Dal punto di vista umano l’azione del teatro come quella della peste è benefica, perché spingendo gli uomini a vedersi quali sono fa cadere la maschera, mette a nudo la menzogna, la rilassatezza, la bassezza e l’ipocrisia.
Antonin Arthaud
VILLA SAN GIOVANNI (Reggio Calabria) – Non a caso l’8 marzo di ogni anno si celebra la “Giornata internazionale della donna” in quanto figura eroica nelle lotte sociali, politiche ed economiche, per la conquista dei diritti, contro ogni forma di discriminazione e violenza. L’8 marzo di quest’anno al Teatro Primo di Villa San Giovanni, è stata ricordata la donna con una fra le opere più significative di Annibale Ruccello: “Anna Cappelli”. Il testo è stato portato in scena dal regista Christian Maria Parisi, nell’esilarante interpretazione di Silvana Luppino.
Anna Cappelli è un’ impiegata al comune di Latina, costretta a dividere l’angusta cucina di un appartamento di provincia con la Signora Rosa Taverini e i suoi «puzzolentissimi gatti». La convivenza non è per niente facile: l’una lamenta la puzza di pesce bollito, l’altra l’odore di pancetta fritta. Tra una pratica e l’altra, Anna conosce Tonino Scarpa, un ragioniere scapolo, contrario al matrimonio, che vive in una casa di proprietà con dodici stanze e una cameriera tuttofare. Dopo sei mesi di frequentazione, fra il pettegolezzo dei colleghi e un certo pregiudizio sociale di matrice cattolica, Tonino le avanza una proposta di convivenza. La decisione di andare a vivere insieme senza sposarsi, non è semplice, né immediata per Anna, la quale temporeggia fino ad un accomodante e biascicante “sì”. Nella nuova e grande abitazione si sente ancora una volta oppressa e, dopo sette mesi di convivenza, confessa a Tonino il suo «piccolo problemino», preannunciatole dalla Signora Tavernini: la cameriera Maria, ai suoi occhi, si comporta come se tutto le appartenesse facendola sentire un’estranea. Tonino asseconda la richiesta di Anna, ma un anno e mezzo più tardi decide di dare anche a lei il benservito, proprio «come si dà ad una cameriera», nella prospettiva di vendere la casa e trasferirsi in Sicilia per una nuova offerta di lavoro. L’atto unico, però, si conclude in un macabro e claustrofobico delitto celebrato con «un vero e proprio atto d’amore».
Annibale Ruccello scrive quest’ultima opera poco prima della sua tragica morte avvenuta nel 1986, a soli trent’anni, in cui racchiude la ricerca e l’innovazione del teatro di sperimentazione perseguito a partire dagli anni ’70. La sua drammaturgia riceve il riconoscimento da parte dell’Istituto del Dramma Italiano (premio IDI) nel 1983 con “Week-end” e anche nel 1985 con il celebre “Ferdinando”. Forse “Anna Cappelli” sarebbe divenuto uno degli allestimenti altrettanto premiati per la sua regia e interpretazione che immaginiamo nelle vesti del solito “femminiello” di cultura partenopea.
La follia e lo sdoppiamento psicologico di questo personaggio femminile riflette la decomposizione di un sistema sociale, quello italiano, in cui la sua figura si propone come l’ennesima risposta alla solitudine teneramente straziante che oscilla tra il sogno e la psiche della donna. In questo senso, il doppio personaggio pensato da Christian Maria Parisi non si allontana di molto dalla visione di Annibale Ruccello; si colora, anzi, con le tinte di una psicologia di matrice stanislavskijana condotta all’esasperazione.
La sfida attoriale di Silvana Luppino ha raggiunto un risultato inedito nella rivisitazione di un personaggio, concepito da altri registi come isterico e tragicamente consapevole o comicamente inconsapevole delle proprie azioni. Quello di Silvana è, invece, un personaggio risoluto non tanto verso l’atto omicida finale quanto rispetto alle azioni agite nel presente. In questo, Anna non è un personaggio strano o diverso ma comune come la posizione lavorativa che lei stessa ricopre: non pianifica niente, vive allo stesso modo di un parassita, mossa solo dai colpi immediati della famiglia, della società e infine dell’amore, che è brava a collezionare ma incapace a schivare. Assume un atteggiamento sicuro non certo per carattere o intelligenza, ma a scapito della scarsa istruzione propria del ceto basso di quegli anni. Incerta nel linguaggio riesce a mostrare le sue debolezze man mano che il pericolo diviene sempre più prossimo. Una sfida che parte dall’esterno e che s’interiorizza nella decisione di «due giorni interi, 48 ore senza dormire, per cercare un…» una risposta definitiva alle violenze subìte, per ultime da Tonino. L’omicidio compiuto da Anna nei confronti del convivente si potrebbe definire “legittima difesa” ad una violenza durata anni e terminata in uno schiaffo che la fa precipitare a terra. È lì che Anna Cappelli di Christian Maria Parisi prende la sua decisione definitiva.
Se, da un lato, sono la compassione e la pietà ad accompagnare lo spettatore in questa bolgia dantesca, dall’altro è il grottesco che induce a flebili e spaurite risate, accomodando lo spettatore a guardare la pièce come una serie televisiva. L’attesa dell’epilogo, già anticipato a inizio spettacolo con un brevissimo flashback in penombra complementare all’ultima scena, ricorda la struttura di un vero e proprio thriller (genere molto caro all’autore): la curiosità di ciò che sta per accadere s’inserisce nelle parole tentennate dal personaggio affetto da una patologia complessa e, al tempo stesso, saldo nelle sue posizioni ideologiche se non, addirittura, mentali.
La storia è ambientata intorno a un cubo-scenografico, alto quasi un metro, disegnato da Aldo Zucco e realizzato dallo scenografo Osvaldo La Motta, che rappresenta il cronòtopo della messa in scena: il cubo è il cervello di Anna in cui ha sede il desiderio di «una casa mia! Mia! Capisce! Mia! E il ragionier Tonino Scarpa me la offre!». Anche le musiche rispettano i gusti dell’autore del testo. «Ruccello» spiega il regista «era appassionato della musica italiana di quell’epoca». Da una versione italo-francese di “Tous les garcons et les filles” di Françoise Hardy, a “Bidi Bodi Bu” di Quartetto Radar, fino a “Come te non c’è nessuno” di Rita Pavone e “Speedy Gonzales” di Peppino di Capri, le musiche degli anni Sessanta scelte dal regista s’inseriscono cronologicamente nella vicenda e, insieme ai suoni di Antonino Neri e le luci di Guillermo Laurìn, ricreano non solo la trama dell’opera ma anche i sentimenti di gioia e di paura della protagonista. I suoni, la scenografia e le luci, insomma, sono strettamente interconnessi al personaggio e ai suoi dialoghi, offrendo l’idea di una vera e propria esaltazione dell’intelletto e di una battaglia, tutta al femminile, ambientata – come suggerisce il testo – “nell’Italia degli anni Sessanta”.
Sono gli anni dell’avant-garde, non solo per la sperimentazione teatrale, ma anche per il mutamento economico, il decollo delle industrie, l’emigrazione contadina, il ricambio generazionale, le lotte sessantottine, e del movimento femminista sui diritti della donna e contro l’autoritarismo maschilista che intende porre il proprio controllo sull’altro sesso. Sono gli anni della messa in luce dell’articolo 37 della Costituzione Civile riguardo alla parità di diritti e di retribuzioni ai lavoratori sia uomini sia donne: dalla legge 26 agosto 1950 sulla tutela della condizione economica e fisica delle madri, alla legge 9 gennaio 1963 sul divieto di lavoro alle donne per causa di matrimonio. Si tratta di un periodo di transizione in cui per metà vige il forte conservatorismo e per metà l’innovazione della figura femminile che lotta affinché le vengano riconosciuti i diritti di lavoratrice, relegata ad un sottogruppo di divieti e tabù. Da questo punto di vista, la pièce si presenta come una tragedia sia sul piano morale sia su quello civile in cui Anna Cappelli rappresenta l’eroina, appunto, di questo sistema di leggi che la costringe ad una condizione di disagio. I “personaggi sordi”, inseriti nelle retoriche del testo mediante codici linguistici e semiotici che si concretano nelle battute esplicite dell’unica attrice in scena, sono portatori sani proprio di questo messaggio sociale.All’interno della fabula, nell’analessi e prolessi degli eventi, Anna compie una serie di azioni e di scelte che la rendono, nel tentativo del regista, oggetto di scherno e scandalo da parte di una mentalità borghese di stampo cattolico, lasciando però al pubblico la possibilità di scegliere, come in un giallo, se renderla vittima o carnefice.
Visto al Teatro Primo l’8 marzo 2016
Anna Cappelli
di Annibale Ruccello
Con Silvana Luppino
Regia Christian Maria Parisi
Scene Aldo Zucco e Osvaldo La Motta
Disegno Luci Guillermo Laurìn
Suono Antonino Neri
Foto Pietro Morello
Produzione Ass. Cult. Teatro Primo Natale Parisi