VOLTERRA (Pisa) – Cercare con il Teatro per il desiderio di trovare, affermare la vita: sembra questa la forza sottesa al lavoro della Compagnia della Fortezza da un quarto di secolo. Uno spettacolo forse è sempre egoista, ma le regie di Armando Punzo sono talmente a lungo condivise con gli attori da allargarne le maglie e filtrare amore anche per chi assiste all’opera. A VolterraTeatro – trentesima ma edizione, repliche fruibili e non spot, eventi della Città Ideale a cura di Carte Blanche – nel nuovo, ora compiuto “Dopo La Tempesta” la materia di cui sono fatti i sogni di alcune decine di detenuti-attori è “l’opera segreta di Shakespeare”, sorta di libro bianco che si compone di brani, a volte solo una riga, dei 37-38 drammi dell’autore inglese, scoperti come acqua sotterranea che porta passione e compassione per gli esseri umani mostrati invece in superficie nella loro ferocia primitiva.
In “Dopo La Tempesta” i personaggi vengono a frotte come dannati danteschi per circondare il loro Autore, o come “spiriti” di Prospero per chiedere la libertà nelle o dalle parole sublimi. “Può darsi che esca un poco da me stesso” “guàrdami, fallo dolcemente” “la separazione dei nostri destini ci metterà al riparo…” sono tra i versi pronunciati in varie lingue (italiano, arabo, inglese) dagli attuanti, trasmesse da registrazioni che sembrano un’eco, fino all’orazione finale tenuta da Ivan Chepiga, nato negli Urali, in cima a una delle scale a pioli che delimitano la scena fin dall’inizio assieme a rozze croci di legno. Se a volte nelle sequenze c’è un rischioso rimando alla ritualità della tradizione cristiana, è comunque l’opera laica di Shakespeare. il Libro spalancato che passa, o si rovescia in gorgiera attorno alla testa degli attori dalla fisicità più imponente. E il gesto con cui l’Autore – impaziente, scontento, sprezzante all’inizio e alla fine, come ricordiamo Carmelo Bene – si accosta alle sue creature per insufflargli le parole, non per rubarle au vol come il dio di Artaud, è un’immagine struggente.
Solo alcuni dei personaggi sempre presenti appaiono identificabili: certo lo è Desdemona in ricco abito nero con fazzoletto (che Punzo inutilmente le strappa) e cresce nel ripetersi di una voce di soprano che fa vibrare una parola simile a “orrore” o “terrore”, creata da un trucco sonoro di Andrea Salvadori, incredibile combinatore di musiche. Otello-Jago è affidato a Ibrahima Kandji, un nero gigantesco e scultoreo; Macbeth si direbbe quello con la corona rovesciata…
Quattro sono le figure femminili fisse – due attrici protagoniste in costume e due in abiti moderni rifiutate – attorno al filiforme conductor della parata di apparizioni, pallido inflessibile Shakespeare/Punzo dentro un mare di colori, gonne lunghe bianche che fasciano corpi scurissimi, giubbetti rossi, copricapi splendenti, teorie di re. E ogni oggetto in scena viene come rinvenuto per la prima volta e svela la sua decisiva presenza: dai calici sbattuti a terra o sollevati in brindisi, dall’alabarda alle collane, alle scale, allo specchio cui sembra chiedere aiuto l’Autore e che torna evocato nella composizione finale: “Tu non possiedi specchi da farti vedere la tua ombra, sei diventato un estraneo, non roviniamo il Tempo con parole”.
Visto a Volterra il 28 luglio 2016
foto di copertina : Andrea Salvadori (foto di Marco Marzi)