RUMOR(S)CENA – ESODO – EMMA DANTE – PALERMO – Il confronto con la drammaturgia classica è uno dei fili più robusti con cui Emma Dante intesse da sempre la sua poetica teatrale e la sua attività di didatta nella “Scuola dei mestieri dello spettacolo”, di cui è direttrice al Teatro Biondo di Palermo e in altre scuole e accademie. Un confronto continuo, serrato, fertile di immagini, di poesia e parole, meccanismi narrativi e drammaturgici, oltre a pensieri lunghi e archetipi; dove dimostra la sua abilità a rintracciare o a ricollocare nella realtà. È quanto accaduto, ancora una volta, con “Esodo” (dopo aver debuttato a luglio al festival di Spoleto), andato in scena nella Sala Grande del Teatro Biondo. Una riscrittura del mito di Edipo in cui la regista decide di porre a cavallo tra le due tragedie di Sofocle, l’Edipo a Colono e l’Edipo Re, e a seguire quando l’eroe, con la sua numerosissima famiglia, raggiunge i sobborghi di Atene: numerosa e colorata, ai margini di una città, anzi della prima e più nobile tra quelle occidentali. A questo punto la fantasmagoria assume una forma concreta: composta da nomadi, di zingari, di stranieri in esodo, forse smarriti, di uomini e donne irregolari accampati provvisoriamente fuori dalle nostre città.
Migranti in cerca di una giusta e umana pietà dell’accoglienza. È evidente come si stia parlando al presente al pubblico, sollecitandolo ad una presa di posizione politica. Chiarito l’orizzonte di senso di questa riscrittura, lo spettacolo procede fino in fondo ripercorrendo, ordinatamente e senza innovazioni significative, la storia di Edipo come Sofocle la propone. A poco a poco quella tendopoli si colora di panni stesi al sole, di bagagli accatastati, dove si gioca e si svolgono danze sensuali. Accadono scontri tra uomini, si odono suoni, canti e parole che salgono in cielo a raccontare la storia miserrima del grande Edipo. La storia del nuovo re di Tebe capace di sconfiggere la Sfinge, figlio e assassino inconsapevole del padre Laio, figlio e marito di Giocasta, padre e fratello di Antigone e di Ismene, di Eteocle e di Polinice, salvatore e insieme peste per la sua città.
Un uomo del tutto cieco mentre era in possesso della vista e del tutto capace di vedere quando non possiede più gli occhi: forse la storia più straordinaria che la cultura occidentale abbia mai saputo secernere. Tutto convincente? In effetti non lo è: i testi rivisitati e riscritti da Emma Dante sono cosi importanti, profondi, imprescindibili per senso e vitalità nella storia occidentale, che associarli a una riflessione sulla vicenda dei migranti, o dei popoli rifiutati come gli zingari – per quanto certo urgente e necessaria -, appare poco congruo e comunque non esaustivo della profondità del mito di Edipo. La sensazione è quella di essersi lasciata trascinare dalla possibilità creativa di intrecciare colori, ritmi, canzoni, danze di sapore gipsy e abbia rappresentato con qualche superficialità e oleografia di troppo la vita dei nomadi. Da questa regista ci si aspetta altro: non zingari da cartolina e ben educati, tanto da non turbare il nostro essere senza inquietarlo. Possono divertire certo ma difficilmente riescono ad accogliere, tradurre e comunicare il vertiginoso mistero di Edipo.
Visto al Teatro Biondo di Palermo il 2 novembre 2019