Recensioni — 03/05/2016 at 11:03

Un’Opera da tre soldi fedele ma senza passione

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1460709689_Operadatresoldi_Foschi_fotoMasiarPasquali(1)MILANO – Un Opera da tre soldi più pensata che sentita si direbbe, quella che per la regia di Damiano Michieletto,  è in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino all’11 giugno. La tesi da dimostrare è che il mondo, ieri come oggi, ai tempi del marxista Brecht come ai nostri pentastellati, è in mano agli affaristi più squallidi, ai furbi profittatori degli emarginati? E allora ecco che, dietro una ferrigna grata da galera che ricorda i carcerati-attori del Marat Sade della Fortezza anni 90, si aggrappano i falsi handicappati su cui regna il geniale sfruttatore Peachum. E lui il vero protagonista dello spettacolo in massima parte grazie alla animalità di scena di Peppe Servillo alla sua voce rauca, al ritmico depositarsi del suono napoletano che affiora come un vizio da non nascondere – e ad un Mackie Messer addomesticato, fin troppo, nella obbediente interpretazione di un Marco Foschi, umile processato artigiano del crimine. Dietro alla nuova proposta dell’opera di Bertolt Brecht e Kurt Weill stanno gloriose (forse arbitrarie) messinscene: quella mitica di Giorgio Strehler del ’56 fino a quella per il Berliner Ensemble di Robert Wilson. E probabile che la regia di Michieletto sia la più ortodossa: le canzoni sono da lui tradotte con osservanza del testo e c’e’ pure un finale moralistico (uno solo, a differenza dei due proposti da Wilson) scritto dallo stesso Brecht per il cinema. Ma, appunto, manca la passione. Se non fosse per la presenza nel cast dell’ attrice di Almodòvar, Rossy De Palma: tinge forti e lustrini, amore e morte, con quellaccento spagnolo pieno di vita, un tocco capace di esotizzare la prostituta a vita Jenny che si vendica di tutti i traditori e tradimenti facendo arrestare il suo vecchio amante, Meckith appunto. Tre ore di spettacolo comunque assai godibili  che il Piccolo Teatro ha scelto di produrre eche  mostrano come in filigrana una interpretazione da Terzo Millennio di quel famoso verfremdungseffekt, l’effetto straniamento, in chiave registica e ad usum del pubblico: l’azione principale viene talvolta interrotta, come in un film, e sospinta in secondo piano sulla scena, per mostrare un servile passaggio di camerieri e di pietanze destinate alla mensa reale. Originale, la firma, più che lo spettacolo nel complesso.

foto  crediti di MasiarPasquali
foto crediti di MasiarPasquali

Visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano il 19 aprile

 

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