VICENZA – La sensazione è quella di andare incontro a qualcosa che non conosci e non sai come affrontare, come un pensiero che ti assilla ancor prima che accada qualcosa di ignoto. Non stai andando a teatro, come è consuetudine per chi ne scrive, ma in una chiesa, non più dedita al culto, ora sede del Teatro del Lemming “AB 23 “Centro internazionale di produzione e ricerca – il Teatro dello Spettatore”, in Contrà Sant’Ambrogio a Vicenza. Massimo Munaro è il fondatore del Lemming (dal 1987) e regista di “Edipo – tragedia dei sensi per uno spettatore”, dove quel “uno” significa ribaltare la convenzione teatrale a cui tutti siamo abituati. Quell’uno sei tu mentre gli altri sono tutti invisibili protagonisti. Carmelo Alberti nella prefazione al saggio di Massimo Munaro dedicato ad Edipo (parte prima della “Tetralogia sul mito e lo spettatore”, che comprende anche Dioniso, Amore e Psiche, Odisseo) – spiega essere una “…Palestra per attori e spettatori”. Dal 1997 ad oggi sono stati seimila gli spettatori. Un record che sta a dimostrare come questa esperienza meta teatrale abbia un richiamo straordinario. L’accoglienza è simile ad un rito, dove ti viene chiesto di lasciare fuori (anche tutto ciò che ci fa essere soggetti protagonisti), oggetti di uso comune. Le scarpe, l’orologio, anelli e catenine, borse e indumenti non indispensabili. Nulla di metallico che possa far rumore e impedire un’ intima relazione che ti porterà a vivere un’esperienza sensoriale molto particolare. Entrano solo i tuoi sensi privati di quello che non deve interferire con il Mito di Edipo: la vista. Vieni bendato per diventare, tu stesso, Edipo. Cieco per essere guidato da mani sconosciute per rivivere il mito. Edipo si procurerà la cecità dopo aver scoperto la tragica verità. Il padre aveva dato l’ordine di ucciderlo dopo aver saputo dall’Oracolo di Apollo che suo figlio lo avrebbe assassinato e sposato la moglie nonché sua madre Giocasta. I pastori del re mossi da pietà risparmiano la vita ad Edipo e lo abbandonano al suo destino. La profezia si avvererà e una volta venuto a conoscenza di essere stato lui a commettere l’atroce delitto, si toglie la vista per punizione e la moglie/madre si impicca.
Il mito si palesa nell’oscurità dove ci si addentra in un labirinto che fa perdere il senso dell’orientamento fisico e mentale. Siamo esseri umani fragili e le nostre sicurezze si sgretolano impotenti di non poter dominare la nostra presenza. Ci lasciamo guidare attraverso un percorso sensoriale fatto di voci, di sussurri, corporei, entità metafisiche che si muovono intorno alla tua persona. La benda sugli occhi ti consegna inerme in balia degli eventi di cui tu fai parte senza potere e senza quelle sicurezze a cui siamo abituati. La vita fuori è fatta di scelte più o meno consapevoli, dentro la “camera oscura” dove si consuma la tragedia rivivi emozioni ancestrali, antiche per definizione, tramandate nei secoli. Il culmine del pathos viene raggiunto nell’azione definita del “l’inconsapevole omicidio”,quando nella propria mano viene posato un coltello e manovrato da chi ti sta guidando. La lama affonda violentemente penetrando fino a cadere al suolo. Il tuo braccio è l’esecutore materiale del delitto ma il mandante è misterioso e celato dal buio. Senti solo il rumore del metallo che squarcia quel nero che proviene da un inconscio ignaro di quanto sia grave la tua colpa. Uccidi il padre e diventi Edipo.
Qui si dividono le interpretazioni tra la spiegazione che la psiconalisi freudiana lascia intendere: l’omicidio come soluzione estrema dettata dal desiderio di possedere carnalmente la madre, mentre Karl Kerényi (filosofo storico delle religioni ungherese ritenuto fra i fondatori degli studi moderni della mitologia greca) e James Hillman (psicoanalista, saggista e filosofo statunitense) ritengono sia impropria la tesi di Freud, quando, invece, “ nella tragedia e nella leggenda prima viene l’omicidio, poi l’incesto (…). È quando uccidiamo il padre che siamo Edipo”. L’esperienza dell’accoltellamento non lascia indenni e quanto accade nel proseguo dell’esperienza accresce lo stato d’animo del partecipante. Le reazioni sono dissimili e contrastanti. Il gesto fa provare la violenza anche se virtuale ma in qualche modo si materializza nella psiche come qualcosa di realistico. Si materializza il fantasmatico che c’è in noi. Edipo del Teatro del Lemming ti riconduce gradualmente ad una regressione psico fisica in cui le varie scene si susseguono ricreando quell’immaginifico che sta alla base del mito. Voci, respiri, carezze, suoni, sono il corredo di un “viaggio” nel labirinto della mente umana sottoposta a stimolazioni sensoriali inedite, tanto siamo abituati a non ascoltare più il silenzio, a non prestare più attenzione ai suoni naturali. Massimo Munaro sceglie di intersecare la sua drammaturgia con innesti tratti dall’Edipo di Seneca, e “Alla ricerca del tempo perduto, La strada di Swann” di Marcel Proust nella scena de “La trasgressione/incesto (ricordo della madre)”, dove l’acme di tutta la partecipazione emotiva raggiunge il punto più alto fino all’epilogo che si rivela in tutta la sua potenza dirompente, quando vieni condotto dentro “L’ultima stanza” dove avviene “la rivelazione”: la scena dell’incesto, dove se entra un uomo appare un giovane uomo abbracciato ad una donna che lo allatta. Entrambi sono nudi. Al contrario se entra una donna, si invertono i ruoli e la scena prevede un uomo che abbraccia una giovane donna.
Tutto accade in un istante e subito dopo vieni allontanato con la forza. È il momento di fare “ritorno” verso “l’esilio” per ritrovarsi davanti ad uno specchio riconquistata la vista, tutto sembra apparire diverso. L’uscita ti riporta verso un sé al quale siamo abituati e ci rassicura. Eppure Edipo è dentro di noi. Il rigore della messa in scena grazie ad una attenta preparazione artistica degli attori e attrici e la cura dell’allestimento ci fa volgere lo sguardo all’indietro mentre ti allontani da quel luogo in cui hai depositato le tue emozioni.
Teatro del Lemmig
Edipo – tragedia dei sensi per uno spettatore
Musica e regia di Massimo Munaro
Con Fiorella Tommasini, Marina Carluccio, Alessio Papa, Boris Ventura, Diana Ferrantini
Assistenza Maria Grazia Bardascino, Katia Raguso
collaborazione drammaturgica Roberto Domeneghetti
visto al AB 23 di Vicenza il 30 maggio 2016