SANSEPOLCRO (Arezzo) – Per arrivare a Sansepolcro si attraversano secoli di arte e cultura, sulla strada che parte da Arezzo, una città le cui origini sono più antiche di Alessandria D’Egitto, divenuta sempre più rilevante nel 500 a. C. per l’insediamento degli Etruschi, successivamente città romana d’importanza strategica. Un centro abitato sede di fiorenti attività economiche. Qui è nata la scrittura musicale con l’invenzione delle note. In un territorio abbastanza circoscritto, il patrimonio storico culturale oltre a quello ambientale e naturalistico, è di grande prestigio e offre la possibilità di visitare gli affreschi di Piero della Francesca nel Duomo, la cui bellezza valgono da soli una visita alla città. Di questo importante artista, nativo di Sansepolcro, si potrà ammirare a Milano (dal 6 dicembre 2016 all’ otto gennaio 2017) nella Sala Alessi di Palazzo Marino , uno dei massimi capolavori del Rinascimento: La Madonna della Misericordia, pala centrale dell’omonimo polittico, conservato al Museo Civico nella città natale del pittore. La prima sua opera documentata realizzata per la Confraternita della Misericordia tra il 1445 e il 1472. Chi è stato a Sansepolcro avrà sicuramente avuto modo di ammirarla nel suo assetto originario. Per arrivare al capoluogo della Valtiberina toscana, situato al confine con l’Umbria e le Marche, il tragitto si snoda tra colline boschive che lasciano intravedere paesaggi armonici di memoria rinascimentale. Posizionata al centro di un fondovalle, la città è sede di Kilowatt, di uno dei festival estivi di teatro più originali della scena internazionale, tanto da meritarsi il riconoscimento EFFE LABEL 2015 – 2016, assegnato dalla Giuria internazionale dell’Europe for Festivals, Festivals for Europe.
La quattordicesima edizione archiviata con sucesso (in scena dal 15 al 23 luglio scorso) si può giudicare anche attraverso i numeri per l’ impegno organizzativo dimostrato, con la raccomandazione al Comune di Sansepolcro e alle altre amministrazioni pubbliche – di mantenere vitale il loro sostegno, sentendolo come un patrimonio culturale da valorizzare. Il teatro e le altre discipline artistiche correlate, producono economia e visibilità; basti pensare all’indotto che si registrava nelle nove giornate di spettacoli: 61 repliche, 50 compagnie partecipanti, 21 tra prime e anteprime nazionali, eventi artistici e culturali collaterali, 150 artisti presenti e ospitati dalle strutture alberghiere e ricettive della città. Non si capisce bene il perché non venga valorizzata maggiormente, Sansepolcro, a fronte di un notevole afflusso di visitatori/turisti che scelgono Arezzo mentre pochi di loro scelgono di proseguire. Kilowatt fa da traino nei giorni di festival, dove è possibile visitare musei, chiese e monumenti, apprezzare la gastronomia locale, i cui albergatori e ristoratori si mostravano fieri di contribuire al benessere degli ospiti. Il contributo del successo di questa manifestazione è dato anche – e soprattutto – dall’impegno dei visionari, intenti a favorire una crescita di una cultura della visione.
Sono gli abitanti della città che selezionano ogni anno, tra le molte proposte arrivate, al direttore artistico Luca Ricci, dieci titoli tra teatro e danza, oltre a quelli inseriti nella sezione Ospitalità. Uno sguardo sempre più attento e competente, di semplici appassionati, capaci di aver sviluppato nel corso degli anni, un’attenta capacità di valutazione artistica. Nelle scorse edizioni gli spettacoli della Selezione Visionari, una volta rappresentati, venivano discussi in forma di incontro plenario, alla presenza degli artisti, dei visionari e dei fiancheggiatori (i critici presenti); un’idea originale dove l’analisi estemporanea della messa in scena, della poetica e dell’esito artistico/registico, trovava conferme e criticità emerse durante la visione, grazie al dibattito e allo scambio di opinioni e parametri di giudizio, anche diversi tra di loro. Fonte di crescita e maturazione per un festival che non ha le caratteristiche di offrire solo intrattenimento.
Prima di parlare di teatro vale la pena citare alcune delle manifestazioni collaterali, capaci di esaltare il clima festivaliero, tra le quali Kilow’art # 1, “Nuova didattica popolare”, un format sperimentale per la conoscenza dell’arte contemporanea, dove viene perseguito il principio dell’apprendimento reciproco, accessibile a tutti, e non solo agli addetti ai lavori. Un modo di fare culturale circolare e ampio senza confini, ideato dal critico d’arte Pietro Gaglianò . Uno sguardo anche verso chi l’arte non la può frequentare e vive in condizioni di emarginazione e povertà sociale ed economica: “Il mare negli occhi”, la mostra fotografica esposta nei giorni di festival nella Chiesa di San Lorenzo, curata da Riccardo Lorenzi. Un reportage fotografico realizzato sull’isola di Lampedusa nel 2014.
Una galleria di ritratti dei volti degli abitanti capaci di accogliere con generosità gente arrivata dal mare, lo stesso che tiene loro distanti dalla terraferma. Occhi spalancati sulle tante tragedie accadute e per aver visto scene di disperazione. Kilowatt lo si poteva percepire anche per strada grazie alle “Vetrine di Kilowatt”, cinquanta negozi della città si sono sfidati per realizzare la più curiosa e innovativa vetrina sul tema scelto di questa edizione: “ È tempo di risplendere”, consigliato da Mariangela Gualtieri, lei stessa interprete e artista ospite, dei versi di un’altra poetessa: Amelia Rosselli (da “Variazioni belliche”, raccolta di poesie del 1961). La poesia è stata la musa ispiratrice del Festival, come si legge nella presentazione del programma (firmato da Lucia Franchi e Luca Ricci, i due direttori, la prima responsabile amministrativa e Ricci per la parte artistica): “Ci guidano i poeti …anche per la scelta dell’immagine suggerita da un altro amico poeta, Daniele Piccini, tratta dagli scatti del fotografo Mario Giacomelli (dal ciclo “Un uomo, una donna, un amore, 1961). Parole e immagini degli anni Sessanta, quando fiducia e bellezza accompagnavano la nostra crescita. Ci guidano i poeti, perché è bello lasciarci condurre da chi conosce il valore delle parole messe in fila per creare senso e suono, perché questa sequenza è la base del dire e del fare, e dunque del nostro essere sociali. Ci guidano i poeti perché, se vogliamo risalire dal fondo in cui ci sentiamo precipitati, dobbiamo lasciare da parte il chiacchiericcio quotidiano e dare importanza a chi parla bene, a chi scrive e pensa bene”.
La parola bene serve anche a spiegare che partecipare ai festival estivi è sempre proficuo, là dove, però, si assiste ad un teatro fatto, scritto e recitato bene. Non si tratta di banalizzare un semplice giudizio diviso tra due poli opposti: da una parte il saper fare con professionalità, talento e coscienza dei propri meriti, quanto dei limiti, e dal lato opposto la poca accortezza di andare in scena con la dovuta maturazione richiesta dall’impegno artistico. Un festival come quello di Kilowatt ha nel suo dna la volontà di fornire una visione capace di suscitare interesse, anche nella riflessione, che porti ad interrogarsi sul senso stesso della nostra esistenza; ciò non vuol dire che tutto il teatro visto a Kilowatt abbia sempre convinto (ascritto ad una legittimità oggettiva – quanto soggettiva di chi lo deve giudicare); ma l’impegno dimostrato negli anni è tangibile e ha creato a Sansepolcro un terreno fertile per molte inziative. I Teatri Vaganti, Spettatori Erranti, ad esempio. Due gruppi di spettatori, uno proveniente da Parigi, l’altro da Arezzo, condividevano la passione per il teatro durante il periodo del Festival. I parigini sono stati ospitati nelle case degli spettatori aretini, e tutti insieme partecipavano al percorso di formazione del pubblico “Spettatori Erranti”, curato da Isabella Lops e Laura Caruso.
Non è certo una semplice vetrina e l’offerta artistica è sempre stata tale da poter scegliere e valutare con assoluta libertà. La bellezza nelle parole di Mariangela Gualtieri in “Ecco che è il tempo di risplendere”, preziosi frammenti di poesia declamata da chi ha fatto della poesia una ragion di vita. La Piazza Torre di Berta, per ogni sera del Festival, risuonava della sua voce, attirando e disponendo gli spettatori (in questo caso uditori) all’ascolto. Un antidoto al brusio e al vociferare caotico di cui se ne farebbe volentieri a meno. Pur cogliendo l’importanza di ritrovarsi in mezzo alla folla festante, in occasione del concerto dei Tiromancino, l’evento di apertura di Kilowatt. Il pubblico si differenzia anche per questa scelta ed è un “bene”, aggiuntivo a tanti altri. Apertura verso generazioni diverse, età differenti, gusti dei più svariati. Così come è accaduto per lo spettacolo di chiusura, quando la piazza centrale si è riempita di adulti e bambini, per assistere al “Draaago” del Teatro dei Venti di Modena.
Lo stupore e la meraviglia negli occhi nel vedere le imprese mirabolanti di una Compagnia teatrale specializzata nel creare suggestioni visive e sonore, in cui la favola prende forma attraverso una tecnica di movimento raffinata (artisti che si muovono su trampoli con un’eleganza sinuosa come se danzassero), con l’ausilio di bagliori di fuoco, giocolieri intenti a combattere il drago, una vera macchina teatrale raffigurante il mostruoso animale che sputa fuoco. Figure gigantesche che ruotano su stesse vorticosamente. Descrivere questo spettacolo cosiddetto di strada è impresa ardua, le parole non sono esaustive nel riuscire a descrivere l’atmosfera e le suggestioni provate. Le immagini danno il senso del lavoro certosino del regista Stefano Tè, a cui chiede a suoi artisti, una preparazione atletica, fisico espressiva notevole, capace di suscitare ammirazione.
Se la storia racconta di una sfida tra un cavaliere e il drago, con l’intenzione di sconfiggerlo, il Teatro dei Venti vince l’ennesima prova sul campo. Le macchine teatrali realizzate da Teatrini Indipendenti Factory, contribuiscono al lungo applauso liberatorio del pubblico, dimostrando come sia possibile provare quel senso di allegria e divertimento, senza scadere in rappresentazioni mutuate da una comicità televisiva da non imitare. È un ritorno alle origini, ad una forma di spettacolo basato su elementi arcaici dove si assiste alla lotta tra il “bene e il “male”; metafora di una vita che vuole difendere valori di una pacifica convivenza. Non c’è retorica nella ricerca drammaturgica del lavoro di Stefano Tè, coadiuvato dalla consulenza di Salvatore Sofia e registica di Mario Barzaghi. Entrano in gioco elementi di un teatro dell’immaginifico in grado di generare stupore, allentando quella tensione esistenziale di tutti i giorni, e offrendo allo sguardo la possibilità di lasciarsi condurre in un mondo fantasmagorico, conosciuto dai bambini di un tempo, quando sfogliavano i libri delle favole.
Oggi non accade più, o molto meno, a differenza del passato quando l’immaginazione e della fantasia venivano stimolate dalla lettura e dalle immagini. Francesco Bocchi, Laura Bruni, Oksana Casolari, Francesca Figini, Simone Lampis, Beatrice Pizzardo, Antonio Santangelo, Salvatore Sofia, Ignino L. Caselgrandi sono artisti di talento e sanno “… portare il teatro nei luoghi non teatrali per stimolare una riflessione sul tessuto urbano e le sue implicazioni sociali”. Obiettivo raggiunto.
Restando in tema di implicazioni sociali, “Fa’ Afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro” di Giuliano Scarpinato (spettacolo finalista al Premio Rete Critica 2016), la storia di un adolescente a cui la vita chiede di scegliere una precisa identità sessuale, senza tenere conto di quanto sia difficile, a volte, per un bambino, sottoposto ad una continua pressione e stimolazione in un’epoca come quella attuale, disorientato tanto da non permettere una normale crescita evolutiva. Qui si assiste ad una favola moderna, dai tratti onirici ad una forma di “ribellione” più legata al rifiuto di affrontare la propria condizione non definitiva, in una società (esterna alla sua camera – rifugio) e incapace di includere e accogliere senza pregiudizi. Dal buco della serratura i genitori (in video appaiono il regista Scarpinato e Gioia Salvatori), intenti a spiare il loro figlio (un credibile e bravo Michele Degirolamo), preoccupati del gesto di isolamento a cui si è sottoposto. Una difficile trattativa per convincerlo ad uscire compresa la possibilità di essere deriso a scuola. Basterebbe questo per far riflettere quanto sia rischioso emarginare chi si sente in difficoltà e non trova ascolto. Come se la realtà attuale non basti per conoscere quanti episodi di bullismo, discriminazione, isolamento, dove la sofferenza subita, pare una condanna da espiare senza aver commesso nessuna colpa. Il finale di Fa’Afafine è nella giusta ragionevolezza dei genitori che si dimostrano consapevoli di andare incontro al loro figlio, giocando sull’immedesimazione e non sul rifiuto nel capire, pur non avendo gli strumenti educativi necessari per farlo.
È un teatro che suscita delle domande ma non da per scontato nessuna teoria. Non manca di certo l’ironia a Giuliano Scarpinato, nell’aver scritto e diretto uno spettacolo a cui la visione è consigliata a tutti, senza riserve e censure preventive. Esente da qualunque forma di apologia, merito di una regia attenta che ha ricevuto il Premio Scenario Infanzia con la motivazione di essere: “La storia di un adolescente alla scoperta di sé e della sua identità sessuale ci introduce in uno spazio famigliare popolato di giochi e attraversato da conflitti e aperture oniriche. Un tema arduo, individuato con coraggio e accuratezza di indagine e portato in scena da attori dotati di ironia e leggerezza. Un’occasione importante per stimolare una discussione sulla differenza di genere in ambito educativo e formativo”.
Kilowatt presentava anche una singolare performance, ospitata dentro un vero camion, e il titolo lo faceva ben intendere: “Kamyon” del regista belga Michael De Cock, replicata in molte città europee. Rinchiusi in uno spazio a dir poco claustrofobico, si assisteva alle condizioni di un emigrante clandestino alla ricerca di una vita migliore. Nella versione italiana la protagonista femminile è stata interpretata da Alice Spisa. Singolare quanto epidermica visione dove il caldo, la clausura forzata, la scrittura drammaturgica, concorrevano tra di loro a rendere visibile la drammaticità di un fenomeno migratorio sempre più allarmante. “Kamyon” è stato prodotto nell’ambito del progetto europeo “Be SpectACTive!”, finanziato dal Programma “Creative Europe” dell’Unione Europea, di cui sono stati capofila il Comune di Sansepolcro e CapoTrave/Kilowatt. Alternare la visione tra creazioni dal forte impatto sociale dove emerge l’urgenza di una narrazione teatrale, ad una più leggera e scanzonata, è sempre auspicabile per permettere al pubblico e all’osservatore critico, di bilanciare la giusta misura di attenzione e concentrazione con quella di un divertimento ideato con la leggerezza di una comicità intelligente.
“I Quattro moschettieri in America” a firma de I Sacchi di Sabbia, ne sono un esempio. Uno spettacolo ironico e brillante, quasi un cartone animato che prende anima e corpo sulla scena ed esce dalla pellicola filmata, citando “I 4 moschettieri”, un radiodramma di Angelo Nizza e Riccardo Morbelli che andò in onda nel 1934, fortunata trasmissione abbinata ad un concorso di figurine sponsorizzato dalla Perugina. Un programma divenuto in breve tempo un vero e proprio fenomeno di costume, capace di incrementare la vendita di apparecchi radiofonici, con il risultato di essere la trasmissione più ascoltata, influenzando perfino il cinema dell’epoca.
L’abile drammaturgia di Giovanni Guerrieri, regista insieme a Giulia Gallo fa si che il romanzo di Dumas “I tre moschettieri”, tra i più celebri della letteratura francese, venga ambientato in un’America degli anni Trenta, divenuti quattro come nella versione originale (ai tre si aggiungerà D’Artagnan), impegnati in frenetici inseguimenti tra gangster, sparatorie, bulli e pupe della migliore tradizione , dove le citazioni cinematografiche rendono omaggio a registi come Billy Wilder o ai romanzi fantastici di Jules Verne, in cui si innesta la personale immaginazione e fantasia degli autori e interpreti. Le scene che si susseguono vengono esaltate dalla “follia” di far accadere di tutto sulla scena.
Le azioni assumono il valore di un gioco alla rincorsa tra gag esilaranti e surreali, pantomime, il supporto delle costruzioni sceniche decorative e funzionali di Giulia Gallo anche in scena insieme a Giovanni Guerrieri, Giulia Solano e il pittore Guido Bartoli, illustratore sulla scena. Sul fondale si susseguono le pagine dove vengono disegnate le sequenze della storia che gli attori a loro volta interpretano. L’aspetto ludico è fortemente marcato e da la misura di come il teatro possa divertire senza mai essere banale. Allo stesso tempo poetico e lineare nella sua costruzione che ingloba la recitazione al canto, la musicalità alla pittura, alla vocalità fuori campo di Marco Azzurrini, Gabriele Carli, Paolo Castellano, Enzo illiano, Carlo Ipata, Matteo Pizzanelli, Federico Polacci, Daniele Tarini.
Infine, la danza, tra le tante proposte, i Visionari hanno selezionato anche Körper “ Aestetica – Esercizio 1” firmato dal regista Gennaro Cimmino il quale è autore anche delle coreografie insieme a Gennaro Maione. Un progetto misto arte coreutica e teatro espressivo corporeo, giocato sui rimandi di una delle compulsioni più diffuse: l’utilizzo dei social network. “La messa in danza delle ossessioni al tempo dei social network (…), tra passerelle per concorsi di bellezza e ‘confessionali’ da reality show”, affidata a sei danzatori che interpretano come si possa trascendere e degenerare la propria persona che cerca di esaltare in modo maniacale il proprio culto dell’immagine. In una società edonistica come la nostra, dove ogni momento è buono per scattarsi un selfie (basti vedere su facebook la ripetizione seriale del ritratto di un uomo o di una donna), Gennaro Cimino affida al movimento di Sabatino Ercole, Flavio Ferruzzi, Nello Giglio, Nicola Picardi, Gennaro Maione, Antonio Nicastro, il compito di ricreare quanto di più alienante può esserci nel perdere la propria consapevolezza di sé, sostituendola con il virtuale di azioni e comportamenti suscitati dal desiderio di oggetti che non appaga mai.
Tematiche sociologiche da studi comportamentali non facili da affrontare. La danza si fa carico di rappresentarle e il risultato è una creazione dove i materiali sonori si fanno carico di sottolineare il movimento reso accelerato da ritmi frenetici, sincopati. Il risultato che ne consegue fa sì che i sensi della vista e dell’udito vengano sollecitati al massimo. La densità di soluzioni sceniche è tale da creare una sorta di saturazione che crea a tratti disorientamento. Districarsi tra tutte le azioni dei danzatori di cui si nota l’ottimo livello di preparazione, non è era facile e allo spettatore veniva chiesto uno sforzo notevole per comprendere l’estetica e la poetica ricca, anche in eccesso di segni che dovevano essere decodificati.
Kilowatt Festival L’energia della scena contemporanea Sansepolcro (Arezzo)
“E’ tempo di risplendere”
14 esima edizione 15/23 luglio 2016
Di prossima pubblicazione il viaggio tra festival estivi: da Terreni Creativi di Albenga al Fèstival Tròia Teàtro.