RUMOR(S)CENA – NOSTALGIA DI DIO – TEATRO FABBRICONE – PRATO – Un testo all’insegna della regressione – o implosione, collettiva generazionale: “Nostalgia di Dio”è una novità assoluta per le scene (presentato al Festival internazionale Biennale Teatro di Venezia lo scorso luglio). Scritto dalla felice penna di Lucia Calamaro, la nuova produzione vista al Teatro Fabbricone di Prato nell’ambito della stagione del Teatro Metastasio, insiste intorno alla crisi identitaria dei quattro personaggi amici dall’infanzia, fino a trasportarli nei loro ragionamenti ad un nucleo primigenio dove trionfa un Io Bambino onnipotente e dove la messa in campo di un Dio maiuscolo segnala lo stato di grazia dei quattro co protagonisti:Alfredo Angelici, Cecilia Di Giuli, Simona Senzacqua, Francesco Spaziani. Il plot dell’autrice anche regista, disegna una efficace distribuzione di dialoghi fra le due donne e i due uomini coetanei con degli assoli in avanscena, dentro un recitato naturalistico e uno spazio che è il palco-spoglio, dove si intrecciano vite da interno piccolo borghese. Tutto ha inizio con una partitella a tennis fra i due uomini sodali e senza pubblico con le sole donne ad assistere. Si sprecano le citazioni fra i due sportivi che simulano passaggi maldestri a scena aperta, allestita con tanto di rete palline e racchette. Vengono menzionati i miti del tennis passato e attuale: lo svedese anni Settanta Borg e poi Federer in collisione contro l’urlante aggressivo in campo, lo spagnolo Nadar fino ad arrivare dialogicamente, nel citazionismo sudato maschile, fino ad arrivare ad uno scrittore cult americano qual’è Foster Wallace, autore di un saggio sul tennista svizzero ed elegante Federer.
A ciascuno dei quattro personaggi però manca qualcosa: al Padre separato il sogno del rientro in famiglia con moglie e figli; alla Madre ex moglie di due bimbi piccoli, la propria autonomia di donna con prole che ha abbandonato oltre al marito le sue ambizioni di studi umanistici. Vive tra l’ accompagnare i figli a scuola e dedicarsi al rito dell’aperitivo. All’Amica single in menopausa manca un figlio, magari anche in vitro e in Spagna; all’Amico di tutti e tre che si è fatto Prete, una vera fede in Dio. Ne viene fuori un affresco generazionale di quarantenni verso i cinquanta e passa, amici d’infanzia le cui vite sono all’ultima svolta prima della terza età o comunque, forse, anche in lizza per poter ancora cambiare qualcosa delle loro esistenze dove, dentro un’apparenza di piccolo benessere materiale, raggiunto o semplicemente acquisito, faticano a vivere sereni i loro ruoli, le loro piccole vite da “demi-monde” (la società mondana). Vite irrisolte sprofondate dentro la crisi di mezz’età. E così al posto del tavolo della mensa famigliare (dove forse non mancherebbe niente), svenduto dalla Madre, dove il Padre aveva provato a ricollocarsi intenti a consumare tranci di pizza e non si sa neanche per quanti ospiti. Una Madre che compra a quattro soldi spacciandola per una chaise longue ma in realtà è una barella da volontariato ospedaliero dove si stende la neo-forse Madre single. In un’ora e mezzo di spettacolo circolano anche alcune battute divertenti.
Il dettato è emozionale, a tratti comico da strappare qualche risata virate al femminile specie dove un Padre è in cerca di (auto)legittimazione a fronte di una specie di padre-pastore spirituale amico. Il lavoro di Lucia Calamaro fa riflettere. Davvero siamo alla fine della funzione del Padre? Quello predicato da psicoanalisti anche in vena di letterarietà da Zoia a Recalcati? E se la mèta è l’inizio come recita il sottotitolo dello spettacolo, cosa dobbiamo aspettarci: un futuro femmina? Magari riproduttrice? Sarà forse che ancora siamo rimasti nella società italiana di Speriamo che sia femmina (Mario Monicelli 1986), dove uno sperduto antropologo, anche Padre ma non lo sapeva ancora, con registratore rintracciava i dialoghi le nenie e i rumori nella Natura fra Sardegna e Toscana? Dove i maschi sono trogloditi e le donne ancora se la passano in una società patriarcale e il procreare è la condizione femminile necessaria e-o sufficiente alla felicità o comunque alle risposte fondamentali della vita delle donne? Insomma un ritorno anni Cinquanta, spiazzante questo minimalismo pensato dall’autrice che ricorda tanto la ricerca di Daria De Florian.
Visto il 12 Gennaio 2020 al Teatro Fabbricone di Prato