RUMOR(S)CENA -COVID19 – INTERVISTE – TEATRO – Prosegue l’indagine sul territorio nazionale a causa dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 con l’intento di dare voce alle realtà artistiche impedite a svolgere il proprio lavoro nei teatri e di conseguenza gli spettacoli cancellati, festival annullati, programmi destinati ad essere archiviati per sempre o rimandati a data da destinarsi. Rumor(s)cena si sposta ora a Firenze e a Roma per ascoltare chi sta subendo il divieto assoluto di rialzare il sipario. Nella prossima indagine toccherà a Trento e provincia con tre festival storici della Regione.
Giancarlo Mordini è il direttore artistico del Teatro di Rifredi. Qual è la situazione attuale e cosa state facendo per far ripartire l’Ente da questa grave crisi di settore a causa del COVID-19? Quando pensate di ricominciare a lavorare e quali sono i problemi da affrontare?
«Tra fine febbraio e i primi di marzo, al primo apparire della pandemia che ci avrebbe poi travolto, ci siamo subito preoccupati di ricollocare in nuove date (fra ottobre e dicembre 2020) alcuni spettacoli che stavano saltando. Ma, per quanto ci riguarda, i danni sono arrivati prima della formalizzazione della chiusura dei teatri. Il 26 febbraio, infatti stavamo per andare in scena con una nuova produzione de I Promessi Sposi interpretata da sette giovanissimi attori ed indirizzata, tra l’altro, ad un vasto pubblico di studenti, quando il Miur ha bloccato tutte le uscite didattiche e ci ha costretto all’annullamento dello spettacolo, perdendo 1.800 spettatori già prenotati. Abbiamo rimborsato quindicimila euro alle scuole ed abbiamo onorato i contratti con gli attori e i tecnici fino all’ultimo centesimo. Dopodiché abbiamo chiuso il teatro ma mantenendo la regolarità degli stipendi di tutto il personale fino al 9 marzo, quando abbiamo potuto avviare il FIS (Fondo di Integrazione salariale).
Questo per far capire anche ai non addetti ai lavori la dimensione del danno concreto di cui stiamo parlando e anche per spiegare la cautela della nostra attuale posizione. Essendo un’azienda sana e potendo contare su un po’ di liquidità, abbiamo fatto un atto di coraggio pagando direttamente le buste paga di marzo e aprile, senza quindi penalizzare i nostri collaboratori che altrimenti avrebbero dovuto aspettare dei mesi prima di ricevere i soldi dall’INPS. Però adesso, prima di prendere altre onerose decisioni, attendiamo disposizioni precise su quando e soprattutto in che condizioni potremo riaprire.
È fondamentale poter riaprire i teatri in sicurezza per gli artisti, per i nostri lavoratori e per il pubblico. Non sarà semplice ritrovare subito tutto il nostro pubblico ma sono anche fiducioso che ci riusciremo. Abbiamo costruito negli anni una comunità di spettatori che sono cresciuti con noi, che ci stimano, che condividono una linea artistica che non dà sicurezze ma che chiede di prendersi dei rischi, spettatori che hanno sempre gioito dei nostri successi (l’ultimo esempio è stato il riconoscimento del Premio Speciale Ubu 2019) e che in questi giorni bui ci stanno mandando costantemente messaggi di solidarietà dimostrandoci un grande affetto»
Come sono i vostri rapporti col Ministro del Turismo e Spettacolo Dario Franceschini, rispetto alla ripresa del lavoro?
«Essendo una piccola struttura, non abbiamo nessun rapporto privilegiato con il Ministero. Le giuste pressioni che sono state fatte da tutta la categoria (AGIS in primis) non mi sembra che abbiano per ora sortito grandi effetti. Al momento siamo ancora in attesa di capire quando ci potrà arrivare l’ottanta per cento della sovvenzione 2020. Sono soldi liquidi indispensabili per far fronte alle tante spese correnti, perché i teatri saranno pure chiusi ma le spese corrono ugualmente.
Proprio oggi vedo che è uscita la prima disposizione dell’utilizzo dei primi 20.000.000 euro rispetto ai 130.000.000 euro attribuiti al Ministero dal Decreto Cura Italia a favore delle imprese che non accedono al FUS; trovo che questo sia un segnale giusto ma aspettiamo di capire come saranno gestiti i restanti fondi»
Cosa pensa del dibattito attuale sul ruolo dell’artista di teatro in tempi di Covid 19 e Social? È favorevole a questo spostamento di campo dal teatro dal vivo al digitale?
«Posso rispondere con molta franchezza? Deluso, sconcertato, anche un po’ infastidito. Mi sembra che ci sia molto protagonismo, troppo filosofia, la corsa a chi la spara più grossa per avere attenzione; e soprattutto tanti proclami in libertà e poche cose concrete. Ho molto rispetto per gli artisti che hanno scelto il Silenzio e che hanno deciso di approfittare di questo periodo “sabbatico” (per quanto imposto) per rigenerarsi personalmente fuori dalle logiche del produrre e dell’apparire. In un momento così incerto e difficile forse questa è la risposta più intelligente. Al contempo mi sento, però, in dovere di ringraziare tutti quegli artisti che hanno fatto al pubblico dei doni in streaming, da casa propria, per testimoniargli che lo pensiamo e che il nostro lavoro non esisterebbe senza di loro. Anche noi abbiamo partecipato a questo fenomeno con contributi di artisti postati su #ilteatrononsiferma, (la prima piattaforma autonoma nata a Firenze a partire dall’hastag coniato dal Teatro di Rifredi e successivamente sviluppata da Lorenzo Degl’Innocenti, Fabrizio Checcacci e Roberto Andrioli) su @FirenzeTV del Teatro Nazionale della Toscana e su #playFTS della Fondazione Toscana Spettacolo. Attraverso il digitale e le nuove sfide che ci pone e a cui non possiamo sottrarci, possiamo forse creare una più ampia “cultura teatrale”.
Però una cosa sia chiara una volta per tutte: questo non è teatro. Non credo assolutamente che il teatro dal vivo possa spostarsi sul digitale. Mi dispiace ma non sarà questo virus e il conseguente blocco dei teatri per qualche mese che mi faranno rinnegare cinquanta anni di passione (da spettatore) e trentotto anni di lavoro attivo nel settore, facendomi cambiare idea su cosa sia il Teatro. Noi non siamo dei conservatori del teatro: abbiamo fatto spettacoli in strada, negli appartamenti, con le cuffie, con la tecnologia multimediale e via discorrendo, ma credo che torneremo a fare teatro solo quando ci saranno le condizioni per fare davvero “teatro”. Se qualcuno pensa di trasferire altrove l’eccezionalità e l’unicità del fatto teatrale, la magia che si instaura tra gli attori e il pubblico, buon per lui… ma costui ha forse vissuto di teatro ma non per il teatro. E questa crisi evidenzia un dubbio che mi porto dietro da tempo: quanti di quelli che hanno in mano le sorti del nostro settore amano davvero il teatro?»
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Roberta Nicolai è la direttrice artistica del festival Teatri di Vetro di Roma. Qual è la situazione attuale nel suo lavoro e cosa state facendo per ripartire da questa grave crisi di settore a causa del COVID-19? Quando pensa di poter ricominciare e quali saranno secondo lei i problemi da affrontare?
«Dirigo il festival Teatri di Vetro www.teatridivetro.it e la programmazione viene realizzata dal 2018 presso il Teatro India e il Teatro del Lido principalmente. La 13esima edizione ha avuto luogo a dicembre 2019 e la 14esima – ad ora – è programmata per il mese di dicembre 2020.
La situazione attuale chiaramente non solo mette in forse l’attività futura: non sappiamo infatti cosa succederà in autunno, ma compromette interamente quella presente. L’architettura progettuale del Festival, in particolare quella della sezione Oscillazioni, richiede un lavoro dal mese di gennaio in poi e si conclude con l’apertura al pubblico dopo un lungo processo. Seguo personalmente le fasi di creazione dei lavori attraversando residenze e sessioni. Per dare un’idea concreta lo scorso anno a inizio maggio avevo già seguito alcuni processi di lavoro in almeno tre residenze. Gli artisti erano comunque al lavoro in sala e stavamo definendo nel dettaglio le tappe delle coproduzioni, progettando incontri e feedback. Eravamo in piena attività. Anche qualora a dicembre il blocco fosse scongiurato, mi ritroverei nella probabile situazione di non avere pronti i lavori da proporre al pubblico. Sfugge a molti come il nostro sia un lavoro interconnesso e basato sul lavoro di rete. Non c’è un interruttore che si può accendere e all’istante per avere la luce.
In questa situazione, in assenza ancora di direttive ufficiali da parte del Ministero e degli enti locali – qualcosa comincia ad esserci ma dovremo aspettare ancora per avere un quadro più chiaro –, e io sto cercando di immaginare una trasformazione del Festival. Non un piano A nel caso in cui l’emergenza sanitaria si risolva – comunque già compromesso mentre si rischia di essere un azzardo e un grande spreco di risorse e energie, o un piano B come soluzione straordinaria. Meglio concentrarsi su di un unico piano progettuale, in grado di farsi interprete dell’eccezionalità del momento, in cui stiamo vivendo e che possa comunque esprimersi in azioni. Avrò più chiara la direzione nel momento in cui saranno note le regole, entro le quali stare per salvaguardare alcune risorse, per poi farle ricadere anche sugli artisti, oltre che sulle strutture».
Quali sono i vostri rapporti col ministro del Turismo e Spettacolo Dario Franceschini? E cosa sta accadendo rispetto alla ripresa del lavoro?
«Sono al corrente dell’impegno del Ministro nell’ascoltare le associazioni di categoria e dell’elaborazione di un piano straordinario. Non ha senso parlarne prima che sia reso ufficiale dal Ministero stesso»
Cosa pensa del dibattito attuale sul ruolo dell’artista di teatro in tempi di Covid 19 e Social? È favorevole a questo spostamento di campo dal teatro dal vivo ai Social?
«Il teatro e la danza sono attività da svolgere dal vivo. Una risonanza fisica in co-presenza. Lo spostamento non è dato. Una ripresa, un video possono essere un documento – nel loro insieme un archivio – o un nuovo lavoro di creazione filmica. Sono oggetti altri rispetto al fare della danza e del teatro. Questo non vuol dire che non sia possibile mettere in atto nuovi oggetti, attraverso l’ibridazione di supporti e l’utilizzo di strumenti diversi. Ciò che non ritengo possibile è il trasferimento orizzontale e indifferenziato. C’è sempre da salvaguardare – e mai come oggi è una necessità – la specificità di ogni lavoro di creazione, di ogni progetto. Nella pluralità e nella differenziazione è possibile aprire un nuovo spazio di immaginazione e utilizzare tutto, anche i social. Sempre che abbia un senso artistico stringente.
La co-presenza fisica di attori e spettatori definisce lo spazio stesso della scena e in particolare i linguaggi contemporanei proprio sulla qualità di questa relazione e di questo scambio hanno basato la propria ricerca. Ed è interrogandosi sulla qualità di tali relazioni che all’interno di un progetto di creazione si generino – anche sotto impulso di un momento storico eccezionale – nuove esigenze, nuovi piani del lavoro stimolati e informati dalla vita, dalla realtà, da nuovi limiti e soglie… anzi sarebbe strano che la scena non riflettesse attraverso i suoi stessi strumenti su ciò che ha travolto le nostre esistenze e modificato le nostre percezioni del corpo, dell’altro, del tempo …. È possibile, con uno sforzo immaginativo straordinario come l’attuale realtà, l’approdo a dispositivi di narrazione e connessioni che potrebbero nutrire la ricerca artistica».
(prosegue)
foto di copertina: graticcia del teatro del Teatro Mario del Monaco di Treviso (fonte Wikimedia)