MILANO – Non è solo il quattrocentenario dalla morte di Shakespeare; è che certi prototipi ce li portiamo dentro in modo inconscio e inestirpabile. Così dal corto circuito fra due figure femminili dell’universo shakespeariano, Lady Macbeth e Ofelia, nasce la protagonista di “Quello che le donne non dicono”. Da un lato la donna forte, ambiziosa, algida fino alla sterilità; dall’altro la donna pura, vulnerabile e ingenua fino all’inevitabile epilogo tragico. Se l’una domina gli uomini con lucidità sfrontata e manipolativa, l’altra ne è vittima mansueta e designata. Eppure nessuna delle due è una cosa sola o l’altra: Lady Macbeth impazzisce sotto al peso della colpa e Ofelia sembra ribellarsi al suo destino. “Siamo così, è difficile spiegare”, ed ecco che il drammaturgo Fabio Banfo acchiappa al volo questa suggestione, trasformandola nel testo omonimo della canzone della Mannoia.
Ambientata nella soffitta della casa paterna, dove la protagonista ritorna a distanza di tempo, ogni singolo oggetto diventa occasione per ricostruire un frammento della sua storia. Il primo amore, la prima volta, il rapporto con il padre, con le altre donne, le età di passaggio, il matrimonio, la maternità, fino alla fede e al rapporto col Cristo ci vengono raccontati in modo poetico e lucido, a volte comico a volte sferzante. In un mondo, che sembra amleticamente aver perso le linee guida ee essere fuori dai cardini, tutto si confonde: così il collegio in cui viene rinchiusa per contenere il suo comportamento ingestibile, forse è un convento, come usava all’epoca del Bardo, oppure un reparto psichiatrico, alludendo a tanti episodi di cronaca. E chissà se la figura che le gira attorno è la proiezione della bambina che era, tante volte scappata a cercar riparo in quel lucernario, o l’anima della manichino/bambola, sua unica vera amica, confidente e mandante?
Scritto e diretto da Fabio Banfo con Monica Faggiani e Dabora Mancini, in scena al Teatro Libero di Milano dal 21 al 26 marzo.