Teatro, Teatrorecensione — 28/04/2011 at 16:54

Paolo Rossi fa suo il Mistero buffo e lo eleva a parabola contemporanea

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Vita, morte e miracoli di un Cristo ridisceso sulla Terra che assume sembianze di un extracomunitario, con tutto lo sdegno  di chi è restio a concedere  accoglienza e  solidarietà per il “diverso”. Non è un “Mistero”, sarà anche “buffo”, sicuramente è “pop”. La triade che compone l’esilarante e riflessivo spettacolo – alla maniera della commedia dell’arte – di Paolo Rossi. Mirabolante parabola capace di mescolare il sacro al profano in un mix esplosivo, confezionato su misura per questo “ragazzaccio” della scena italiana.

Abile nel portare sulla scena quello che sembra un teatro di una compagnia di guitti, dove trovano spazio vangeli apocrifi, citazioni medievali, la laude in morte di Cristo, una comicità irriverente, satira che punge la nostra società italiana che il mattatore definisce da “avanspettacolo”, con tutto il rispetto per una forma di intrattenimento un tempo molto in auge in Italia. Ora il decadimento della politica è tale, da farci vergognare per le quotidiane scene a cui siamo costretti a subire. Ma per fortuna ci pensa Paolo a tirarci su di morale. Il suo Mistero buffo è confezionato con garbo e ironia sapientemente dosata. Un crescendo di gag a due: a fargli da spalla un efficace Emanuele Dell’Aquila, musicista in scena, capace di prestare il fianco al comico e regalarci dei momenti di puro divertimento, tra il dileggio e lo scanzonato, che i due si scambiano.

Una rivisitazione del tutto personale che porta il nome del celebre Mistero buffo di Dario Fo del lontano 1969, presentato allora come una “giullarata popolare”, e di giullari. Paolo Rossi è un giullare che sa intrattenere la corte dei suoi spettatori (sta girando per il lungo e il largo l’Italia da un anno e mezzo) ,capace ogni sera nell’improvvisare recitando a soggetto, capace com’è di farsi coinvolgere da fatti accaduti estemporanei, situazioni colte al momento, i feedback che arrivano dal pubblico. Nelle sere di spettacolo a Bolzano ha regalato momenti di vero spasso, creando sul momento spassosissimi intrattenimenti dove l’interazione tra lui, il suo compagno in scena e le prime file degli spettatori, rivela una capacità straordinaria di cogliere il “momento” giusto e infilarci la battuta che scatena l’ovazione popolare. Perché è di pop che stiamo parlando. Non è teatro intellettuale, ma alla portata di tutti, e proprio per questo più coinvolgente. Vero. Con inserti toccanti il culto religioso: Gesù, la resurrezione di Lazzaro (che Rossi interpreta mutuando di volta in volta con accenti dialettali), l’ultima cena, la Passione. Il trait d’union tra Fo e Rossi è rappresentata da questa presa di coscienza della necessità di conservare una cultura popolare , come patrimonio storico – culturale del teatro, senza dover rinunciare al gusto della dissacrazione in chiave satirico -grottesca. Fulminanti le battute che Rossi infarcisce nel suo spettacolo, da quella che spiega l’arrivo in gommone sulla spiaggia del Lago di Garda, di un gruppo di clandestini, facendoli dire: “Scusate è Lampedusa?”, o “non tutti i nani vengono per nuocere”, perfido riferimento al presidente del consiglio italiano. “La legge sul legittimo affaticamento” fa tanto pensare ad una delle leggi ad personam. Fino a momenti di toccante commozione, divisa tra ilarità con la scena delle prove a tavolino della Passione di Cristo, tra Rossi, Dell’Aquila e una straordinaria e bravissima Lucia Vasini, stralunata e surreale nell’interpretare un’attrice svampita, salvo poi immedesimarsi in un toccante e sofferto monologo, in quella parte che fu di Franca Rame. Una prova d’attrice senza paragoni. Si esce con la sensazione di aver condiviso qualcosa di sincero, intimo e catartico, paghi delle suggestioni offerte dai tre protagonisti. Un successo buffo e pop.

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