L’incontro, in occasione del B. Motion, il festival di Bassano del Grappa, è avvenuto su un palcoscenico all’aperto molto particolare: un ring fatto di panchine di ferro, all’interno di un cortile, dove il caldo torrido, procurava la sensazione di essere ancora in piena estate, e non verso l’ autunno che si appresta a far cadere le foglie. Un quadrato ideale, formato da Andrea Porcheddu, critico teatrale, giunto a Bassano per raccontare la vita artistica dei Ricci|Forte e dei loro giovani attori – performer che compongono la compagnia: Valentina Beotti, Anna Gualdo, Anna Terio, Fabio Gomiero, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, a cui si aggiungono Marco Angellili, Pierre Lucat, Fausto Cabra, Alberto Onofrietti, Chiara Cicognani (nelle produzioni Troia’s discount, Pinter’s Anatomy).
Alle nostre spalle l’imponenza un po’ decaduta, ma ancora affascinante di Palazzo Bonaguro sede del festival, ospiti del B. Motion, il festival della scena contemporanea, inserito in quello più ampio del Bassano Opera Festival. Un’occasione preziosa per assistere ad un racconto a più voci, uno scambio dialettico, dato dal desiderio di carpire quali meccanismi vi siano alla base di un successo, che ha portato i Ricci/Forte alla ribalta internazionale, capaci di attirare a teatro nuove e meno giovani generazioni. Presentando il libro Macadamia Nut Brittle (primo gusto), curato dallo stesso Andrea Porcheddu, (Lo Spirito del Teatro, edizioni Titivillus), con la moderazione di Roberta Ferrarese e Giulia Tirelli (Il Tamburo di Kattrin), il critico ha spiegato come nell’intervista realizzata per questo saggio, non si possa scindere teatro e vita, tralasciando gli aspetti autobiografici e biografici di tutta la compagnia che contribuisce alla stesura della drammaturgia degli spettacoli realizzati e messi in scena.
«Ho avuto la fortuna, o la sfortuna, secondo alcuni pareri critici, di incontrare Stefano Ricci e Gianni Forte e di farmi piacere i loro lavori, e questo ha suscitato molto scalpore nell’ambiente», è il pensiero introduttivo dell’incontro, una confessione sufficiente per validare una sensazione condivisa, vissuta ogni qual volta a teatro: i ricci|forte o piacciono tout court o non piacciono per nulla.
Due fazioni contrapposte, siano semplici fan o critici, intellettuali, spettatori qualunque, non fa differenza. O bianco o nero. O gli ami o gli odi. Singolare approccio ad un teatro che ha rivoluzionato la scena del contemporaneo, anche oltre confine. Per avvicinarsi al teatro di ricci|forte il critico ha spiegato di essersi avvalso delle teorie di Žižek (filosofo e psicoanalista) sull’architettura, e in particolare si è soffermato sulle categorie di Lacan, (tra i maggiori psicoanalisti e filosofo francese), dalle quali si evince come come “reale”,“simbolico”,“immaginario”, (il psichico – spiega Lacan – viene concettualizzato attraverso questi tre registri), gli stessi che sono in grado di svelare e far comprendere, almeno in parte, la poetica artistica che sta alla base del lavoro teatrale di Ricci|Forte.
«Il reale nel loro teatro è apparentemente confuso, carnevalesco, mentre, in realtà, è ben strutturato nei tempi, scene, costumi. Possiede una costruzione architettonica millimetrica, e se è improvvisazione è come il jazz: ben strutturato». Capacità in grado di convogliare emozioni, sensazioni adrenaliniche che vanno ad impattare sul pubblico, e Porcheddu spiega bene il meccanismo quando dice che Ricci|Forte «gli spettacoli funzionano bene e sono costruiti con sapienza, sapendo cosa vanno a scatenare nelle reazioni del pubblico: un immaginario politico, una denuncia del consumismo,tali da produrre uno “squassamento” sul mercato, di essere mille in uno solo, una sorta di cataclisma, e qui il critico cala il suo “poker d’assi”, quando svela che il risultato di tale sconvolgimento produce “un’inclusione disgiuntiva”, ovvero la «la straordinaria capacità di creare spazio per tutti gli esclusi, e in tale modo dare vita ad un risvolto politico del teatro dei Ricci|Forte, dove, invece, vengono criticati per il contesto glamour, modaiolo» – a detta di molti, la loro cifra stilistica – idea non condivisa assolutamente dal critico, e lo spiega bene nell’affermare la sua idea in merito: «Io trovo una passione molto forte nel loro affrontare una critica sociale con gli strumenti del post moderno, una dichiarazione di guerra all’atto di mettere in scena il simbolico». E la riflessione vira anche sul rapporto con e verso il pubblico che affolla i teatri di tutta Italia, e anche incursioni all’estero.
Da Bassano a Zagabria, passando per Lubiana, Benevento, prossimamente a Roma, poi a Bolzano: la stagione del Teatro Stabile ospiterà i Ricci|Forte nel 2012, con Grimmless.
«Pensano preventivamente il pubblico quando mettono in scena i loro spettacoli e gli attori/performer, in realtà recitano se stessi. Il pubblico arriva prevenuto e/o preparato, c’è chi per provocazione o militanza omosessuale, ma alla fine tutti si commuovono – spiega Andrea Porcheddu – e nei Ricci|Forte c’è consapevolezza di suscitare queste reazioni, definendo la loro compagnia come “una tribù nomade, un piccolo circo, profondamente democratico”. « Si muovono ovunque e nei confronti dei sepolcri imbiancati come lo sono i teatri stabili, fanno un’azione politica forte, nell’introdursi in questi spazi teatrali», come dire, l’azione artistica di questa compagnia ha anche un valore altamente destabilizzante, rispetto ad una cultura che presenta forme di immobilismo evidenti nel panorama teatrale consueto. L’interrogativo che poi rivolge ai Ricci|Forte, verte su punto cardine della poetica artistica da loro perseguita.
Non accettando o subendo passivamente logiche commerciali, come sono stati capaci di affrontare gli antagonismi sociali (socio culturali), visto che la strategia sembra quella che, per offuscarli è necessario svelarli apertamente, modo evidentemente più efficace per nasconderli è farli accettare. Stefano Ricci e Gianni Forte non hanno certezze assolute, verità assodate, ma rispondono di essere consapevoli di un percorso affrontato dove vita e azione performativa, si intersecano e si mescolano tra di loro. Sono come dei travasi tra compartimenti emotivi. Il loro sforzo è rivolto al pubblico: «Il nostro è stato faticoso nel distillare questo percorso, e noi proviamo a portarlo avanti senza restare seduti su posizioni già prese – spiega Stefano – non c’è una regia che va in una direzione piuttosto che in un’altra».
La critica che viene rivolta a loro è quella di fare un “feroce marketing on line” , tra l’altro non inventato da loro, e quindi di risultare contraddittori rispetto alla loro “denuncia” inscenata attraverso il teatro. «Nel campo di azione in cui ci muoviamo ci sono miliardi di contraddizioni e c’è chi ci guardava con sospetto e tacciava il lavoro della compagnia con aggettivi modiaioli che contornasse sulla superficie e basta. Poi, invece, c’è il riscontro in platea e fai ricerca, hai anche un pubblico che ti segue, che va a teatro, e non hai bisogno di acquistare – prosegue Ricci – o farsi imprestare un volto, per far riempire i teatri, sei visto strano.
Oppure, sei fai ricerca devi appartenere ad un girone dantesco che appartiene alle compagnie di ricerca, allora la contraddizione si eleva al cubo. Se fai ricerca c’è ancora un retaggio culturale: chi fa ricerca e ha un suo pubblico viene guardato con sospetto. Sussiste il dubbio che il concetto-percorso estetico, se raggiunge troppa gente, può avverarsi il rischio di trasformare tutto in nazional-popolare, sempre dietro l’angolo. Ecco perché non possiamo fermarci e perché nessuno ci rassicura. La compagnia si chiama ricci/forte, ma è composta da tante persone, che non prestano solo il loro talento, ma c’è una condivisione degli intenti che perseguiamo. Chi ci ha criticato per la collaborazione con la Fondazione Fendi di Roma per Some Desorder christmas interior geometries, parla di consumismo, mentre, in realtà, è mecenatismo cinquecentesco in tempi di crisi».
Ma è tempo di parlare di Grimmless, l’ultima produzione che sta girando per tutta Italia. I due autori (Stefano cura la regia, Gianni la scrittura drammaturgica), un sodalizio artistico nato che 2006 — l’anno in cui hanno fondato il loro ensemble — dove è stato creato Troia’s discount, ha determinato un punto di rottura, abbandonando il testo/copione per avviare un lavoro orientato verso un forma di “terrorismo poetico”, come lo definisce Gianni Forte, archiviando un genere di scrittura più “barocca e bulimica”, presente nelle loro opere precedenti.
Andrea Porcheddu si chiede quale siano le eventuali contiguità e/o differenze tra la messa in scena di Macadamia Nut Brittle e l’ultima creazione, Grimmless. La domanda viene girata a Stefano, il quale la inoltra ad Andrea Pizzalis, uno dei performer della compagnia, idoneo a poter rispondere.
«In Macadamia ero l’ultima arrivato, senza nessun riferimento su come dovevamo lavorare. Rispetto alla produzione precedente, in Grimmless si è partiti da una base di conoscenza, al contrario di Macadamia, dove si arrivava completamente sconosciuti (Andrea Pizzalis è entrato in compagnia solo da Macadamia in poi), e senza punti di riferimento su come poter lavorare. Nel lavorare sui fratelli Grimm, c’è stata la possibilità di diversificare in maniera più approfondita, il tempo trascorso insieme, rispetto Macadamia. Per le prove ci siamo chiusi dentro un convento e siamo rimasti per un mese tutti insieme in una convivenza un po’ coatta, dove si sono sviluppate dinamiche per immagini ventiquattro ore al giorno. La vita comunitaria ha permesso di di creare qualcosa di più preciso. Rispetto a Macadamia dove agivano tematiche più emotiva grazie ad una drammaturgia basata sulle emozioni, in Grimmless ci siamo soffermati sulla simbologia della fiaba. Qui volevamo ritrovare, attraverso le favole, simboli e archetipi più prettamente Junghiani, come quelli del padre e della madre, e tradurli sul contemporaneo in modo libero, senza confini e perimetrie. Questi archetipi originali si trascendevano, poi, in altre forme più Warholliani.
Tutto diventava archetipo, la coca cola, le patatine, i palloncini, e lo spettacolo ha iniziato a deflagrarsi, e ti ritrovi a vivere in una grande fiaba, dove ti muovi in un mondo che non ha più una linea direttiva. La struttura dello spettacolo non è più una volontà, una conoscenza, di rompere uno schema per forzare un andamento.
Non c’è più una fabula, non comprendi più a cosa si è agganciati – spiega Andrea – l’esplodere delle fiabe, le stesse si contaminavano tra di loro, ci ha messo in contatto con tutto il mondo dei fratelli Grimm. Fiabe che sconfinavano con altre fiabe. Le mele di Biancaneve andavano a finire a Cenerentola (una scena di Grimmless prevede l’utilizzo di mele come rulli sui cui trasportare una performer), mentre in Macadamia tutto era a pareti stagne, dove si andava ad aggiungere, erano come delle confezioni di gelato dove noi cercavamo di prendere delle forme all’interno di questa struttura (Hagen Dasz – gusto Macadamia – da dove prende il titolo lo spettacolo dei Ricci/Forte), in Grimmless, invece, c’è un respiro più osmotico.
Qui abbiamo riscontrato una difficoltà di trovare un’armonizzazione, tra tutti quanti, per suonare la stessa sinfonia Quando il lavoro si è palesato all’inizio c’ è stata una grande iniziale distorsione sonora, e se non avessimo trovato un dialogo, avrebbe stonato più del solito. La crescita degli spettacoli avviene in consapevolezza e in questo caso, venendo sempre meno l’ordine logico non perché sia rimosso, ma per scelta di procedere in senso opposto, si inizia dalla fine. Ci viene data la possibilità di fare delle esperienze diverse, e Grimmless viene dopo Some disorder, cui siamo stati criticati, mentre è stato importante questo incontro dove eravamo tanti performer, realizzato in un tempo brevissimo, una performance ripetuta serialmente. Un’esperienza che ha permesso di indagare e capire cosa significa – prosegue Andrea Pizzalis– costruire un’opera senza un filone ben preciso, per farsi contaminare e trovare nella struttura un significante».
(in collaborazione con la redazione del Tamburo di Kattrin)
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