MILANO – In scena solo nel week end dal 2 al 4 febbraio 2018 allo Spazio Banterle di Milano, “Rosa Genoni e l’invenzione del Made in Italy” è una rara occasione per sfogliare la biografia di una grande donna. Di lei si conosce poco, eppure inventò quel Made in Italy ancora fiore all’occhiello del Bel Paese nel mondo; fu femminista engagée nelle lotte di fine ‘800 per la difesa dei lavoratori e dei diritti delle lavoratrici e giornalista in prima linea sul fronte pacifista ai tempi della Grande Guerra.
Scritto e diretto da Giorgio Almasio e interpretato da Cristina Castigliola con l’accompagnamento alla chitarra di Paolo Mazzanti lo spettacolo sceglie di assumere un punto di vista esterno. La voce narrante, infatti, è quella delle fidata Ernesta, ragazza di bottega (piscinìna, come si designavano allora, a Milano, le bambine introdotte al lavoro in sartoria), rimastale accanto tutta la vita. È lei che ci racconta dell’infanzia di Rosa (prima di diciotto figli) e di come quell’impiego, come usava, all’età di soli dieci anni, si sarebbe trasformato in una passione. Un amore così bruciante da spingerla, diciottenne spaesata, a fino a Parigi. A servizio e a bottega: per imparare, capire, carpire e poi, mutatis mutandis, provare a rifarlo nella sua città, il gioco d’oltralpe d’imitazione degli abiti dei classici; sarebbe arrivata così, nel 1906, fino all’Esposizione Internazionale di Milano, con abiti di grande pregio ispirati alla tradizione dell’arte pittorica italiana Rinascimentale nella sua rivisitazione.
Oltre che sarta – creatrice, in realtà, e imprenditrice – e insegnante alla Società Umanitaria di Milano – da cui si dimise, nel 1933, essendosi rifiutata di sottostare all’imposizione della tessera di regime -, divenne giornalista per l’ “Avanti!” proprio grazie al suo impegno in prima linea; quello che la portò, nel 1914, a tenere, nella sua Milano, la conferenza/appello alle donne “La Donna e la Guerra” e, l’anno seguente, a partecipare come delegata italiana del Women’s International League for Peace and Freedom (Wilpf); sempre nel 1915, partecipò, unica donna, al Congresso per la Pace tenutosi in Olanda, incontrando i ministri degli esteri di Austria-Ungheria, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Svizzera per proporre la realizzazione di una commissione di esperti per la cessazione della Grande guerra.
Come si porta in scena, una storia del genere? Se, da un lato, infatti, sembra quasi raccontarsi da sola – e, davvero, fa meraviglia che resti ancora ignota ai più -, d’altro canto si comprende anche il timore nell’approcciarsi a un simile gigante. Così Almasio, complice anche la costante sinergia con Raffaella Podreider, nipote della Genoni e sua biografa, sceglie di prenderla di sguincio. Lo si diceva: fa di Ernesta la voce narrante/punto di vista, ma, soprattutto, sembra fare focus sull’umanità della giovane Rosa, che ci viene restituita, sì, in tutta la sua incantata freschezza, ma contestualizzandola – a partire da una scelta degli oggetti di scena che va nella direzione del realismo. Ed ecco che, a rievocare l’atmosfera della Milano a cavallo fra i due secoli, sono le canzoni, suonate dal vivo ma imbastite nella trama drammaturgica, della tradizione meneghina e poi di quelle della Guerra, col procedere della narrazione. Una messa in scena, quindi, che va nella direzione del popolare e del semplice come quegli insegnamenti, schietti, che la “piscinìna” aveva appreso direttamente a bottega: se si predilige una scelta garbata e leggera, quasi a strizzar l’occhio a quel modo che fu dei primi Legnanesi (Almasio, ricordiamolo, è direttore artistico del consolidato festival DonneInCanto, che si tiene, appunto, a Legnano), non per questo mancano gli spazi di riflessione. L’ormai attempata signora non manca, negli a parte dal sapore shakesperiano simil coro della tradizione greca, di alzare gli occhi al cielo, strabuzzarli o stringersi nel sospiro dello scialle di lana celeste mentre argutamente sottolinea il sentimento di paura, prima ancora che di esaltazione, della nativa valtellinese di fronte all’immane spettacolo della Tour Eiffel o il suo temperamento vivace, ma tenuto a freno dalla consapevolezza di chi sa che c’è un tempo per ogni cosa.
Pazienta, Rosa, ma senza distogliere lo sguardo da quanto, caparbiamente, serba di fare: così in quella trafila che da piscinina l’avrebbe portata a diventar apprendista e poi sartina e, finalmente, sarta finita – fino a diventare insegnante e direttrice della Società Umanitaria di Milano -, così anche sul fronte del suo impegno socio politico, dove non mancano le tirate “di” Ernesta contro la guerra o le massacranti condizioni di lavoro, in generale, aggravate da un salario fino a sette volte più basso nel caso di lavoratrici donne. Sul palco una mimica e come sempre generosissima Cristina Castigliola se la gioca con Matteo Linotto, versatile, sorridente, garbato e capace di alternare prove di canto coinvolgenti con micro azioni teatrali, in grado di offrir spalla alle due donne (Ernesta e Rosa) interpretate dalla Castigliola.
Forse un lavoro dalla realizzazione lieve e dal sapore popolar artigianale, ma senza dubbio autentico e interessante nel suo intento di divulgazione, ma anche di contestualizzazione e denuncia.
Pubblicato da Francesca Romana Lino su Venerdì 2 febbraio 2018
Visto a Milano allo Spazio Banterle, venerdì 2 febbraio 2018.
Abbinato allo spettacolo, segnaliamo la mostra sulla Genoni all’Archivio di Stato di Milano (Palazzo del Senato, via Senato 10) fino al 24 marzo.