MILANO – Una traiettoria circolare segue la strategia adottata da Silvio Castiglioni nello spettacolo “Casa Ghizzardi: mi richordo anchora”, regia di Giovanni Guerrieri, per raccontare e mettere in vita la figura dello straordinario pittore autodidatta Pietro Ghizzardi, nato nel 1906 a Viadana mantovana, morto nell’86 a Boretto. E in un’ora l’emozione assolutamente speciale del teatro si fa sempre più palpabile, quasi ipnotica. L’attore si fa trovare dal pubblico in una nicchia dello scalone del Teatro dell’Arte alla Triennale per illustrare i primi elementi della vicenda artistica come se si trattasse di una visita guidata, diretta soprattutto all’ascolto delle persone. Poi, in una stanza buia alla luce di un fiammifero porta l’attenzione sul segreto della creazione originale, qualcosa che non si può spiegare e che si dispiega liberamente anche in un contadino della Bassa padana, più volte bocciato alle elementari, scoperto dal regista Cesare Zavattini che lo portò a vincere il mitico Premio Guastalla.
Il pubblico segue l’attore in un corridoio di riquadri illuminati, il primo è fatto di nuvole che vanno e si disperdono, in mezzo corrono gli spazi occupati dalle tele immaginate da Pietro e disegnate dai gesti di Castiglioni che evocano segni insistenti, potenti su corpi di donne e scene con animali; infine su di uno schermo appaiono le case e le cascine immerse nella nebbia, i fantasmi dei pioppi, lo stesso Ghizzardi in bicicletta come folgorato dal viso di una donna alla finestra. Si arriva poi ad uno spiazzo dove Silvio Castiglioni indossa il tabarro e il cappello con le piume del pittore e, giocando in una sorta di danza leggera con la sua stessa ombra, imprime un che di diabolico alle fattezze dell’artista mentre dice brani della sua autobiografia sgrammaticata e lunare (edita nel ’76 da Einaudi e ora rieditata da Quodlibet). Il percorso si conclude con l’attore di nuovo in presa diretta con il pubblico tra alcune delle tele originali, dagli anni ’50, di Ghizzardi, di potenza strepitosa che rimanda nel segno a Lucien Freud o a Francis Bacon ma con più dolcezza, impasto di colori, e con l’innamoramento delle forme soprattutto femminili fino a farne una dirompente esplosione di seni e ventri, o a rifugiarsi nella filiforme naiveté delle figure di animali feroci e domestici. L’abilità di Castiglioni è, oltre che nel suo suadente, insinuante modo di raccontare che si colora di un lieve accento padano-emiliano, nell’alternarsi di una vicinanza familiare, quasi tangibile al pubblico e di una lontananza siderale nel mondo dell’immaginazione teatrale. Un’esperienza per chi vuole ritrovare la fascinazione del teatro e basta.
Visto al Teatro dell’Arte di Milano il 26 novembre 2016