RUMOR(S)CENA – VENEZIA – Tra le novità proposte dalla quarantaseiesima Biennale Teatro di Venezia (20 luglio-5 agosto), 6 sono in prima assoluta e 16 in prima italiana. Tra i sette artisti stranieri ospiti figurano, seguendo il calendario:Vincent Thomasset, di Grenoble, 43 anni, autore, regista e coreografo, per la prima volta in Italia; lavora sul linguaggio e, ad esempio, in Ensemble Ensemble riprende i diari intimi di una donna trovati in un loft abbandonato, facendo del flusso verbale una coreografia. La neozelandese Simone Aughterlony, quarantenne, attiva tra Berlino e Zurigo in coreografia e arte performativa, crea spazi generativi di nuove forme di narrazione. Entrambi sono presenti con una personale composta da loro spettacoli.
Clement Layes, francese di stanza a Berlino, classe 1978, studi in coreografia, teatro, arti circensi, esplora con humour la vita e gli oggetti quotidiani, presentando 4 lavori in prima italiana. Gisèle Vienne, quarantenne franco-austriaca, studi in coreografia e regia, specializzata nell’arte dei burattini, fa interagire l’inquietante immobilità del corpo artificiale con la dinamicità del corpo naturale; in Jerk mette in scena la ricostruzione immaginaria dei crimini del serial killer americano Dean Corll usando il ventriloquio e il teatro dei burattini.
Altri tre artisti arrivano per la prima volta in Italia: Davy Pieters, 30 anni, olandese, regista con studi all’Accademia teatrale di Maastricht, utilizza modalità di composizione da video tuber muovendo gli attori come fossero all’interno di un videotape; in How did I Die, per esempio, ricostruisce un omicidio da più punti di vista coinvolgendo la polizia forense di Amsterdam. Thomas Luz, svizzero, classe 1982, regista e musicista, sperimenta una forma personale di teatro musicale; la sua When I die – A ghost story with music si ispira alla storia vera della medium e musicista Rosemary Brown. Jakop Ahlbom, nato in Svezia nel 1971, dal 1990 di stanza ad Amsterdam, dove ha studiato mimo alla Scuola d’arte, propone vicende inquietanti in una narrazione teatrale – il physical visual theatre – vicina al cinema hollywoodiano.
Se nelle loro microstorie si ispirano a crime story, thriller, mistery, horror, fantasy, il fascino di questi spettacoli deriva anche dal gioco di tecniche diverse: coreografia, regia, musica, arti plastiche, giocoleria, mimo.
La vocazione internazionale della Biennale di Venezia si esprime dunque ancora una volta nell’apertura al lavoro di artisti stranieri, ma anche, precisa il presidente Paolo Baratta, “implica desiderio di esplorare i confini, anzi il desiderio di ridurre i confini fino a non considerarli più tali… nel segno del più aperto rigoroso riconoscimento delle qualità presenti nel vasto mondo della creazione artistica”.
Nel titolo, “Actor/Performer”, dato a questa edizione della Biennale Teatro, il direttore Antonio Latella richiama appunto un confine-non confine: “dove si trova e soprattutto esiste ancora la distinzione tra performer e attore?”. A questa vitale domanda sono dedicati gli incontri quotidiani con gli artisti e il 22 luglio a Ca’ Giustinian si svolge un simposio con Chris Dercon (storico d’arte e curatore, ex direttore artistico della Volksbühne di Berlino), Paweł Sztarbowski (co-direttore Teatr Powszechny di Varsavia), Bianca Van der Schoot (già direttrice artistica RO Theater di Rotterdam e performer), Armando Punzo (regista, fondatore della Compagnia della Fortezza, già direttore artistico di Volterra Teatro).