Il traghettatore per antonomasia, reso immortale nell’Inferno di Dante e da Virgilio nell’ Eneide, è Caronte. Il traghettatore dell’Ade è chiamato anche psicopompo, la divinità che accompagna le anime dei morti nell’oltretomba, da una riva all’altra del fiume Acheronte, detto anche il “fiume del dolore”. A patto che le salme abbiano già ricevuto gli onori funebri, mentre quelli privi, sono costretti a vagare tra le nebbie del fiume, a cui non è concesso il riposo eterno.
Lo psicopompo ha le funzioni di un messaggero dell’aldilà, paragonabile ad un demiurgo che fa la spola tra un mondo sensibile e uno sovrasensibile. Non giudica gli esseri umani, ma li traghetta nel mondo. Dante lo definisce “demonio”, un vecchio dai capelli e barba bianchi. I performer di Ilinx Machine, non sono vecchi, non sono canuti ma di giovani fattezze, agghindati come originali steward e hostess, di professione artistica-teatrale – e nel caso presente – traghettatori di spettatori/passeggeri. Quattro alla volta.
Non traghettano anime morte, ma ignari uomini e donne, accolti/ raccolti, davanti allo Spazio Off di Trento, da dove parte – non la barca – ma una monovolume che può accogliere sei persone a bordo. Tre attori/traghettatori e quattro “vittime” inconsapevoli, i quali “scoprono di essere erroneamente creduti morti”. Almeno, cosi dice una voce alla radio di un’autovettura, che scorrazza di notte per le strade della città, ancora calda dall’afa settembrina, illuminata da lampi di un temporale in arrivo. Ideale scenografia naturalistica per un viaggio dove “la realtà si trasformerà… e trapasserete”.
Una minaccia? I psicopompi Nicolas Ceruti, Maria Rosa Criniti, Cristiano Sormani Valli, sequestrano i documenti ai passeggeri-ostaggi, prima di partire per un viaggio stradale, che di normale ha solo il paesaggio urbano, visto scorrere fuori dai finestrini.
Vieni privato della tua identità reale, con imperio e toni autoritari, ti accollano un nome e un’età che ti aliena dove provi la sensazione di essere estraneo a tutto quello che eri prima. Ti ripetono anche sei morto e solo alla fine il tuo corpo sarà ritrovato ed identificato. Nel frattempo viaggi in balia di tre traghettatori molto particolari: c’è Il Nero (Nicolas) il capo della spedizione, un viso stravolto dalla collera, fissato per le procedure e regole che ti investe con voce aggressiva.
Ubbidisce solo ad un volere superiore. Un “Lui” che viene continuamente evocato e aspettato invano. Accanto al guidatore (Il Bianco) c’è La Rossa (Maria Rosa), che ha sembianze di donna sensuale, desiderosa di amare ed essere amata, delusa e frustrata per un amore non corrisposto. Sempre per “Lui”, l’agognata presenza che non arriverà. E Il Nero è geloso fino alla morte. Il terzo è Cristiano, Il Bianco, ovvero un timido che dimostra di vivere in un altro mondo, non parla, sembra quasi sbalordito da tanto caos esistenziale che coinvolge tutti. Psicopompi, ostaggi/passeggeri-spettatori, e anche stupefatti/ impauriti passanti, capitati per caso, davanti all’auto (scena) ferma durante un violento litigio tra Il Nero e La Rossa, e la fuga reiterata del Bianco.
Esilarante fuori copione, accaduto realmente: “Sono degli zombie!”, esclamano un manipolo di spettatori non previsti, e un uomo uscito da una chiesa, si dà alla fuga, impaurito dopo aver visto Il Bianco fuggire, a sua volta, con un manichino tra le mani, a fungere da cadavere. All’interno dell’auto, si assiste tra il divertito e l’imbarazzato, (le reazioni degli spettatori vanno dalla provocazione a gesti di offesa anche fisica), a dinamiche relazionali, dove il passeggero viene trascinato dentro.
Qui la famosa quarta parete teatrale, non ha più senso di esistere, è abolita dalla vicinanza fisica ed emotiva con i bravissimi e concentrati attori (sottoposti a sollecitazioni continue nel viaggio in cui abbiamo assistito), parete immaginaria “demolita” dallo stesso Bertold Brecht, al fine di sollecitare il suo pubblico a porsi in modo più critico su ciò che stava guardando a teatro, con l’intento di creare un effetto alienante. Anche in “Azienda Traghettatori Anime”, si materializza un particolare stato di alienazione emotiva, partecipativa – non sense – dove la gestione delle emozioni, si dividono tra lo stupore e il divertimento assicurato per una performance scritta, inscenata e recitata, con abile maestria, e sensazioni di aver già vissuto qualcosa del genere, in accadimenti del tutto personali. La litigata tra due per motivi futili, sentimentali, o altro, in presenza di se stessi. Con imbarazzo e disagio. Finzione e realtà che si mescolano sapientemente.
La riflessione post-viaggio verteva poi sulla necessità drammaturgica (ben scritto e diretto il testo), o meno, di accettare da parte del “pubblico” di eventuali provocazioni linguistiche e di rielaborarle, creando così quella forma di “contratto” scenico e recitativo, dove il “traghettatore” si relaziona in prima persona con il “traghettato”. Che siano anime morte transitorie o anime coscienti e reattive, non fa differenza. Un gioco sottile di incastri tra partecipazione passiva (sempre seduti si è..) ed esperimento partecipativo.
Dubbi che non sono stati risolti: l’automobile con i bravi e simpatici psicopompi/attori, è ripartita immediatamente con a bordi altro quattro ignari ostaggi, verso un viaggio che esce dalla consuetudine teatrale, fatta di sipari rossi e platee eleganti, per infilarsi dentro un vortice di enigmi esistenziali, interrogativi universali, amori impossibili. Ribaltamenti dove i resti umani non identificati, solo alla fine, potranno riappropriarsi della loro identità. È un viaggio che può durare una vita intera. Qui le sponde del fiume di Caronte non sono così vicine tra di loro.
Corpo e voce: Nicolas Ceruti, Maria Rosa Criniti, Cristiano Sormani Valli.
Creazione: Cristiano Sormani Valli, Mara Marini, Nicolas Ceruti.
Visione e parole: Cristiano Sormani Valli.
Ideazione: Nicolas Ceruti, Mara Marini, Cristiano Sormani Valli.
Progetto: Nicolas Ceruti, Cristiano Sormani Valli.
Produzione Officine artistiche ilinx machine
Spazio Off Trento
Visto il 17 settembre 2011 per le strade di Trento