RUMORS(C)ENA – IL CANTICO DEI CANTICI – TANGRAM TORINO – Non sono mai riuscito a scrivere del Il Cantico dei Cantici di Roberto Latini, le prime due volte che l’ho visto. È un atto d’amore quello che si consuma, disperato e disperante. Un amplesso dissipato pubblicamente. Sacro e osceno per una civiltà che odia alla luce del sole e ama al buio sotto le lenzuola per dirla alla John Lennon. Il Cantico dei Cantici è uno spettacolo complesso e intenso, insignito di due premi Ubu per Miglior attore a Roberto Latini e per il Miglior progetto sonoro a Gianluca Misiti, e di cui è difficile esprimere a parole quanto di profondo ci fa vivere in poco più di cinquanta minuti trascorsi a teatro. In scena al Tangram di Torino, in occasione della stagione di Maldipalco, ancora una volta emerge la potenza di quelle parole antiche capaci di emozionare, e toccare profondamente. Non solo per il loro essere vertice di poesia, mai riferita, sempre cantata: una professione d’amore dell’uomo di teatro per il suo pubblico, un donarsi senza esser mai veramente ricambiati, soli dopo l’applauso con le proprie miserie senza alcuna consolazione. È tutto nel chiacchiericcio senza senso nell’attesa che tutto si consumi, in quegli occhi che ignorano il personaggio già in scena con la stessa indifferenza mostrata al mendicante.
“Non guardarmi” dice allo spegnersi delle luci quell’uomo solo sul palco, emo-Dj consumato da una passione senza speranza. Lo dice al debutto prima che le parole si diffondano, parole d’amore caldo e sensuale, al di là dei significati, oltre le interpretazioni, suoni che smuovono montagne, voce nel deserto. Un amore oltre il credo e la religione eppur sacro e folle, senza ragione né paracadute, senza strategie né finzioni, perché come dice la canzone dei Placebo che apre lo spettacolo: “l’amore dei cretini è mandato dal cielo”. “Non guardarmi che mi stravolgi la mente con un solo dei tuoi sguardi” e i nostri occhi di pubblico fissi come chiodi sulla scena dove Roberto Latini, solo di una solitudine devastante, proferisce parole d’amore totale.
“Non guardarmi, i tuoi occhi mi dissolvono” perché lo sguardo è sempre peccaminoso, incide le carni e fruga i corpi. C’è un che di scandaloso nell’osservare questo personaggio intangibile diviso dai noi da un confine invalicabile, quella linea invisibile che divide il proscenio dalla platea. La scatola scenica lo separa dal mondo benché parli al mondo. “L’amore dei cretini è la scatola che scelgo”, perché l’attore è eremita innamorato senza contatto con l’oggetto amato. Un solitario amante che Invano attende lo squillo del telefono, una voce umana che non giungerà giammai. Resta il desiderio che monta e si consuma, si spande come un universo senza limiti e confini.
Eppure il pubblico è lì, a due passi, anch’egli ingabbiato, inscatolato nel suo silenzio, votato all’ascolto non alla parola. Dio velato, nascosto nel buio della sala, desideroso di ricevere, affamato, bramoso come belva insaziabile. Eppure: “Guardami. I tuoi occhi mi dissolvono”. Non si può sfuggire, è quella visione che fa esistere la scena. Per i greci l’amore divino era sempre violento, irrompeva e scuoteva come esercito in battaglia e nasceva sempre dallo uno sguardo illecito che si posava sull’oggetto d’amore. “Che peccato!” ma un peccato necessario senza il quale nulla può avvenire.
Il diletto amato e amante è destinato a non incontrarsi mai dunque con l’oggetto del suo desiderio, c’è sempre un impedimento, un essere inadeguati alle circostanze. Come nella citazione di C’era una volta in America: “Egli è tutto una delizia, ma sarà sempre un teppista da due soldi, per questo non sarà mai il mio diletto. Che peccato!”.
A Roberto Latini sono care le riflessioni metateatrali. I suoi spettacoli pensano il teatro, lo indagano e forse questo Cantico dei Cantici è il suo pensiero più intimo e toccante. È un non incontrarsi mai per quanto amore vicendevole promani dalla scena e dalla platea. Un donarsi crudele quello dell’attore, un offrirsi a una moltitudine d’occhi silenti, a un amante sconosciuto che mai ti toccherà e mai veramente farà sentire il suo calore. Che peccato.
Visto al Tangram Teatro di Torino il 24 novembre 2018
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