ROMA – Solitamente gli anniversari una volta passati si archiviano, per Pier Paolo Pasolini no. Infatti, fa fatica a spegnersi l’eco delle celebrazioni del quarantennale, appena trascorso, del barbaro assassinio del poeta e regista friulano. Non c’è città, paese o borgo che non abbia il suo omaggio a Pasolini; c’è da chiedersi che cosa stia producendo questo ininterrotto susseguirsi di iniziative? Di certo, alcune tentano di raccontare cosa oggi resta di quest’uomo, altre, invece, si limitano a illustrare la bulimica e poliedrica attività letteraria, cinematografica, giornalistica. Ma, c’è una “terza via” per leggere oggi la sua figura, ed è quella rappresentata dal teatro. Considerato a torto minoritario nel novero delle produzioni del poeta-regista, è proprio il teatro, suo e derivato dalle sue opere, a suggerire percorsi e sentieri inediti, da affrontare armati di un robusto bagaglio teorico e di una buona dose di spirito e rigore critico. Tale prospettiva trova protagonisti il Teatro delle Ariette che in trasferta romana, al Teatro India, riallestisce, (la prima volta fu dieci anni fa), il suo “Dopo Pasolini”: ouverture, destinata a soli sei spettatori (ospitati in una roulotte) di un omaggio più ampio del Teatro di Roma, e dedicato alla compagnia emiliana che si concluderà con “Sul tetto del mondo”. Dunque, senza giri inutili si può dire che, per Stefano Pasquini e Paola Berselli, il pensiero, le immagini e le parole di Pier Paolo Pasolini sono uno di quei momenti che durano da – e forse per – sempre.
E non solo per i continui ritorni in tema. Ecco, pertanto, una somma ricostruzione di ciò che hanno scritto sull’intellettuale in un ristretto all’apparenza arco temporale, cominciato all’inizio degli “anni zero” con la messa in scena in rapida successione di ben due spettacoli e in un solo lustro saliti, addirittura, a tre: “Pasolini è un compagno di viaggio. Una di quelle figure che accompagna il nostro fare teatro e il nostro vivere la vita. I suoi pensieri, le sue poesie e le sue immagini abitano il nostro luogo, le Ariette (il podere sulle colline bolognesi di Castello di Serravalle dove viviamo dal 1989), ogni tanto spuntano dietro un filo d’erba, un cielo stellato, nello sguardo muto di una pecora, di un animale selvatico. Secondo Pasolini è un altro passo del cammino verso un teatro che abbandona la forma spettacolo. È una domanda al silenzio, soprattutto al silenzio, al camminare e al sostare. Secondo Pasolini è una camminata, e una sosta. Ma è anche una passione, una via crucis dentro noi stessi, un confronto con le nostre cose e i nostri luoghi, i nostri miti, un cammino alla ricerca di un posto, un calvario, dove guardare le cose da un altro punto di vista. È la fatica quotidiana che ogni giorno facciamo, la fatica sacra e necessaria di essere uomini in mezzo ad altri uomini, insieme ad altri uomini, alle bestie, ai fiori, ai frutti e alle foglie, prima di ritornare, pietra tra le pietre, alla verità dei mondi immobili” (da Secondo Pasolini – evento innaturale, 2003).
Ancor prima: “E quel nome: Pasolini, prima di lui. Come lui diceva ‘io sono una forza del passato’. Questa volta non c’era proprio bisogno di ricreare un mondo. Il mondo c’è e certe volte basta solo guardarlo” (da Prima di Pasolini – evento naturale, 2002). C’è già tutto il “Dopo Pasolini” nei pannelli inaugurali questo percorso – oggi osservando con gli occhiali del tempo – attraverso la sua opera: un’opera – mondo, non solo intuita dal Teatro dele Ariette ma sostanziata da impreviste per lo spettatore verifiche, che non smette anche nei suoi risvolti meno geniali di stupire. In poco meno di un tempo di partita di calcio, senza recuperi, Stefano Pasquini e Paola Berselli intrecciano la loro poetica a forti tinte autobiografiche a quella di Pasolini, prelevando però da un medio film, “La Terra vista dalla Luna”, due dei personaggi più misteriosi ed enigmatici dell’intero cinema pasoliniano: il chapliniano Miao Ciancicato e la bellissima sordomuta Assurdina Caì.
Nell’originale, Totò e Silvana Mangano, in “Dopo Pasolini” e collocati già in una narrazione postuma, non solo rispetto alla trama filmica, gli stralunati Maurizio Ferraresi e Marta Moriconi che accompagnano gli spettatori, dopo averli vezzeggiati e ospitati al loro desco, all’ingresso di un altrove realistico che lascia la magia fuori della porta. E’ la roulotte, residuo di un’archeologia del rudere che già si fa progresso (bisogna far attenzione ai tanti simboli e oggetti, anche contemporanei, della mutazione antropologica preconizzata da Pasolini e disseminata in raffinati particolari e dettagli dai nostri), si trasforma così per lo spettatore in un’astronave del dolore e per certi versi della crudeltà come può essere un quotidiano che sa di rimpianto e di perdita: ieri la mamma della protagonista, oggi il compagno di una vita? Ciò che è stato può non essere più, anche nella trasfigurazione ripetitiva dei gesti come cucinare, vestire, accudire malati o semplicemente vedere un film (qui “Il Vangelo secondo Matteo”) o leggere una poesia nella commovente interpretazione di Paola Berselli (la celebre “Io sono una forza del passato …” che rimanda sia alla ripresa audio che ne fece lo stesso Pasolini e sia alla “recita” ne “La ricotta” di Orson Welles). Quantunque l’inerzia sia sempre in agguato, spesso i collegamenti dell’azione teatrale possono essere scambiati per rammendi, lo spettatore non sempre riesce a cogliere il ruolo della propria presenza nello spettacolo; e quando vi riesce scopre di essere davanti ad una proposta raffinatissima in cui cinema, autobiografia, clownerie, letteratura, poesia e convivialità si tengono meravigliosamente a braccetto.
DOPO PASOLINI
di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Borselli, Stefano Pasquini, Maurizio Ferraresi
e l’amichevole partecipazione di Marta Moriconi
regia Stefano Pasquini
collaborazione Christophe Piret
Produzione Teatro delle Ariette in coproduzione con Théâtre de Chambre 2005
Riallestimento specifico per il Teatro India – Teatro di Roma 2016
Visto a Roma il 21 maggio 2016