CATANIA – La fine del mondo può venire anche nel mezzo di un mega rave party, del più grande e tosto tra i rave, ovvero durante quel “Burning man” che si tiene ogni anno nel Deserto del Nevada per otto giorni di seguito nel mese settembre. Oppure, la fine del mondo non esiste, non viene proprio, non verrà mai, ma forse la situazione che indica non è poi cosi diversa da quella in cui ci troviamo a vivere, noi, qui, adesso, se restiamo lontani gli uni dagli altri. Se ubriachi di comunicazione, proprio non ce la facciamo a comunicare, se abbiamo perso il senso (anche un senso) di ciò che siamo e di ciò he facciamo o scopriamo che senza questi nel complesso non c’è mai stato. In “La crepanza – ovvero come danzare sotto il diluvio”, lo spettacolo della giovane coppia teatrale Maniaci D’Amore, (regia di Andrea Tomaselli) andato in scena alla Sala Chaplin, nel contesto della rassegna “Palco off”, organizzata e diretta da Francesca Vitale e da Egle Doria. La scenografia è composta da un grande immagine di Keith Haring (e già questo dice tantissimo), da una piccola consolle dj e pochi altri oggetti scenici, tra cui un’aragosta arancione di plastica gonfiabile, ovvero una nuova potentissima e improbabile divinità salvifica, una qualunque cui votarsi. Una luce accecante e funesta e il mega rave party scompare insieme a tutti i partecipanti.
Resta solo il deserto del Nevada, e in vita (o forse no) due ragazzi tra la massa che potrebbe anche essere il mondo intero: un giovane uomo, Mio ( come il celeberrimo formaggino), e una giovane donna, Amara (nomen omen del personaggio). Da qui prende le messe una tragicomica e paradossale vicenda che ha nella colta profondità del testo la sua qualità migliore. Una distopica profondità e una divertita, feroce leggerezza, una profondità apocalittica, senza smaccate citazioni, eppure densa di cultura teatrale, spettacolare, televisiva, letteraria. Non possono che essere una coppia di fatto questi novelli Adamo ed Eva, che deve riprendere a vivere; lo vogliano o meno i due protagonisti, con un’incredula eppur necessaria energia che colpisce ed insieme diverte e coinvolge il pubblico. Lei, un’aspirante suicida ma appena rialzatasi e già tostissima, lui fragile, tenero e svagato, che ha bisogno di credere in qualcosa (il dio aragosta se proprio non c’è altro). La donna sa bene che lo stare insieme implica delle asprezze che, nella loro tagliente banalità, vanno affrontate senza aspettarsi sconti. Del resto ciò che in questo contesto può accadere di buono (e che infatti accade) non è detto affatto che sia per merito loro. Tutto bene e convincente allora? Non del tutto: lo spettacolo si regge su un ritmo serrato e su equilibrio delicatissimo e dinamico di testo, gesto, ritmo, colori, musiche assordanti, ironia e disperazione, sguardi, silenzi; basta pochissimo per vanificarne la potenza, basta una disattenzione, una battuta fuori tempo, basta scivolare in un atteggiamento (certo comprensibile visto il grande successo) di eccessiva sicurezza. È sufficiente che uno o due di questi elementi negativi vanifichino coerenza, energia, spinta interna. È un peccato certo, ma è un peccato veniale.
Visto a Catania il 12 novembre scorso, in Sala Chaplin, nel contesto della rassegna “Palco off”
La Crepanza. Produzione: MANIACI D’AMORE / Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse di Genova / Nidodiragno – Coop CMC. In collaborazione con Teatro di Messina. Drammaturgia di Francesco d’Amore e Luciana Maniaci, con Francesco d’Amore e Luciana Maniaci. Regia di Andrea Tomaselli, luci di Daniel Coffaro, costumi di Pasquale Pellegrini. Crediti fotografici di Federico Botta.