvolgere. Bernardo Vercelli e Fabio Di Salvo, i due membri del gruppo, definiscono la performance come un’orchestra i cui musicisti sono diversi sistemi di illuminazione, che suonano se stessi. Gli spettatori, infatti, trovano sulla scena una grande quantità e varietà di luci (neon, lampade stroboscopiche, fari teatrali) che, grazie all’intervento dei due membri del Quiet Ensemble (performer invisibili, sagome simili alle ombre cinesi), si spostano nello spazio scenico, si animano e grazie all’ausilio di bobine di rame producono dei suoni mediante la trasformazione dei campi elettromagnetici della luce stessa in impulsi elettrici e sonori. Un concerto particolare dunque, non fatto di musiche ma dai suoni che producono gli stessi oggetti. I due performer che dirigono questo concerto non sono in realtà dei veri e propri direttori d’orchestra. Spostano gli oggetti nello spazio ma come gli spettatori e in modo differente da un concerto musicale, si fanno sorprendere, seppur nella partitura di base stabilita, dalla varietà e dalla indeterminatezza dei differenti suoni che i vari tipi di luce producono, intervenendo più che sui singoli suoni sui passaggi dall’uno all’altro.
L’azione di luci così diverse e la diffusione dei loro suoni intrinseci alterano lo spazio in modo drastico, colpendo direttamente lo spettatore. Luci e suoni creano in particolare una saturazione del campo visivo e sonoro. Durante la performance si entra in un’altra atmosfera, in uno spazio differente da quello che comunemente si vive, perché lo spettatore subisce un feroce attacco ai suoi sensi principali: la vista e l’udito. È questa la ragione principale che determina il disturbo o la fascinazione di ogni singolo spettatore, la cui reazione è determinata principalmente dalla maggiore o minore acutezza dei propri sensi.
Ciò che la performance però produce, al di là delle differenti reazioni, è un’azione di ripulitura, un ritorno a un grado zero dell’apparato dei sensi dell’uomo, che giornalmente viene bombardato da infiniti stimoli. Mettendo sotto pressione la vista e l’apparato uditivo, “The Enlightenment” aiuta a recuperare le qualità e le possibilità dei propri sensi, permettendo, a seguito di questo shock acustico-visivo, di riscoprire e di godere in modo rinnovato della realtà che ci circonda.
Visto il 28 novembre 2015 al Macro Testaccio di Roma in occasione di Romaeuropa Festival 2015
Ideazione, Performance live Quiet Ensemble
Foto © Elisa D’Errico, roBOt Festival
Organizzazione Claudio Ponzana Curatela Federica Patti – roBOt Festival 14
Coprodotto da roBOt Festival, Teatro Potlach Partner Artisti Drama, Q-02 Bruxelles