Pane abbrustolito servito con uovo emulsionato e rum possono ricreare la catastrofe delle Torri Gemelle di New York? Un consommé di cetriolo e zenzero rende l’idea dello tsunami di proporzioni bibliche? Liquirizia e lamponi accompagnati da granella di nocciole e menta sono in grado di far capire cosa è in grado di fare un terremoto ad un’autostrada? Non è fanta-cibo-scienza, ma “Cooking Catastrophes” (Catastrofi in cucina), andata in scena in prima nazionale a Fast (Terni), creazione culinaria catastrofica, realizzata da Eva Meyer -Keller e Sybille Müller, “una performance in cui potrete gustare la fine del mondo”.
Una catastrofe è classificata come un evento dalle gravi conseguenze. Parola che rimanda a “catastrofe” (drammaturgia), ovvero il punto più culminante e risolutivo della trama di un dramma teatrale greco. Poi c’è la teoria delle catastrofi, elaborata dalla matematica, sullo studio di come “i sistemi dinamici possano cambiare bruscamente per piccole variazioni di certi loro parametri”. Una vera e propria catastrofe solo nel cercare di capirci qualcosa. A teatro ci ha pensato Samuel Beckett a scrivere un’opera nel 1982, dal titolo Catastrophe. Il cinema ha risposto con Toshio Masuda nel film Nostradamus no daiyogen, genere prettamente catastrofico, uscito nelle sale nel 1974. Ogni giorno aprendo la televisione, o leggendo i giornali, ci rendiamo conto di quante catastrofi accadano in giro per il pianeta. Accidentali, causate da sconvolgimenti naturali, e dalla mano dell’uomo, specializzato nel farsi male da solo. L’arte contemporanea si è avvicinata a questi avvenimenti nocivi e dannosi per l’uomo e l’ecosistema. Ma che una creazione scenica, basata sul cibo cucinato e filmato, potesse rappresentare in una messa in scena particolare ed evocativa, cosa sia una catastrofe, non si era mai visto.
Mentre la città di Terni, era sottoposta ad una “catastrofe” ambientale e sociale per i festeggiamenti della “notte bianca”, dentro una sala del Caos, andava in scena, per lo stupore del pubblico, una sequela di sconvolgimenti culinari, trasformatisi in terremoti, colate laviche, disastri nucleari. Chef – perfomer in divisa nera correvano da una parte all’altra, per creare e disfare delicatezze gastronomiche capaci di ricreare incendi boschivi, fiumi in piena, cadute di meteoriti. Odori di cibo e scosse telluriche, profumi di spezie e esalazioni di gas, la polvere di cannella che diventava un acre odore di aria satura di scorie. Un mix futurista dove realtà, artificio, creatività spinta all’inverosimile, si mescolavano come in una ciotola di ingredienti dosati alla perfezione.
Il lavoro dell’artista Eva Meyer-Keller è un’ibrido tra arte visiva e performance. Si è formata allo SNDO di Amsterdam in danza e coreografia e contemporaneamente ha studiato arte visiva e fotografia tra Londra e Berlino. Oltre alle sue performance, presentate al livello internazionale, porta avanti progetti in rete con altri artisti e si dedica alla videoarte
Sybille Müller ha studiato danza alla Rotterdam Dance Academy e studia comunicazione alla University of the Arts di Berlino. Il suo lavoro fonde diversi linguaggi, dalla danza, al teatro, alla perfromance fino alla scrittura e alla ricerca psicologica.
Il progetto è molto più complesso di quanto si pensi. Frutto di ricerche iconografiche, interviste realizzate a ricercatori universitari, geologi, specialisti in scienze ambientali e processi che controllano i cicli di vita nell’atmosfera terrestre. Scienziati al servizio della cucina catastrofica di Eva Meyer – Keller. Ogni azione gastronomica veniva riprodotto su di uno schermo, filmata da una videocamera che amplificava e trasformava gesti banali come versare del liquido caldo, spalmare della cioccolata, emulsionare una vinaigrette di olio extravergine e nero di seppia, in altrettanti catastrofi. Il risultato è una riflessione (corredata da foto di reali e disastrose tragedie accadute) intelligente, pensata per interrogare la nostra incapacità di prevenire (dove l’uomo è responsabile) sconvolgimenti al nostro pianeta.
C’è un messaggio etico forte che passa: “Vogliamo l’aria pulita, l’acqua fresca, cibo sano, un ecosistema …. la mia visione del futuro è difficile esprimerla, in un mondo più equo”- recita Elena Pontil Scala, mentre Marika Heidebäck filmava zucchini al burro d’arachide, vellutata di zucca, gelatina di finocchio, tris di mele con fegato d’anatra, curry thailandese e maionese al nero di seppia, cucinati, impiattati, serviti, decorati, “catastrofizzati”, da Mariana Silvia Varela, Filip Zubaczek e Peter Whaley. Ritornata la quiete, i sensi sono stati sollecitati al piacere del gusto, assaggiando le varie specialità culinarie, offerte dal team. Una vera e propria catastrofe di sapori mescolati tra di loro, passando dalla liquirizia alla zucca, cioccolato e nero di seppia. Il palato sottoposto a scosse telluriche devastanti… Intelligente e divertente (nella sua tragicità) operazione che faceva dire ad una spettatrice: “Ma questo non è teatro”. No, è qualcosa di più: è la nostra vita portata in scena. Più teatro di così.