GENOVA – Il teatro è spazio/luogo in cui è possibile sentirsi è possibile accolti e percepire un senso di condivisione fino a diventare comunità creata dalle persone che lo abitano. Una “casa” temporanea per alcuni, una residenza quasi stabile per chi ci lavora. Il concetto di fare teatro insieme è da sempre la caratteristica che contraddistingue il Teatro Akropolis di Genova. Qui la necessità di un bisogno artistico è l’ espressione di un agire teso alla ricerca e allo studio, che va ben oltre alla semplice rappresentazione scenica, come traguardo estetico e teatrale. La funzione del teatro trova in Clemente Tafuri e David Beronio un approccio metodologico di studio e analisi dei processi creativi nel quale è possibile confrontarsi e ritrovare quel dialogo altrimenti smarrito nei rapporti interpersonali. Antidoto contro l’alienazione nell’era della comunicazione virtuale per contenere e contrastare quel senso di perdita e di smarrimento diffuso, Il teatro si pone come luogo in cui è possibile ri-trovarsi, ri-conoscersi per testimoniare l’appartenenza. Akropolis ha il merito di contestualizzare il fare teatro attraverso lo studio che si traduce in ogni anno viene organizzato e supportato dalla pubblicazione di un volume in cui trovano spazio pensieri e riflessioni di studiosi, artisti, docenti universitari, critici e letterati.
Il confronto con le esperienze del passato suscita negli autori Clemente Tafuri e David Beronio, la decisione di pensare l’ottava edizione di Testimonianze Ricerca Azioni, come un’occasione per confrontarsi e approfondire gli eventi e i protagonisti più significativi che hanno caratterizzato il recente passato nell’ottica di individuare la loro importanza come lascito ed eredità nel presente. L’attenzione in particolare è stata rivolta alla ricorrenza del cinquantesimo anniversario del convegno di Ivrea e il centesimo anniversario della nascita di Giorgio Colli.
«Se il passato ha il potere di offrirci una prospettiva più complessa sul presente, forse l’unica cosa sensata da fare è, oltre a scegliere quali esperienze può essere utile richiamare, capire – scrivono Tafuri e Beronio – in che modo predisporsi a un rinnovato ascolto. Riuscire cioè a cogliere quanto di vitale attraversa ancora ciò che non c’è più». Il percorso intrapreso dal Teatro Akropolis è da sempre mirato al confronto aperto verso ogni tipo di esperienze – come scrive David Beronio nel capitolo “Arabesco e il Labirinto” – sia di pratica che di studio e riflessione e questo lo ha permesso, appunto, il teatro, agendo come contenitore in grado di sedimentare sia che le ricerche condotte e favorendo il lavoro in comune tra direzione artistica e registica e gli stessi attori. In una prospettiva che prevede il loro impegno professionale ed artistico in continuo dialogo aperto al confronto con tutte le visioni della scena, evitando lo “specialismo” come viene definito da David Beronio e riaffermare come «dopo quindici anni di pratica teatrale la Compagnia Akropolis lavora ancora a tutte queste problematiche di cui si impegna a lasciare aperte le domande, perché non diano mai vita ad uno specialismo. Dialoga con tutte le scuole e tutte le visioni della scena, senza permettere che alcuna di esse si imponga con la propria esclusiva prospettiva».
Partecipando negli anni alle varie edizione dei festival curati da Akropolis, posso testimoniare di persona, come la ricerca sia sempre stata orientata verso una totale apertura nei confronti di ogni poetica e scuola di pensiero, trovando in questa sede un laboratorio di idee e di confronto utile ad un processo di evoluzione culturale. David Beronio tocca un aspetto fondamentale del processo creativo: il rapporto fra arte e conoscenza quando scrive che “L’idea dell’arte come conoscenza fa parte della tradizione filosofica già a partire da Platone che, nonostante le celebri condanne (Platone , Repubblica, libri II e X), non era certo ignaro del ruolo che aveva la mousiké (termine che nell’Antica Grecia stava ad intendere l’insieme delle Arti presiedute dalle Muse) nella formazione e nella trasmissione del sapere in Grecia. Ma è con Nietzsche che la consapevolezza della portata conoscitiva dell’arte arriva a proporsi come esperienza conoscitiva privilegiata».
E al filosofo tedesco si rifà il Teatro Akropolis impegnato in un progetto (a partire dallo studio di Nietzsche) che agisce su un piano di analisi e studio senza la partecipazione del pubblico: uno studio sul concetto di attore senza scena, impegno che prosegue già da anni (…) “ e che parte dall’idea che il corpo umano in movimento produce immagini”, chiamato dagli autori “Arabesco”. Parallelamente viene affrontato (in questo caso aperto al pubblico) “Morte di Zarathustra” (“ … due poli opposti di un’unica attività di ricerca”); scelta che comporta per i due direttori artistici e registi la necessità di spiegare come avvenga il collegamento tra “Arabesco” e lo spettacolo che da esso trae ispirazione. L’interconnessione tra le due fasi , il processo che si viene a creare nel passaggio fra uno e l’altro suscitano degli interrogativi importanti, così che nascerà una terza fase di lavoro dal titolo “Pragma” da poter presentare al pubblico. La giusta progressione di una ricerca che nasce da lontano e che è sempre stato condotta negli anni con una coerenza esemplare che contraddistingue Akropolis.
L’ottava edizione del Festival Testimonianze Ricerca Azioni si proponeva di offrire una programmazione che seguisse la qualità e l’interesse dei progetti con l’intento di avvicinare le creazioni apparentemente lontane tra di loro per suscitare una nuovo sguardo sul proprio lavoro che un’artista porta in scena e su quello degli altri. E naturalmente anche su quello del pubblico sull’arte nella sua accezione più estesa, sui processi che sono alla base della loro genesi e sui luoghi stessi che ospitano gli eventi. Una triangolazione utile per uno scambio proficuo al fine di sviluppare una sensibilità allo sguardo e una partecipazione sempre attiva annullando le distanze tra la prestazione dell’artista, la sua performance e lo spettatore che al Teatro Akropolis trova il luogo ideale (uno spazio aperto in cui l’interazione viene favorita dalla conformazione tra scena e platea senza barriere), dove l’edizione di quest’anno del festival ha visto la partecipazione di 98 artisti impegnati in venti spettacoli.
Tra le proposte più originali e stimolanti del programma figurava la rappresentazione di OVVIO, nuova creazione di David Diez Mendez e Tomas Vaclavek del Kolektiv Lapso Cirk definiti come “artisti multi disciplinari specializzati in manipolazione e bilanciamento di oggetti di uso quotidiano”, fanno parte di un gruppo di artisti circensi internazionale. Lo spettacolo ospite del Festival faceva parte anche del programma rassegna Circus Zone organizzato dall’Associazione Sarabanda e sostenuto dai partner Circumnavigando Festival e Nuove Terre Officine Papage.
La parola Circo nel senso letterale del termine non è appropriata per definire il genere di esibizione che i due giovani performer hanno saputo interpretare dimostrando una vitalità creativa artistica unita a quella espressiva atletica, in grado di creare un talento eclettico di alto livello. In una successione di movimenti coordinati i due artisti in continua relazione tra loro non solo per l’impegno fisico che richiedeva un’attenzione continua (salire, scendere, restare in equilibrio su assi di legno composte a seconda dell’esercizio), ma anche per un dialogo senza parole dove l’intesa tra i due è un continuo linguaggio non verbale che anticipa l’azione dell’altro in totale simbiosi. Tutto si svolge in un’estemporaneità che viene giocata sull’azione immediata senza filtri, senza che ci sia la possibilità di reiterare il movimento così come spesso accade al circo.
È una partitura fisico gestuale capace di suscitare quella necessaria fiducia per mantenere l’equilibrio, il bilanciamento e la manipolazione di un oggetto assolutamente non consono all’arte circense. Non è un trapezio o delle funi ma semplici assi di legno per uso comune. Il titolo della performance racchiude il significato stesso della loro esibizione: “OVVIO” ..”che giocando con la forza di gravità prima o poi si cada. Ovvio che qualcuno guardando rida”. Cadere per far divertire o cercare di non cadere per stupire, per emozionare e c’è un raffinato intento in quello che i due artisti compiono: far decidere al pubblico da che parte stare, devono decidere cosa fare, quale delle emozioni scegliere. La paura o l’eccitazione. Farsi coinvolgere dal rischio della caduta o provare stupore per l’abilità dimostrata. È quello che accade nella vita di tutti i giorni quando siamo messi alla prova anche senza salire su un’asse di legno.
La loro biografia racconta di come si sono conosciuti alla scuola di circo Vertigo di Torino; David faceva il writer e durante il Cammino di Santiago ha conosciuto una compagnia di artisti circensi e l’incontro lo ha portato a scegliere questa particolare professione artistica. Tomas diplomatosi grapich designer a Londra ha scelto di fare l’artista di strada in giro per l’Europa. Il talento ha fatto il resto.
Il teatro si avvicina sempre più ad una forma che contenga anche una prestazione fisica intesa come esercizio, come volontà di raggiungere attraverso lo sforzo del corpo ad un risultato scenico e artistico. Il corpo diventa strumento drammaturgico al di là della sua presenza fisica, dell’attore che interpreta un ruolo, ma bensì anche oggetto scenico malleabile e capace di trasformarsi e adattarsi alle esigenze che il testo richiede. La Compagnia Civilleri/Lo Sicco da sempre affronta una ricerca basata sull’espressività corporea funzionale alla rappresentazione, e dopo aver messo in scena Boxe ed Educazione Fisica, ha scelto Tandem, un veicolo a pedali per due persone.
Un particolare veicolo disegnato e costruito da Mario Petriccione della Fondazione Merz di Torino dopo averne parlato con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, ispirato da una loro conversazione libera dove si parlava di “tappeto volante”, di una “bici volante”, evocazione più da fiaba che da necessità scenotecnica al servizio della drammaturgia, una volta costruita l’ha spedita. Composta da due biciclette saldate insieme su una grossa molla di un carrarmato scovato tra i rottami di uno sfasciacarrozze a Roma. Tandem però racconta una storia che di fiabesco non ha nulla. In sella pedalano due donne ( Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi) ma l’esercizio fisico non è pensato come attività sportiva o di relax quanto, invece una faticosa “scalata” o una “fuga” come si legge nelle note del programma di sala. Pedalare come scelta esistenziale per allontanarsi da un evento tragico, mortale, da un’azione che ha lacerato la loro esistenza.
C’è una pistola che viene passata da mano a mano stante ad indicare che è accaduto qualcosa di grave. I rimandi sono molteplici e la memoria riporta anche ai tragici eventi accaduti al G8 di Genova, la città dove la Compagnia si è esibita, ma anche ad un passato come lo è stato durante gli anni della contestazione studentesca del ‘68, agli scioperi, alle tante rivolte sociali che hanno caratterizzato un’Italia divisa. Un viaggio al femminile per raccontare come sia andata perduta l’innocenza, la gioia di vivere, la spensieratezza tipica dell’adolescenza svanisce per trasformarsi in età adulta dove i sogni si infrangono contro una società che non è più in grado di riscattarsi a fronte di un malessere sempre più diffuso. Le due cicliste: due attrici capaci di un’ottima prestazione fisica dove il corpo diventa il nucleo centrale su cui ruota la struttura drammaturgica anche se il testo soffre un po’ rispetto all’efficacia espressiva del corpo e quella non verbale, forse a causa di rimandi ad un linguaggio datato e a volte banalizzante rispetto al pathos, alla tensione che si crea nel movimento con i corpi che emanano in tutta la loro drammaticità, come sia stata vissuta una fase storica tra le più difficili inItalia.
La danza e il corpo in relazione con il mondo. La vetrina di Anticorpi EXPLO: Anticorpi XL la prima rete italiana dedicata alla giovane danza d’autore di cui Akropolis è il referente per la Liguria, ed è in questo teatro che si sono visti anche “Cosmopolitan Beauty” di Davide Valrosso e “Partita sull’aria” di Roberto Orlacchio e Nicola Marrapodi. Questa edizione del Festival ha dato ampio spazio alla danza sia nel suo agire dal vivo in scena chiamando giovani danzatori ad esibirsi, sia nel cercare di trovare una sua contestualizzazione all’interno del dibattito su cosa significhi oggi il contemporaneo anche in questa disciplina artistica.
Scrive Roberto Orlacchio nella sua presentazione: «La partita sull’aria è una cooperazione tra corpi che si misurano in distanze vissute, oltre che geometriche. Nella dimensione dello spazio percepito i corpi si incontrano in un’intimità invisibile, in un territorio, quello dell’aria, di raccoglimento e collegamento. Il cuore del gioco è la verità dell’altro, che si dimostra reciproca condivisione dello spazio abitato – scommessa e premio insieme». Una creazione che vede la commistione tra il lavoro fisico squisitamente coreografico e ciò che Orlacchio definisce come « (…) curiosità intellettuale che avevamo il desiderio di avvicinare e osservare nel loro processo di contaminazione e trasformazione – tra contraddizioni e rigidità, rispetto e condiscendenza».
Alessandra Cristiani nel capitolo “Can You Believe Your Body” (in Testimonianze ricerche azioni vol. VIII) analizza cosa significa danzare: «Non esiste una danza valida per tutti, ma ognuno porta dentro di sé l’unica danza possibile. L’arte della propria danza, intendendo per arte la maestria nel manifestarsi di fronte ad un pubblico, dipende dall’elaborazione di un metodo estremamente performativo. Per attivare organicamente una performance è necessario avere un focus, una necessità, un desiderio da sondare e raggiungere.. »
E Davide Valrosso il suo obiettivo in Cosmopolitan beauty lo intende come «“un’esperienza” mostrata nel suo divenire, dove i gesti appaiono come appunti disorganici, che mutano in relazione allo spazio in cui si depositano. Ma è anche l’evocazione di uno spazio onirico, è ‘il regno delle cose perdute’ dove il gesto in realtà non viene inventato, ma solo ritrovato.» Verrebbe da dire che oggi il danzatore è anche un pensatore scorrendo le pagine pubblicate sul saggio di Akropolis dove Valrosso intitola il suo capitolo “Penso e quindi danzo scrivo”, dove la parola danzo viene tagliata da una riga come per dire che dal pensiero si passa alla scrittura saltando quella che è, invece, la componente principale: danzare. Perché è cosi importante giustificare questa esigenza di esprimere con delle parole scritte per tradurre l’azione coreografica?
Il danzatore, coreografo, pedagogo e scrittore Dominique Dupy viene citato da Valrosso a questo riguardo: «Si è danzatori perché si hanno problemi con la parola». Autore tra gli altri de “La saggezza del danzatore” il cui libro viene recensito così da “Il libraio di Bologna (in Ibs.it) “Non c’è danza se la danza non emana lo spirito giusto di colui che danza. Tutto il resto è ginnastica. Danzare è la scelta ambiziosa e temeraria di colui che decide d’essere senza parola”.
La prova offerta da Davide Valrosso e poi da Nicola Marrapodi e Roberto Orlacchio, sul piano dell’esibizione fisica espressiva gestuale dimostrava un rigore che dà prova dell’impegno coltivato nello studio del movimento. Innegabile che la loro presenza sulla scena avesse una sua forza nel catturare l’attenzione del pubblico. Gesti di estrema pulizia e uso del corpo in sintonia sono le caratteristiche individuate. L’eleganza del gesto nel duo Marrapodi e Orlacchio. Valrosso detiene una sua presenza fisica che sulla scena si espande e riverbera nello spazio. (…) «Una perfomance dove i gesti appaiono come appunti di viaggio scritti disorganicamente..». Un’intenzionalità autobiografica che il danzatore ha scelto di tradurre in movimento.
Scrivere per poi mutuare in passi di danza. Si apre una questione che potrà essere sviluppata ulteriormente se questa scelta operata dalla danza contemporanea troverà conferma: la giovane danza (per età anagrafica dei suoi protagonisti, per la scelta estetica e di linguaggio) è alla ricerca di una sua identità attraverso una mediazione linguistica del pensiero impresso sulla carta. Un pensiero come manifesto poetico e drammaturgico, alla pari del teatro che consente un’espressione scritta delle intenzioni registiche, alla base di una rappresentazione. L’anticipazione del gesto diventa così aspettativa che dovrà essere esaminata con altri criteri diversamente da quello tradizionale dell’osservatore/spettatore? La domanda è aperta..
Altre le domande che sono state affrontate nel Convegno “Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di nuovo teatro in Italia (1967-2017), un impegno organizzativo notevole che Akropolis ha scelto per concludere l’ottava edizione di Testimonianze.. dando prova di una visione sempre attenta a preservare l’eredità culturale che un passato storico come quello definito degli “stati generali” a proposito della nuova scena nel nostro paese, (da Franco Quadri insieme a Beppe Bertolucci, Ettore Capriolo e Edoardo Fadini), ha inciso sul teatro italiano. Non una semplice celebrazione dell’evento “Una specie di mito d’origine del nuovo teatro nostrano” – come lo definisce Marco De Marinis – nel volume edito da Akropolis, organizzato nel 1967 dall’Unione Culturale di Torino al Centro Olivetti di Torino, bensì una sessione di studi per focalizzare ciò che ha rappresentato in passato, nel presente e auspicabile anche in futuro, un necessario se non obbligatorio rinnovamento del linguaggio scenico. Senza tralasciare la stessa produzione e organizzazione di un certo modo di fare teatro come scrive lo stesso De Marinis: «.. che proprio negli anni ‘60 si avviò nel nostro Paese con caratteri peculiari e in buona misura indipendenti rispetto alle analoghe esperienze in atto a livello internazionale come il Living Theatre, Teatr Laboratorium di Grotowski, Peter Brook, Bread and Puppet Theater, Open Theatre, Odin Theatret. ». Critici, studiosi accademici e universitari, artisti di varie scuole di pensiero sono stati chiamati a Genova per discutere su quelle che sono le molte criticità e anche difficoltà nel teatro italiano a partire da una crisi profonda che si manifesta sempre più come un’urgenza non più rinviabile.
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Teatro Akropolis Genova 28/29 aprile 2017