RUMOR(S)CENA – TEATRO STABILE DI CATANIA – “Marionette che passione” ha debuttato sul palcoscenico del Castello Ursino nell’ambito della stagione estiva del Teatro Stabile di Catania. Si tratta di uno spettacolo prodotto dallo Stabile etneo e affidato alla regia di Carullo-Minasi, una delle compagnie più rilevanti della ricerca teatrale italiana: ensemble che ha sempre cercato nei suoi lavori di esprimere un proprio approccio alla costruzione degli spettacoli e una poetica meditata, singolare e raffinata in grado di riscuotere successo e apprezzamenti dal pubblico e dalla critica. “Marionette che passione” è un testo del drammaturgo nisseno Pier Maria Rosso di San Secondo, diretto da Cristiana Minasi (nel ruolo della signora dalla volpe azzurra) e Giuseppe Carullo (l’uomo a lutto). L’idea dello Stabile che soggiace a questa produzione, appare abbastanza chiara e in astratto anche condivisibile: affidare alla ricerca teatrale siciliana il compito di riflettere sulla tradizione e sulle voci della drammaturgia siciliana. Particolarmente interessanti sono le scene disegnate e realizzate da Cinzia Muscolino (suoi anche i costumi), le musiche curate dalla regia sono appropriate e quasi riscoperte in ciò che resta attivo nella memoria della cultura siciliana borghese e popolare del primo Novecento.
Il senso dello spettacolo è totalmente in linea con l’assunto del dramma di Rosso di San Secondo, ovvero che non può esservi forma stabile nella vita laddove domina eros e, se mai una forma può realizzarsi, non potrebbe essere che quella del caos, del dolore, in definitiva dell’alienazione. Siamo marionette in balìa delle passioni, così come sulla scena gli attori vivono vite che non sono le loro. Facile intuire la parentela con la poetica pirandelliana e allo stesso tempo la difficoltà vera di ripensare per la contemporaneità un rovello intellettuale e filosofico che ha segnato un’ altra epoca, diversa dalla nostra, eppure non così lontana da poter essere rivista in modo fecondo, vitalmente tradita e riscritta. Nella costruzione scenica ogni minima possibilità di poesia viene esplorata e valorizzata dai due registi, e gli attori stessi sembrano collaborare attivamente (seppur con qualche generosa ingenuità) in questa esplorazione e alla concretizzazione dell’idea che veniva definendosi. In questo contesto si distingue l’ottimo Gianluca Cesale (l’uomo in grigio ), sempre capace di dare il giusto tono a ogni cambio di modalità espressiva e di motivazione interiore del personaggio che interpreta. Sorprende la versatilità di Alessandra Fazzino (la cantante e ballerina) la quale, oltre al riconosciuto talento di danzatrice e coreografa, sfoggia in questo lavoro una autentica e positiva capacità attorale.
Di Manuela Ventura (Altro) e di Francesco Natoli (Altro) occorre evidenziare la solidità professionistica anche se dell’una non convincono gli eccessi comici (sono così evidenti e ripetuti che si devono leggere come una scelta di regia), e dell’altro una caratterizzazione poco definita del personaggio. Carullo e Minasi in scena restano perfettamente sé stessi, proiettando sul testo, con qualche visibile sforzo, quella sete di poesia sospesa e sognante che caratterizza il loro percorso artistico. Non sono semplicemente attori né registi ma perfomer del “loro” teatro e però la forma è sostanza nell’arte e il testo scelto è un testo che esige attori e registi. O lo si smontava del tutto e poi lo si rimontava come dialogo serrato tra e visioni e poetiche o lo si adottava così com’è e allora si sarebbe dovuto affidare totalmente al solido mestiere di un regista. La timidezza nello scegliere tra queste opzioni talvolta vanifica gli sforzi degli attori e complessivamente rende un po’ fragile il risultato finale.
Visto a Castello Ursino di Catania il 6 luglio 2019