Teatro, Teatrorecensione — 28/10/2011 at 10:39

Separati dal loro amore. In “Biglietti da camere separate” rivive l’anima di Tondelli

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Un uomo a piedi nudi, pantaloni neri e camicia bianca, nella penombra della sua “camera separata” stacca e offre un un “Biglietto agli amici” per ciascuno. È il “biglietto numero 11” in cui c’è scritto : «Il dolore dell’abbandono si perde e si infiamma nel dolore primario dell’abbandono della madre e del suo corpo. Dà luogo a una catena infinita di sofferenze che si infilano l’una nell’altra fino al grande e primordiale dolore della venuta al mondo. È una catena di dolori antichi. Una deflagrazione mortale in cui ci si può perdere. Per questo a Berlino, lui scriveva: “Bruno così si accorse che non era della mancanza di Aelred che soffriva, né della sua terra o del suo lavoro. Gli era mancato semplicemente un ragazzo Bruno”. È forse per questo che l’altra sera, stando malissimo, riusciva a intravedere come forma di desiderio soltanto un quieto immaginario famigliare, Correggio, la sua casa, la casa dei suoi genitori»

Sono le prime parole scritte che invitano ad entrare nelle stanze di “Biglietti per camere separate”, andato in scena ai Teatri di Vita di Bologna, “uno sguardo di Andrea Adriatico su Pier Vittorio Tondelli” con Maurizio Patella e Mariano Arenella. Sono loro a dare voce alle parole che sgorgano dalla storia rielaborata dal regista Adriatico, prendendo spunto da Camere separate, il libro di Tondelli, considerato a ragione il “testamento spirituale” dello scrittore morto di aids nel 1991. Forse il romanzo migliore dello scrittore di Correggio. Malinconico nel suo raccontare e raccontarsi, una sorta di addio alla vita, anche autobiografico dove la convivenza con la morte, l’aids e la sua stessa omosessualità, è dettata da un riserbo e da un pudore che lo contraddistingueva, restio com’era nel parlare della sua vita “privata” in pubblico.

Ora il pubblico sono gli spettatori seduti ai bordi di un rettangolo dove al centro della scena, i piedi nudi dei due protagonisti poggiavano su due pedane ovali, ricoperte da un tappeto nero che sembrava lava di un vulcano, bitume per l’asfalto. Terra dove posare la propria esistenza terrena, dolente e sofferente. Recitano in piedi davanti al microfono, lontani l’uno dall’altro. L’amore gli ha fatti conoscere, l’amore gli ha divisi. Due uomini, due corpi, due anime che si sono incrociati, cercati, amati, e lasciati. Marciano a suon di musica, il volume è alto, ma non è una marcia trionfale, è qualcosa che conduce verso un epilogo funebre. C’era stato un inciampo fatale tra loro. Thomas e Leo, si erano baciati, si erano amati. Un’amore difficile da camere separate. Segnato dalla distanza, il “silenzio prima della lotta”, per sopravvivere e resistere, per non restare sconfitto. L’amore gli aveva uniti e poi divisi. In mezzo c’è la Morte. Amore e dolore. Forse è vera la frase che dice “amiamo solo quello che non possiamo avere”. Forse più ami e più t’avvicini a quella fiaba crudele che è la vita. Puoi amare senza possedere ciò che più brami? Siamo vittime e carnefici di noi stessi. Senza saperlo. Alla disperata ricerca d’amore in un mondo impossibile.

Quel mondo così tragicamente descritto dalle parole scritte da Tondelli, risuonano in scena e ti si incollano addosso. Le musiche originali di Massimo Zamboni e le canzoni interpretate da Angela Baraldi, creano quelle atmosfere struggenti capaci di sottolineare l’ineluttabilità del destino a cui non ci può sottrarre.

Musica danzata in discoteca per cercare di anestetizzare il sentimento che fa soffrire. Lo stordimento che occulta qualsiasi altro pensiero annidato nel dolore. La canzone dice: “Curami, diventa voglia di me”. L’amore che non c’è più. Leo vive la sua solitudine, la mancanza del compagno perso per sempre e la cosa strana è che lui si accorge di continuare a vivere. Il sesso diventa un antidoto per non sentire più niente. La corda che sbuca dalla tenda nera serve a legare il proprio corpo, a stringere la carne e il sesso, a renderlo prigioniero di un gioco perverso e sadomasochista. Non può legare l’anima però. Sono solo pulsioni per soffocare quell’incontenibile vuoto d’amore. Dalle fessure del loro talamo nero come la pece, vengono estratti dei lenzuoli bianchi. Sono immacolati e candidi. Servono per i loro letti separati e diventano il sudario per coprire il corpo morente di Thomas. Il bianco come il colore della purezza, della libertà, della speranza, del sogno e della serenità, ma anche del sacrificio.

Il bianco di un letto dove non giacere più con la persona amata. “Finché morte non vi separi” recita il prete quando unisce in matrimonio. La morte non fa distinzione di generi e di sessi. Per lei tutti sono uguali, uomini e donne. Un uomo e una donna, un uomo e un altro uomo, uniti dall’amore. Biglietti da camere separate è un’elegia, un’orazione a due voci, intense, partecipate, per la bravura di Maurizio Patella e Mariano Arenella. Lo spettacolo è costruito con la giusta essenzialità (il rischio era quello di farne una declamazione recitata del romanzo), dove l’astrazione della scena pensata da Andrea Cinelli è in funzione della drammaturgia. Non c’ nessun intento morale in Tondelli, tanto meno nel lavoro di Adriatico. Ogni retorica riferita ai sentimenti sarebbe stata fuori luogo. Non c’era posto nelle loro camere separate. Dentro poteva entrare solo una cosa impossibile da separare: il desiderio di amare.

Biglietti da camere separate

uno sguardo di Andrea Adriatico su Pier Vittorio Tondelli
con Maurizio Patella e Mariano Arenella

musiche originali di Massimo Zamboni cantate da Angela Baraldi

luci, scene e costumi di Andrea Cinelli cura artistica di Saverio Peschechera
fotografia Raffaella Cavalieri

supporto tecnico creativo di Roberto Passuti e Gianluca Tomasella

visto al Teatro di Vita di Bologna il 23 ottobre 2011

 

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