PALERMO – Non è mai facile confrontarsi con la drammaturgia classica: dispiegandosi nello spazio del mito, essa presenta sempre un eccesso di senso con cui occorre fare i conti, pur sapendo che non ne verremo mai del tutto a capo. Non è facile per il pubblico, non è facile nemmeno per gli artisti che in quell’inattingibile mistero provano a fissare lo sguardo. Raccontiamo lo spettacolo “Troiane, variazioni con barca” testo e regia di Lina Prosa, andato in scena in prima assoluta a Palermo nello spazio scenico della chiesa di San Mattia dei Crociferi, (dal 17 al 20 novembre scorso) nel contesto delle giornate internazionali del “Progetto Amazzone”. In scena bella e molto intensa, nel ruolo di Andromaca, la protagonista Emanuela Muni, mentre il coro era rappresentato dalle ormai storiche attrici dell’ensemble di Lina Prosa: Angela Aiola, Augusta Modica, Maria Rita Foti, Rosaria Pandolfo, Anna Maria Riina, Laura Scandura, Graziana Spinella (il coro delle fashion victims). Di spessore anche la partecipazione delle tre attrici brasiliane Rejane Reinaldo, Francinice Campos e Lua Ramos del teatro di Boca Rica di Fortaleza (richiamo potente al pacifico nutrimento materno della terra e alla salvifica presenza dell’alterità). Ci sono due direttrici di senso che bisogna seguire e interpretare per parlare adeguatamente di questo spettacolo; da una parte la costruzione poetica dell’intera scrittura scenica (al di là della drammaturgia verbale), dall’altra il lavoro registico che sembra si innestarsi sul respiro della drammaturgia.
Il testo di Euripide resta attivo e pulsante, ma è lasciato sullo sfondo: quante sono state le Ilio devastate dalla furia della guerra? Quante ce ne sono tuttora? Lina Prosa affianca un numero alle diverse Ilio distrutte. Quante principesse sono state violentate, deportate e scannate dai maschi vincitori? Quante sono tuttora? Quante barche hanno atteso l’arrivo delle nuove schiave per portarle via, quante l’attendono ancora oggi? Quanti passi verso quelle barche, quante catene a legare i corpi, quante piaghe su corpi di donne rese schiave. Quanto ci rende schiavi e insensibili al dolore degli altri il consumismo capitalista? Quanto ci priva di dignità umana? Dove e quando abbiamo smarrito la sacra pietas per il dolore nostro e altrui? Ad ognuna di queste domande fanno eco immediatamente le immagini, che ci giungono dalle guerre in corso attualmente nel mondo, ma siamo in teatro e allora il colpo, lo strazio e la responsabilità (o colpevolezza) della parola, arrivano senza mediazioni, senza possibilità di costruire alibi di comodo, vie di fuga immediata.
Come in altri spettacoli, anche questa volta la voce poetica di Lina Prosa è potente, profonda e capace di trasformarsi con naturalezza in corpo e gesto teatrale, soprattutto, e meglio, quando in scena ci sono grandi attori che riescono ad affrontare la complessità del testo e a interpretare ogni minimo segmento di senso (qui è davvero sorprendente Emanuela Muni che nei suoi monologhi, quasi esplorando i mondi interiori evocati dalle sue parole, attraversa e reinventa i personaggi euripidei). Lo spettacolo si dispiega sopra un affascinante tappeto di foglie autunnali coperto integralmente da un telo di plastica trasparente. Più deboli appaiono invece gli inserti in cui la voce interamente politica di questa tragedia, si piega in direzione ideologica: il “porco dice…”, ovvero il borghese maschio bianco occidentale, che comprerebbe tutto se non potesse rubare o distruggere, è stantio come personaggio, ormai privo di voce propria anche solo come rimando di senso politico.
Tuttavia, se la drammaturgia convince nella sua sostanza più autentica di riscrittura tragica, non altrettanto si può dire della regia che appare ricca ma non così solida, meditata, consapevole dei propri valori formali e soprattutto politici. Si ha l’impressione che la straordinaria congerie di intuizioni, di echi e di materiali raccolti pietosamente dall’ urgenza dell’artista per costruire lo spettacolo (ad esempio il bellissimo segno delle tre attrici brasiliane), non abbia trovato il giusto tempo d’essere messa a fuoco e resa in una forma che possa dare del tutto ragione della loro ricchezza.
Visto a Palermo Chiesa di San Mattia dei Crociferi il 17 novembre 2016