PISTOIA – La Compagnia italo-australiana Cuocolo|Bosetti di nuovo in residenza al Funaro (dopo l’esperienza del 2015 di Mm&m, il laboratorio Secret room e lo spettacolo itinerante per Emily Dickinson), con Roberta cade in trappola (un debutto assoluto), propone un viaggio di affascinante affabulazione ai confini della memoria intra ed extra psichica ed esperienziale umana. Nella città di Pistoia designata Capitale italiana della Cultura 2017, questa nuova coproduzione internazionale (a seguire della recente The Walk – sempre creata all’interno della residenza artistica), assicura un bel poker d’assi alla programmazione del Centro culturale. Una donna non più giovane, forse sola coi suoi fantasmi (non ci sono altre presenze nella memoria privata, passata e presente), se non amicizie importanti ma assenti, se vicine o comunque troppo lontane anche nello spazio|tempo geografico per consolare e contenere, fa i conti con un’esperienza purtroppo comune prima o poi a tutti: quella del lutto di un genitore, in questo caso quello della madre. Il lavoro è all’insegna dell’esplorata poetica che ha contraddistinto la coppia di artisti Cuocolo|Bosetti in questi ultimi 15 anni, sino al conferimento di numerosi prestigiosissimi premi internazionali ricevuti ovunque.
Di nuovo il nucleo di ricerca artistica è quello del privato che diventa pubblico, e si confonde dove l’attore è persona oltre che personaggio. Anche in questa nuova prova Roberta Bosetti è donna-attrice, come costretta dal suo presunto (?) lutto ad intraprendere un cammino a ritroso dentro i grovigli della memoria, un viaggio alla ricerca delle proprie radici, prima di figlia e poi di giovane donna perché è da lì che-forse, si può riprendere il filo della vita che scorre malgrado noi e le nostre pesanti catene di perdite. Roberta lo fa anche attraverso un registratore d’epoca, un italiano “Geloso” anni Sessanta, un reperto ancora funzionante con le sue vecchie bobine, in cui a scena aperta e munita di microfono, riascolta commentando voci di lei bambina di circa dieci anni con in sottotraccia sua madre che canta, in cucina anche lei a sua volta, immersa dentro un suo (e loro femminile) comune lutto, quello del marito-padre. Nel frattempo viene proiettata una foto di bambina di circa tre anni che mangia una torta per il suo compleanno (è sempre Roberta da sola in una sorta di loop). E questo è forse il suo ricordo più antico, chiosa l’attrice.
Tutto il lavoro è come una sorta di setting pubblico-privato, dove il monologo-diario dolente, carico di pathos e di segni– sul tavolo accanto al registratore c’è una pila di quaderni dove su consiglio dello psichiatra, Roberta annota memorie e emozioni, senza però mai cadere nella retorica, nel melenso. Questo è il viaggio mnestico di Roberta, affiancato dalla presenza in scena accanto al tavolo-scrivania dove è seduta, di una figura maschile (Renato Cuocolo) silenziosa, che la riprende e come ausculta, una presenza discreta misteriosa, con una telecamera e mentre lei affabula, lui proietta sullo sfondo immagini di un libro da sfogliare, il libro-teca dei ricordi della donna in cui foto ma anche disegni infantili aiutano a tesserare la maglia – matassa del tempo della donna per dipanarla, forse. E’ che Roberta narra anche di zone molto buie. Quelle della depressione che non trova cura. Neanche attraverso medicine, perché nessuna depressione reattiva a tali lutti può trovarla in quelle zone. E non bastano psicofarmaci né psicoterapie a sanare un legame assoluto come quello con la madre perduta. Il dolore- dice-non ha una data di scadenza-e ancora: la depressione è come stare sotto una campana di vetro a cui hanno risucchiato tutta l’aria. Nella affabulazione dell’io narrante entrano anche citazioni, come echi letterari da Wallace a Rilke in “Lettere ad un giovane poeta”, così come i miti. In particolare è messa a fuoco la figura di Persefone nella sua ancestrale dicotomia madre|figlia. Resta da decifrare in cosa consista la “trappola” in cui Roberta è caduta. Troppo facile avanzare le solite categorie un po’ chiesastiche della scienza psichiatrica. E’ la vita la grande trappola coi suoi misteri in cui tutti siamo sprofondati, quei misteri che hanno a che vedere con la Morte-che per Heidegger è la condizione (…) “per l’Esserci la possibilità di non-poter-più-esserci”, l’unica possibilità per cui tutte le altre sono possibili.
The space between- tredicesima parte di Interior Sites Project
di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti
con Roberta Bosetti
Iraa Theatre in coproduzione con Il Funaro
Visto al Centro Funaro di Pistoia, il 27 febbraio 2016