Culture — 25/05/2016 at 23:30

Testimonianze di cultura e ricerca per chi sa trasmettere…

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GENOVA – Il Teatro Akropolis di Genova dedica, come di consueto, una volta all’anno della sua intensa attività artistica e teatrale, un mese di approfondimento e ricerca su cui convergono artisti di varie estrazioni; ma anche studiosi, docenti universitari, e ricercatori, intenti ad offrire un contributo sostanziale e per certi versi anche esaustivo, su un tema scelto dai direttori artistici Clemente Tafuri e David Beronio. La settima edizione di “Teatro Akropolis Testimonianze ricerca azioni” vedeva il focus incentrato sul lavoro artistico nel suo nucleo processuale e fondativo, reso possibile – come spiegano gli autori della pubblicazione – “…applicando il rigore della rinuncia, a tutto quello che allontana l’organizzazione di uno spazio destinato alla cultura dalla sua primaria funzione politica: quella cioè di farne un presidio di civiltà, di promozione e non di conservazione, di ricerca e non di esibizione”. Da sempre la filosofia scelta come modus operandi da parte chi sa coniugare il teatro e l’arte scenica, con l’impegno nell’affrontare e indagare i possibili contesti culturali in cui si propaga. Nella prefazione al volume che comprende interventi e testi (redatti da Antonio Attisani, Noemi Bresciani, Valentina Campora, Bernardo Casertano, Massimiliano Civica, Sabino Civilleri, Marco De Marinis, Elena Fresch, Mariangela Gualtieri, Lindsay Kemp, Manuela Lo Sicco, Carlo Massari, Matteo Mazzei, Qudus Onikeku, Alessandro Romi, Attilio Scarpellini, Chiara Taviani, Imre Thormann, Angelo Tonelli), viene esplicitato con molta chiarezza e determinazione, il pensiero di Clemente Tafuri e David Baronio.

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In controtendenza rispetto ad una divulgazione, scelta dalla maggioranza di chi scrive per pubblicizzare la propria attività artistica e intellettuale: «Tacere per lasciar parlare gli altri. Tacere studiando in silenzio come metodo di divulgazione del sapere e della conoscenza, con il massimo rispetto e l’umiltà di chi sa riconoscere per primo i pregi intellettuali ed artistici degli altri, offrendo l’occasione di parlare a chi è protagonista e interprete». Possono essere gli artisti e gli studiosi ma anche «coloro che seguono e condividono il nostro lavoro, ma anche a coloro che non lo conoscono, oppure che lo guardano con diffidenza. Tutto nasce dalla volontà di ricominciare daccapo. Andare alle origini. Cercare il momento in cui il teatro nasce come espressione di un’esigenza che ha a che fare con l’identità dell’uomo», e’ la motivazione che il Teatro Akropolis ha scelto per l’edizione 2016, con il proposito di «individuare questo impulso creativo e di cercare compagni di viaggio alla ricerca della vita nell’arte».

Da sinistra: Clemente Tafuri e David Beronio
Da sinistra: Clemente Tafuri e David Beronio e ultima a destra Ariela Fajrajzen (figlia di Alessandro Fersen) (foto di Haim Yavets)

A Genova questa realtà artistica, che nel capoluogo ligure vede un ruolo di assoluto protagonismo della vita culturale, e’ di estremo interesse percorrere insieme un viaggio, viste le presenze di personalità come il filosofo Carlo Sini, il poeta e filologo Angelo Tonelli, la figlia di Alessandro Fersen, Ariela Fajrajezen (giunta appositamente da Israele dove vive), per partecipare al convegno: “Rappresentazioni e visioni dionisiache” curato dal Teatro Akropolis e dalla Fondazione Fersen, dove è stato presentato il neo costituito Centro Studi A.F. (fondata da Akropolis e dalla Fondazione che porta il nome del celebre regista, drammaturgo e filosofo), oltre alla partecipazione di Marco Colli, figlio del filosofo Giorgio Colli (Fersen e Colli erano uniti da un legame professionale indissolubile). Il settimo volume Testimonianze ricerca azione ospita anche “La Fortezza Vuota. Discorso sulla perdita di senso del teatro” di Massimiliano Civica e Attilio Scarpellini. Si apre con un pensiero che denota lo stato d’animo collettivo di gran parte degli artisti teatrali, quasi rassegnati nell’assistere impotenti alla mancanza di una seria e duratura politica culturale a difesa di un bene pubblico, qual’è, anche, il teatro. «In segreto, molti di noi non sono più certi che il teatro abbia una funzione e il diritto di esistere nel mondo d’oggi (…) Per lo Stato il teatro non ha già più una funzione pubblica, e molti di noi, anche per la cattiva coscienza del lavoro svolto, non contraddicono o non vogliono prendere nota di questa affermazione. Si va avanti come niente fosse, intenti a cucinare la cena mentre la casa brucia».

Sembrano parole destinate ad una rassegnazione definitiva, senza via di scampo ma l’analisi lucida dei due attori (Civica è regista, Scarpellini critico teatrale), coglie perfettamente una delle anomalie più evidenti per chi opera nel settore dello spettacolo. La produzione artistica resta invariata e tra stagioni, rassegne e festival, l’offerta non è diminuita (anzi, pare aumentata), «ma c’è la sensazione di andare avanti per forza d’inerzia:agiamo secondo abitudini e consuetudini di cui però, nell’intimo, non ravvisiamo più il significato e le finalità. Oggi a teatro “facciamo finta” che le nostre azioni abbiano uno scopo ed una possibilità di presa sulla realtà, ma il nostro agire è palesemente senza senso, e i nostri comportamenti sono compulsivi e stereotipati. Oggi ognuno si barrica nella propria fortezza vuota, sperando che passi la tempesta che c’è fuori». È vero ciò che affermano Massimiliano Civica e Attilio Scarpellini, riconoscendo loro una lucida analisi, (ha un suo senso se viene accolta come monito per cercare di modificare quel “facciamo finta”.., fin troppo evidente nell’ambiente teatrale). Chi non fa finta sono i due autori  capaci di sviscerare le profonde contraddizioni del teatro italiano, dove la riflessione coglie aspetti gestionali, strutturali, economici, e le logiche di un agire commerciale hanno la meglio sulla qualità artistica. “Un Teatro Pubblico Commerciale” definito una “realtà logica ed immutabile”, fino a farlo diventare una “categoria estetica” che si rifà alla “ricerca preventiva del consenso”, tutto questi in funzione di un riconoscimento e sostegno da parte dello Stato che eroga i finanziamenti.

http://www.asinoedizioni.it/products-page/asino-che-vola/la-fortezza-vuota-discorso-sulla-perdita-di-senso-del-teatro/

Un escamotage utile quando un teatro deve presentare il suo bilancio in passivo, “conditio sine qua non”, per giustificare produzioni per un vasto pubblico, tacciandole per operazioni artistiche, ma bisognose di essere sanate da contributi ministeriali. Civica e Scarpellini la definiscono una «scelta di portare ad un grande pubblico un’opera d’arte (e che sia un’opera d’arte, in un paese in cui vale l’equazione cultura=noia, è dimostrato dai rispettosi sbadigli degli spettatori)». Un sistema a cui gli autori de “La Fortezza vuota” richiamano con un’onestà intellettuale che condividiamo, a concludere la loro riflessione così: «Il teatro è una comunità di passioni. Per uscire dalla “fortezza vuota”, il teatro deve diventare quello che finora non è stato, se non in potenza; un soggetto. Non un equivoco soggetto politico, pronto a servire questa o quella causa ma un soggetto poetico che nell’autonomia del suo fare ritrova il senso e le ragioni del suo essere – e del suo irriducibile essere sociale.». Non manca anche un riscontro sul ruolo della critica, ruolo che viene a mancare spesso alla sua funzione di fornire al pubblico, gli strumenti necessari per permetterli una visione più consapevole dello spettacolo; questo per difendere la scelta artistica di un prodotto qualitativamente scadente, ma di successo per affluenza di pubblico. Sia mai che ci si metta contro prestando il fianco ai politici, sempre pronti a puntare il dito sulla scarsa presenza nelle sale, e di contribuire al momento della consegna della fatidica rassegna stampa, ad un ripensamento dei contributi. Questo per restare in tema di teatro estetico che guarda al commerciale come ancora di salvezza per restare in vita.

Alessandro Fersen
Alessandro Fersen
Carlo Sini
Carlo Sini

Uno degli appuntamenti più interessanti di tutto il Festival che ha avuto luogo dal 23 marzo al 5 maggio, nel ricco calendario di eventi, veniva dalla giornata di studi “Rappresentazione e visioni dionisiache” che si è tenuto al Museo della Biblioteca dell’Attore di Genova: occasione preziosa per ascoltare dalla viva voce, alcuni dei più importanti studiosi, intellettuali e filosofi italiani, le loro testimonianze e ricerche, condotte intorno a quelle tematiche che hanno ispirato tutta la carriera teatrale e filosofica di Alessandro Fersen, seguendo la traccia proposta da David Beronio e Clemente Tafuri: la rappresentazione, elemento fondamentale della riflessione sull’opera d’arte e sulla sua natura. In ambito teatrale si evince come esso sia strettamente connaturato all’idea stessa di messa in scena, senza per questo restare su un piano estetico superficiale, al contrario va in profondità dei processi artistici, rappresentando ciò che può essere visto – e cosa importante da sottolineare – è che ogni rappresentazione nasce dalla visione fornita dall’esperienza provata in origine. Al contempo, però, questa dà vita ad una nuova visione offerta a coloro per cui viene offerta. La spiegazione è nella spinta dionisiaca che sta alla base di ogni processo artistico. Ma il significato di questo termine non è scontato e tanto meno semplice, ma allude alle realtà più profonde dei processi artistici. Si rappresenta ciò che può essere visto, e ogni rappresentazione nasce dalla visione che ne fornisce l’esperienza d’origine. Ma al tempo stesso la rappresentazione dà vita ad una nuova visione offerta a coloro per cui viene dionisiaca che sta alla base di ogni processo artistico.

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Silvia Mei, tra i relatori presenti, è una curatrice e ricercatrice in performing art, docente presso la Scuola del Teatro Stabile di Torino nel corso di Teoria e Storia del teatro dove svolge attività di ricerca presso il Centro Studi. La sua relazione verteva su una lettura interpretativa della rappresentazione teatrale, partendo dall’analisi di un’opera d’arte pittorica: “L’origine del mondo” di Gustave Courbet ,come incipit introduttivo per instradare la discussione sui principi ispiratori della poetica teatrale di Romeo Castellucci, il regista della Socìetas Raffaello Sanzio. «Il mio discorso voleva cogliere il nesso che c’è tra la produzione di Castellucci e il cosiddetto “buco nero”che ricorre in molte delle sue creazioni teatrali. Paragonabile ad un risucchio di materia, uno sfondamento, un trapasso che per lo spettatore che assiste ai suoi allestimenti, rappresenta uno sfondamento, appunto, immaginifico (ciò che dovrebbe produrre la scena).

Silvia Mei e David Beronio
Silvia Mei e David Beronio

In Castellucci il fenomeno che chiamiamo “buco nero” ricorre in molte sue opere come la “Tragedia Endogonidia” (si riferisce a quegli esseri viventi semplici che hanno al proprio interno la la compresenza delle gonadi, che permette loro di riprodursi senza fine, ndr), dove la protagonista attraversa la scena ed entra nel dispositivo della macchina che ritroviamo anche in “Purgatorio” (episodio della riscrittura della Divina Commedia, messa in scena dalla Socìetas Raffaello Sanzio, che insieme all’”Inferno” e il “Paradiso” riproducevano un viaggio simile ad un labirinto molto fisico nelle profondità stesse dell’esistenza umana e dell’arte, ndr). Qui il bambino in scena entra dentro un oblò che gli permette di accedere ad una realtà fantastica, onirica. Una soluzione che di fatto diventa tutto un buco nero. In “Sul concetto di volto del figlio di dio” avviene lo sfiguramento del volto di Cristo (il bombardamento che liquefa l’immagine), fa si che lo sfigurare – spiega Silvia Mei – fa si che si superi l’immagine stessa attraverso un’operazione di oltrepassamento del reale. Probabilmente è come l’apertura femminile che ricorre in “Tragedia Endogonidia” e nel “Parsifal” (regista dell’opera lirica, ndr) , dove Castellucci torna all’immaginazione di ritornare dentro per uscire fuori; ovvero di entrare fuori. Una contrazione spazio temporale e se guardiamo il dipinto di Courbet, si nota che non ha volto il corpo ma è solo un busto troncato, michelangiolesco, dove proviamo una forte attrazione per questa immagine, quasi ci risucchiasse per restare impigliati, e il “buco nero” di Castellucci esercita questa attrazione. Come un al di là che poi può essere anche un al di qua».

Marco Colli e David Beronio
Marco Colli e David Beronio

Prima di Silvia Mei la conferenza ha permesso di ascoltare le testimonianze di Marco Colli, figlio del filosofo Giorgio Colli che ha ricordato le tante esperienze vissute accanto al padre e Alessandro Fersen: « Ho partecipato al loro scambiarsi le idee, alla loro amicizia e unione intellettuale che si era venuta a creare tra di loro, una specie di attrazione intelletuale. Nel 1944 per motivi diversi e urgenti per tutti e due, dovettero fuggire dall’Italia divisa in due e lacerata dalla guerra. Fersen era ebreo e mio padre fu minacciato di morte, all’epoca era insegnante in un liceo di Lucca. Entrambi scapparono in Svizzera e si rifugiarano in un campo profughi. Entrambi si dedicarono allo studio e alla ricerca. Fersen era già filosofo (Clemente Tafuri e David Beronio hanno curato la riedizione de “L’universo come il gioco” e “ Critica del teatro puro“ di Fersen, testi sui quali l’autore ha lavorato per oltre vent’anni, ndr) mentre mio padre nel 1948 pubblicò “La natura ama nascondersi“e si dedicò alla traduzione di Kant e Aristotele e per trent’anni ha tentato di pubblicare l’edizione critica delle opere di Nietzsche, riuscendoci alla fine.

Giorgio Colli
Giorgio Colli

Mio padre e Fersen erano uniti da una visione analoga del mondo, e dalla convinzione che in qualche modo bisognasse esercitare valori da trasmettere ai giovani. Un’azione che doveva essere svolta a tutti i costi. Le loro conversazioni nel campo profughi svizzero erano state intitolate ” i discorsi del burro verde“ per via che le luci al neon illuminavano facendolo sembrare verde. Per loro due il teatro era sorgente della conoscenza del sapere».

L’intervento di Carlo Sini, filososofo ha colto aspetti salienti su Dioniso come il «fenomeno dionisiaco guardato nella grandiosità e studiandolo Nietzsche ha scavato una galleria dove ha trovato tante pepite d’oro. Dioniso non è solo un fenomeno greco ma anche una religione che ha molti secoli, è un altro dio presente ovunque e allo stesso tempo anche diverso. Viene da un mondo estraneo, composto da un’estraneità di uno sguardo profondo. È maschio e femmina , dotato di una dualità sessuale ». Se per Carlo Sini il “teatro è la radice della cultura“ , per il Teatro Akropolis è una ragione in più per divulgarlo trasmettendo saperi e insegnamenti, avvalendosi della presenza di artisti significativi come lo sono Mariangela Gualtieri e Imre Thorman (presenza carismatica) uno deii danzatori butoh più importanti per questa disciplina. Teatro che sa unire diverse arti performative con il piacere di condividerlo, sentendosi dentro una casa accogliente e ospitale. Sapienze a confronto create per dare strumenti di conoscenza facilmente comprensibili a tutti, nella sua massima semplicità. La riconferma che all’Akropolis di Genova si produce un sapere depositario di eredità del passato che non teme l’usura del tempo.

Imre Thorman Enduring Freedom (foto di Serena Gargani)
Imre Thorman Enduring Freedom (foto di Serena Gargani)

La recensione di Simona Frigerio

Imre Thormann: il teatro della crudeltà prende forma

 

 

 

Visto al Festival Testimonianze ricerca azioni VII edizione , Teatro Akropolis Genova 23 marzo – 5 maggio 2016

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