MILANO – Cos’è, il teatro? E’ fisiologico, per chi se ne occupa, tornare a chiederselo, di tanto in tanto. Tutti i grandi hanno dato la loro risposta. “Il teatro serve a colmare la distanza tra me e te”, sosteneva Grotowski,“Non so perché faccio eatro, ma so che non potrei fare altro”, confidava Ronconi, fino a: “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita” di Eduardo De Filippo. Quel che sorprende, nella gente di teatro, sono la passione e l’urgenza, il sacro fuoco che è anche dell’arte più in generale – certo – e la vocazione divorante, che li portano ad accettare un modus vivendi di per sé precario e itinerante. Eppure ad ogni selezione per entrare nelle varie accademie teatrali, il numero dei candidati esubera quello dei posti disponibili, pur senza che vengano offerti, in linea squisitamente teorica, chissà quali sbocchi o possibilità lavorative. Perché lo fanno? Al netto di un certo protagonismo, forse, o della lusinga delle luci della ribalta, quel che davvero accade e funga da gancio è verosimile che sia un’urgenza. Dall’auto affermazione al bisogno di portare in prima linea determinate tematiche, è comunque un bisogno a muovere chi fa teatro al confronto con il pubblico. Questo spiega perché la cosa più disarmante, a teatro, è vedere spettacoli magari anche ben confezionati, pensati, recitati in modo ineccepibile e pure ameni e divertenti, ma non riuscire a portarsi a casa il motivo dell’urgenza.
Che distanza può colmare, se non certo quella storico-pedagogica, uno spettacolo illustrativo del modus brechtiano di mettere in scena? Dove, il pungolo nella carne, che ci fa capire, a un tratto, il perché? Canzoni con la loro valenza estraniante, cartelli – qui proiettati in stile film primo “900, strizzando l’occhio a Charlie Chaplin -, recitazione grottesca o surreale e tutto quanto apparecchiato per far rivivere in scena gli umori dei caffè berlinesi dell’epoca. Ma poi? Questo è il punto al tempo stesso di forza e di debolezza di “Mr Pùntila e il suo servo Matti” in scena in questi giorni e fino a Capodanno al Teatro Elfo Puccini di Milano. Punto di forza: riproduce quanto più fedelmente possibile quelle atmosfere, funge quasi da insperato star gate – e le scolaresche presenti in sala non fanno che confermarne l’efficacia pedagogica. Ma poi diventa anche indice di criticità. Dopo aver goduto della recitazione splendidamente leggera e acrobatica – la stesso Brecht dava indicazioni in tal senso rispetto a Mr Puntila -, aver riso di battute argute ma sempre a un passo dalla linea sottile della satira, dopo aver sussultato nel cogliere la valenza simbolica argutamente sparpagliata nelle scene, (come sempre deliziosamente pensate e disegnate dal duo Ferdinando Bruni/ Francesco Frongia), nonostante tutto questo, ci si porta via la sensazione di aver assistito a una commedia, ma che commedia leggera non è.
Manca il pathos. Manca l’urgenza. E, forse per questo, si alleggerisce fino a svaporare la satira in farsa. La trama narra di Puntila, ricco e taccagno proprietario borghese, e del suo chaffeur Matti in dialettico confronto servo-padrone. Se il primo – un bravissimo Ferdinando Bruni, come sempre puntuale alla prova attorale – alterna momenti di lucido egoismo capitalista a interminabili pause alcooliche, che sembrano riconsegnarlo ad un’umanità più ingenua e benevola, l’altro – altrettanto efficace Luciano Scarpa – è costantemente padrone del proprio spirito di rivalsa sociale, che a tratti però dissimula, quasi per una sorta di disfattismo di fondo, mentre a tratti gli rigurgita da dentro, fino all’estremo: “Vade retro!”. Accanto a loro una serie di personaggi altrettanto grotteschi, che la regia Bruni/Frongia alleggerisce fino a renderli quasi surreali. La poliedrica Elena Russo Arman è Eva, capricciosa, civettuola e stranita figlia di Puntila, nonché annoiata promessa sposa dello squattrinato, ma titolato gagà, dell’esilarante interpretazione di Umberto Petranca, capace di restituire superbamente i colori di quell’aristocrazia vacua, ma strenuamente intenzionata a non perdere i propri privilegi, pur cedendo a continui compromessi, fra il serio e il faceto, con la borghesia economicamente imperante. E’ Puntila, il perno della vicenda.
Attorno a lui ruotano sia i notabili bacchettoni, che la penna di Brecht tratteggia come debosciati caricaturali, sia le donne del popolo, che Puntila vanamente lusinga con aleatorie promesse di matrimonio, profuse da ubriaco, ma astutamente non vidimate, così da poterle furbescamente ricusare da sobrio. Sono il Pastore/Luca Toracca, che interpreta pure il bracciante escluso al mercato per l’ingaggio di lavoranti a causa della sua scarsa prestanza fisica, il Giudice/Nicola Stravalaci e l’Avvocato/Matteo De Mojana, impegnato, quest’ultimo, anche per gli arrangiamenti e la musica dal vivo, nello spettacolo. Ida Marinelli è la spacciatrice di liquore, Corinna Agustoni, la telefonista, Carolina Cametti, la farmacista e Francesca Turrini, la pastorella – oltre al proletario interpretato da Francesco Baldi.
Una pièce ben realizzata, si diceva, arguta nell’escogitare efficaci eppure semplici apparati semantici. Così la tendina-siparietto dell’incipit, ma non solo, rappresenta una banconota della nazione di Puntiland con tanto di porco come sua effige. E’ evidente l’allusione ideologica allo “sporco padrone”, così come lo è l’ambientazione in una sorta di aia, dove, inevitabilmente, non possono che sgrufolare, questi personaggi dallo spessore quasi animalesco. In contro luce “La fattoria degli animali” di Orwell. In contro canto quel “Cerco l’uomo”, costante mantra di questo Puntila/Diogene, ma la cui ultima tentazione rivela più la natura satanica che la ricerca salvifica di questo non esattamente povero cristo. “Dietro questo aspetto da simpatico buontempone si nasconde un uomo malato. Molto malato”, dice di sé a Matti, di cui implora apparentemente amicizia, ma di fatto probabilmente solo comprensione e conforto.
“Ho degli attacchi! Attacchi di sobrietà! Mi prendono una volta ogni tre mesi. Ecco, per esempio, invece di due bicchieri ne vedo uno solo. Vedo il mondo a metà!”. Certo fa ridere, ma è il suo modo ipocrita di raccontarsela, fra il serio e il faceto, e forse è proprio l’ipocrisia dei rapporti – sociali e non, ai tempi non solo di Facebook – quel che può restituire senso e attualità a quest’incursione in Puntiland; e tutto il discorso sull’immagine di sé – sia di fronte e sé che agli altri. Altrimenti può andare bene portarsi a casa anche soltanto la riproposizione fedele, accurata, ben fatta e assolutamente godibile di questa in Italia poco rappresentata commedia brechtiana.
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano giovedì 10 dicembre.
Sala Shakespeare, dal 30 Novembre al 31 Dicembre 2015
Lunedì-Sabato 20.30 / Domenica 16. 00 / 26 Dicembre 16.00
MR PÙNTILA E IL SUO SERVO MATTI
di Bertolt Brecht
traduzione di Ferdinando Bruni
regia e scene di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
costumi Gianluca Falaschi
musiche originali di Paul Dessau, arrangiamenti di Matteo de Mojana
con Ferdinando Bruni, Luciano Scarpa, Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Elena Russo Arman, Luca Toracca, Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana, Francesca Turrini, Francesco Baldi, Carolina Cametti
luci di Nando Frigerio
suono di Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell’Elfo
foto Laila Pozzo
prima nazionale