CATANIA – Gli spettacoli della compagnia catanese Neon Teatro hanno tra le altre, come caratteristica peculiare, quella che mentre parlano ai sensi e alla fantasia del pubblico, ti rapiscono con i suoni, i colori raffinati, con la danza, la dolcezza della poesia e del canto. Ti costringono a ragionare, a cercare di capire cosa sta accadendo in scena, capire con lucidità perché è (o non è) interessante – coinvolgente, ciò che stai vedendo. Non è una gran novità dirà qualcuno, certo, non lo è, se si ragiona di autentico teatro, di lavori o di percorsi creativi all’altezza di essere definiti d’arte. Ma il lavoro di Neon è anche qualcosa di più e, spesso, migliore: è vero teatro della diversità, nel senso che il valore della diversità è presente, non solo nei contenuti degli spettacoli, ma ne connota primariamente e profondamente la forma. Questa caratteristica non è esibita in quanto tale, non è “usata” come materiale per la costruzione della scena, ma ben oltre qualsiasi obsoleta categoria di abilità/diversabilità/disabilità, è vissuta come ricchezza di cui gioire: il valore fondante e motore creativo della compagnia. “Boxeurs è lo spettacolo che ha debuttato il 6 e 7 ottobre a nello spazio scenico del Centro Zo: una creazione e ideazione di Monica Felloni (che ne cura anche la regia) e di Manuela Partanni; testi di Franco Arminio, Calderòn de la Barca, Fëdor Dostoevskij, Jonathan Safran Foer, Rosi Ligreggi, Federico e Piero Ristagno.
Gli interpreti, oltre agli stessi Partanni e Ristagno, Patrizia Fichera, Stefania Licciardello, Beatrice Asta, Giovanni Barilla, Piera Bivona, Claudia Cantone, Kevin Cariotti, Lucia Cavallaro, Alessandra Costa, Soa Cuffari, Emanuela Dei Pieri, Antonio Fichera, Angela La Rocca, Rosi Ligreggi, Angela Longo, Veronica Messina, Matteo Platania, Francesca Sciata, Noemi Urso, Egle Zapparata. In questo spettacolo la struttura di senso è chiara: vivere è una lotta e, per vivere, a schiena dritta, come si dovrebbe, occorre avere o sviluppare la stessa grinta dei boxeurs. E poi, certo, ci vogliono attenzione, mobilità, scaltrezza, tecnica, forza, agilità, agonismo, voglia di vincere. Rispetto per gli avversari, capacità di rialzarsi, capacità di perdere: facile capire come, riflettendo su questi elementi, la boxe possa facilmente diventare una bellissima metafora della vita e, del resto, non è la prima volta che ciò accade nell’arte, nella grande letteratura e, ovviamente, soprattutto nel cinema. Ed è facile capire come la ricchezza spirituale e culturale di tutto questo ensemble ma poi, soprattutto, la forza creativa di Monica Felloni, la sensibilità poetica di Piero Ristagno e l’energia trascinante di Manuela Partanni abbiano trovato stimolante lavorare alla realizzazione di questo spettacolo. Eppure qualcosa non ha convinto: in diversi segmenti di questo lavoro infatti la metafora della boxe, seppur bella e ricchissima di motivi positivi, è parsa priva di un adeguato movimento interno, di una drammaturgia definita, è sembrata debole quell’azione unica che rende comprensibile ciò che accade in scena, un “moviti fermu” (per citare una particolare espressione del dialetto siciliano) che depotenziato anche certi quadri scenici di indubbia importanza.
Vero è, come abbiamo scritto altre volte, che il teatro di Neon (almeno quello degli ultimi lavori) è parente più della danza e della poesia che della prosa e che forse è sbagliato, oltre che vano, aspettarsi che esso ci racconti qualcosa o che metta in scena un accadimento, però è anche vero che se ci si avventura troppo nei territori della danza cambiano anche parametri e regole della costruzione dello spettacolo ma davvero non è parso che questa scelta sia stata operata.
Visto il 6 ottobre allo Spazio Zo di Catania