RUMOR(S)CENA – GIBELLINA (Trapani) – Che cosa succede veramente quando da una passione politica personale e/o collettiva si passa all’uso delle armi contro gli avversari? Cosa scatta nella testa di chi, trovandosi di fronte a un blocco della possibilità di concretizzare i propri ideali, arriva a concepire come legittimo il gesto di eliminare fisicamente quelli che glielo impediscono? È intorno a questi interrogativi, e ad altri simili, che girano sostanzialmente i due spettacoli che sono andati in scena nel contesto della trentasettesima edizione delle Orestiadi di Gibellina: si tratta di “Le stanze di Ulrike, la rivoluzione inizia a primavera” di e con Silvia Ajelli, regia di Rosario Tedesco, e di “Corpo di stato – Il delitto Moro una generazione divisa” di e con Marco Baliani, drammaturgia e regia Maria Maglietta.
Lo spettacolo di Silvia Ajelli, che ha debuttato in prima nazionale il 27 luglio nel Baglio Di Stefano ripercorre la storia di Ulrike Meinhof, la giornalista tedesca che a partire dal ’68 aderì alle posizioni più oltranziste e radicali della sinistra comunista legata al movimento studentesco, fino a entrare in clandestinità, nascondendo le figlie piccole in Sicilia, proprio nel Belice, per ritrovarsi poi implicata nella nascita e nelle azioni della Raf (la Rote Armee Fraktion fondata nel maggio del 1970 insieme con Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Horst Mahler), il famigerato gruppo del terrorismo rosso tedesco, conosciuto anche come “banda Bader Meinhof”. Ulrike fu catturata e morì suicida in carcere nel 1976, ma su quel suicidio per decenni, e sostanzialmente ancora, oggi si è venuto a creare il sospetto che si sia trattata di un omicidio di Stato. Una vicenda abbastanza nota nelle sue linee generali anche se probabilmente, come tutte le vicende legate al decennio ‘68 – ’78, ancora refrattaria a una rigorosa e fredda rilettura storiografica; una vicenda di passione politica, di coerenza radicale e moralistica se non proprio fanatica, di violenza, dolore, amarezza. Una vicenda dello spettacolo – resa dalla drammaturgia, regia e interpretazione – capace di attraversare e a restituire, con un esatto e delicato equilibrio di passioni (politiche ma anche professionali e culturali), gli entusiasmi, le emozioni e le paure di Ulrike, donna e madre, che inutilmente prova a proteggere i suoi figli da ciò che lei stessa va costruendo. Uno spettacolo serio e ben costruito visto con piacere e meritevole dell’onore riconosciuto a chi lo ha prodotto.
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“Corpo di Stato – Il delitto Moro una generazione divisa” di Marco Baliani fa già parte da qualche anno del repertorio di narrazione di questo grande protagonista del teatro italiano. Bene ha fatto Alfio Scuderi, nuovo direttore artistico delle Orestiadi, a riprenderlo perché in effetti si tratta di una riflessione importante, acuta e diretta sulla vicenda centrale degli anni di piombo italiani, ovvero sul delitto Moro. Una scelta importante, perché su quello snodo centrale della vita pubblica italiana del ‘900, ancora non è stata fatta piena luce, e perciò risulta utile ogni serio contributo di conoscenza e di consapevolezza politica. Non si tratta solo di una memoria personale o generazionale, ma di un contributo a una discussione pubblica che probabilmente non è mai stata davvero rigorosa ed esigente nel cercare di capire quegli eventi. Il perché è dato dal fatto che non si dispiega soltanto sul piano del senso politico di quegli avvenimenti, quanto invece, per la provenienza da una persona che è stata partecipe del contesto culturale e politico (il movimento giovanile nella sua declinazione romana), capace di indagare senza sconti sul rapimento e assassinio di Aldo Moro, della uccisione degli uomini della sua scorta, e parlarne in una prospettiva di verità che potrebbe definirsi antropologica e memoriale.
L’aspetto più evidente nella costruzione formale di questo spettacolo è comunque la realizzazione della sua struttura: non attraverso il racconto della “grande storia” (nel suo sviluppo fino al tragico epilogo) quanto, invece, l’accumulo intelligente di mille piccole storie di contesto: la musica, le assemblee, i libri, gli amori, le divisioni politiche, le fughe, le manifestazioni, il lavoro, le delusioni, i tradimenti, i figli, un assetto familiare della vita, gli incontri e gli abbandoni e – poi tutto ad un tratto – , una pistola, uno sparo, la violenza, la festa della rivolta vitale che però non si evolve in rivoluzione ma in terrorismo. Ecco la prima parola/concetto che occorre capire, digerire, pronunciare ad alta voce: l’azione delle Brigate Rosse fu terrorismo, non l’attività politica di un’avanguardia rivoluzionaria, anche se chi ne faceva parte era qualcuno che conoscevi, che persino ti era (stato) amico. Indipendentemente dal comportamento della politica e della polizia, e in quanto tale vigliacco. Baliani sulla scena dimostra ancora una volta il suo talento di attore, non serve ripeterlo, piuttosto occorre cercare di capire qual è il senso profondo di questo lavoro oggi, al di là del contributo offerto alla creazione di una memoria e di una consapevolezza politica pubblica.
La spiegazione sta forse nella responsabilità stessa di averlo ideato e proposto al pubblico, per ciò che si è condiviso anche al di là delle proprie intenzioni e nel non aver capito fino in fondo o, anche per la mancanza di coraggio nel desiderarlo. Un’assunzione di responsabilità necessaria che deriva dall’assenza di volontà o forza di separare del tutto la propria vita, la propria intelligenza, la personale vitale creatività che dimostra di essere feconda anche quando è tardiva.
“Le stanze di Urlike – la rivoluzione inizia a primavera”. Prima nazionale, Gibellina, Baglio di Stefano. Di e con Silvia Ajelli, regia di Rosario Tedesco. Produzione del Teatro Biondo di Palermo e delle Orestiadi di Gibellina. Crediti fotografici: Azoto – Fondazione Orestiadi. Visto il 27 luglio 2018
“Corpo di Stato – Il delitto Moro una generazione divisa”. Gibellina, Baglio di Stefano. Di e con Marco Baliani, drammaturgia e regia di Maria Maglietta. produzione Casa degli Alfieri, Trickster Teatro. Crediti fotografici: Azoto – Fondazione Orestiadi, Fausto Brigantino. Visto il 28 luglio 2018