BELGRADO – Sembra essere l’Africa un tema dominante del Bitef 2016, il Festival internazionale di Teatro di Belgrado, che nel suo 50esimo anniversario è stato inaugurato da Robert Wilson grande ospite di passate coraggiose edizioni mai fino a oggi diventate vetrina. Se al nigeriano Femi Osofisan e’ andato il Premio Thalia per la drammaturgia (consegnato nella sede dell’ambasciata tedesca), di ‘allegri’ e pazzi dittatori di quel Continente fa una caricatura travolgente il singspiel creato dalla berlinese Gintersdorfer: esso ruota attorno alla figura simbolica di un diplomatico sballottato da un sovvertimento all’altro di potere. E si amplia al ritmo di un trascinante musical per la scatenata presenza di danzatori africani e tedeschi come Jule Flierl e Franck Edmond Yao, anche musicisti come Eric Parfait Francis Taregue alias Skelly e Hans Unstern.
La forza de ‘L’ambasciatore’, presentato allo Youth Theatre di Belgrado il 27, sta proprio nella misura artistica che diventa dismisura, acrobazia, animalita’ dei corpi lanciati in danze tribali o in disarticolate sequenze di danza contemporanea. Il racconto fisico e musicale, scandito da percussioni e chitarre elettriche da concerto pop, tocca pero’ la rabbia della gente, dalla Guinea alla Liberia, dalla Sierra Leone alla Costa d’Avorio contro l’ex coloniale Europa e in particolare la Germania (presente in sala con sense of humour l’ambasciatore tedesco). Non si fanno sconti, se pur con battute fulminanti o mascherate rock, ne’ a Gheddafi ne’ a Merkel, passando per le strettoie dell’ex Muro. Grande divertimento del pubblico che si adegua, grazie alle musiche, al bombardamento in tre lingue, inglese, francese, tedesco, piu’ sovratitoli in serbo. Ma non si resiste al contagio di quella inedita band di teatro danza afro-germanica.
Se nel musical le differenze si fondono, in un lavoro precedente, Ridicolous Darkness del Burgtheater di Vienna, le perversioni del razzismo vengono esaltate con linguaggio e mezzi tutti teatrali: colate di colore nero sulla pelle bianca di Frida, Dorothee, Stefanie e Catrin, quattro attrici tedesche dirette da Dusan Parizek, che si scambiano ruoli maschili e femminili cosi’ come quelli di vittime e carnefici, nella storia principale – che ricorda Cuore di tenebra di Conrad – e nei risvolti psicologici della vicenda familiare in cui essa si restringe. Il senso della violenza tocca il culmine artistico nell’intervallo tra i due tempi in cui invece di cambiare la scena le quattro donne la distruggono prima di distruggersi a vicenda.
L’obiettivo del Bitef Festival 2016 si precisa: e’ l’avvio possibile di una politica di relazioni tra Africa e Asia avendo come tramite geografico e culturale l’area dei Paesi balcanici, in particolare la citta’ di Belgrado e la nazione serba. Ne esce ridefinita anche l’idea che della cultura dell’ex Jugoslavia forse si continua ad avere o a non avere, dopo i due conflitti mondiali che hanno lasciato in eredita’ significati legati all’ex impero austro ungarico e/o alla matrice ebraica, e le guerre che hanno portato con violenza alla formazione di 8 Stati indipendenti. Ne hanno parlato al Congresso dell’Associazione Internazionale Critici di Teatro (IATC, che ha confermato presidente e segretario generale) alcuni relatori sempre nell’ambito del tema di quest’anno: il Nuovo, la Novita’ nel Teatro.
Il Teatro in se’ non puo’ essere “nuovo” in quanto nodo antico di rapporti tra attori e spettatori presenti, ma diventa veicolo di novita’ attraverso la propria politica di rappresentazione, la tecnologia, e soprattutto descrivendo con una nuova composizione di linguaggi le relazioni umane, oggi. Per quanto riguarda gli spettacoli del Bitef, invece, il filone non tematico ma artistico e tecnico ha riunito proposte diverse di racconto multimedia in video e in azione. Primo fra tutti, e’ stato presentato all’Atelje 212 il lavoro diretto da Milo Rau, Compassion (spesso segnalato in “7 Scene d’Europa”), che ha mostrato perfetto equilibrio di effetti tra le parti affidate all’immagine documentaria e alle attrici. Ha prevalso invece la figura fisica dei danzatori in Softmachine, al National Theatre di Belgrado, del singaporese Choi Kai Fai con la portentosa presenza del fenomeno Rianto, il coreografo indonesiano che vive a Tokyo, interpreta ruoli femminili e maschili nella danza asiatica di tradizione e li traduce in movimenti contemporanei. Fino all’estremo virtuosismo. Per un pubblico in delirio di applausi.
Piu’ intimista ma anche spesso statico ha raccolto consensi il racconto del libanese Rabih Mroue’ attraverso video e registrazioni alla Beckett (davvero un genio anticipatore!). E’ la storia del fratello Yasser e del suo rapporto dissociato con la realta’ e l’immagine di essa dopo esser stato colpito alla testa dal proiettile di un cecchino durante la guerra. I due emisferi hanno conservato o perduto parole che vengono in vario modo riconquistate o ricomposte con l’aiuto della musica (di Chaikovskij), della poesia di Majakovskij e l’amore di un fratello.
Visti al Bitef 2016 di Belgrado