MONTALBANO ELICONA (Messina) – Ogni volta che un nuovo festival teatrale viene alla luce in Italia pone immediatamente tutta una serie di questioni e domande che investono non solo la realizzazione della manifestazione, ma anche il contesto territoriale e culturale in cui viene progettata e realizzata. Ciò accade perché, per troppo tempo, i festival hanno svolto una funzione suppletiva (forse impropria), riguardo l’attenzione del teatro pubblico verso la ricerca teatrale militante: in altre parole, quello che gli Stabili non facevano (e in buona misura i teatri pubblici, variamente nominati, non fanno ancora) se ne occupano i festival. Un prezioso lavoro di ricerca e ascolto e una fortuna per la vita del teatro italiano, con la conseguenza però che spesso gli spettacoli giravano per buona parte senza nessuna particolare specificità. Oggi evidentemente siamo in una fase nuova e di profonda revisione di questo tipo di eventi: riorganizzazione gestionale, recupero di un rapporto vero con i territori, ripensamento dell’idea artistica e culturale di fondo che anima (o dovrebbe animare) ciascun festival.
Citando “Tracce di memoria”, il festival site specific progettato e diretto da Alfio Zappalà, Maria Rita Simone e Alessandro De Luca, che si è svolto a Montalbano Elicona sui Nebrodi, in provincia di Messina; organizzato dalle associazioni ArchiDrama e Aurora, dal Comune di Montalbano e finanziato dal Dipartimento della Gioventù e della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non è un paesino qualunque Montalbano Elicona, ma un bellissimo borgo medievale, con tanto di castello svevo imponente e ben conservato, e insignito nel 2015 del titolo nazionale di “Borgo dei borghi italiani”. Cosa hanno fatto di particolare gli ideatori di questo festival? Lo hanno preceduto distesamente e proficuamente da laboratori scolastici e da quattro laboratori di teatro, danza e musica, diretti rispettivamente da Mamadou Dioumme, Sara Orselli e Angelo Privitera. Organizzati tra il 2016 e il 2017 e sospinti ad ascoltare la voce viva dell’antico insediamento, per coglierne segreti, tradizioni vive, continuità e discontinuità, ferite aperte, carattere, voglia di futuro. Nel corso del festival , che si è svolto dall’1 al 3 settembre, sono stati presentati i risultati dei laboratori e i lavori degli artisti e dei gruppi che hanno partecipato a un apposito bando di concorso: “Il cavallo fatato”, di Salvatore Ragusa ( spettacolo vincitore) , “Mongibella”, di e con Tiziana Giletto, “Quel santo di mio padre” (autore e interprete Giuseppe Brancato) della compagnia Nave Argo. “Nel giardino degli incanti” di e con Chiaraluce Fiorito, “Rarika”, spettacolo – concerto di Alice Ferlito e Giovanni Semierio su testi di Angela Bonanno.
“Memories from the future” della compagnia di danza palermitana l’Espace. Si sono visti anche spettacoli di protagonisti della scena nazionale e internazionale come “Parashurama”, straordinaria esibizione di teatro-danza indiano in stile Kathakali, con Mario Barzaghi del Teatro dell’Albero. I concerti di Juri Camisasca (“Adunanza mistica”) e dei Fratelli Mancuso (“Come albero scosso da interna bufera”), “Frammenti di Lady M.+ Still”, danza contemporanea di e con Sara Orselli e Frida Vannini. In sintesi si può trarre un bilancio positivo con titoli di ottima qualità dove l’ idea di fondo è risultata interessante, anche se da approfondire ulteriormente per le buone prospettive di crescita e miglioramento nei confronti del rapporto intrinseco e proficuo col ristretto club dei Borghi più belli d’Italia
Giuseppe Brancato
Crediti fotografici: Fabio Navarra