RUMOR(S)CENA – ROMA – Short Theatre, il festival internazionale dedicato alla creazione contemporanea e alle performing arts, giunto alla quindicesima edizione si svolgerà dal 4 al 13 settembre a Roma con la supervisione artistica di Fabrizio Arcuri, fondatore del festival ma per il regista è la sua ultima edizione dopo aver accettato la codirezione del CSS di Udine. Quest’anno cura la sezione di Panorama Roma, da lui ideata e diretta dal 2018 e Francesca Corona, mentre è già in atto un processo che nei prossimi mesi proseguirà con l’individuazione di una nuova direzione artistica che possa rilanciare le direzioni intraprese fin qui. Il festival si svolgerà negli spazi di WeGil, La Pelanda del Mattatoio Roma, il Teatro Argentina e il Teatro India.
Un traguardo importante che arriva in uno dei momenti più critici della Storia recente. Un’edizione speciale, di trasformazione: il consueto impianto del festival sarà mantenuto ma ripensato in una dimensione più intima e unplugged, in continuità con il lavoro di reinvenzione dei formati e di relazione con lo spazio e con il territorio, da sempre centrale nel progetto di Short Theatre. Spettacoli nello spazio pubblico, performance e installazioni, live musicali, dj set, incontri e workshop svilupperanno le tematiche che caratterizzano l’identità del festival: la decolonizzazione delle arti, la rappresentazione di storie in grado di ridefinire lo sguardo sull’altro. Gli artisti della sezione Blumotion sono Giorgina Pi; Catarina Miranda; Cosmesi; David Marques; Dj Marcelle; El Conde de Torrefiel; Elena Colombi; Elsa Dorlin; Emilia Verginelli; Felix Kubin; Françoise Vergès, Forensic Oceanography; Gérald Kurdian; Giorgia Ohanesian Nardin; Jacopo Jenna; Kinkaleri & Jacopo Benassi; Les Cliniques Dramaturgiques; Marco D’Agostin; Marie Losier; Materiais Diversos; More Than This; Monira Al Qadiri; OHT / Little Fun Palace ; Paola Rota Simonetta Solder Teho Teardo; Radouan Mriziga; Salvo Lombardo Simon Senn ; Tiago Cadete; Volmir Cordeiro; Zapruder. Per la sezione Panorama Roma: Alessandra Di Lernia, Frosini/Timpano, lacasadargilla, Manuela Cherubini e Luisa Merloni, Veronica Cruciani.
Fabrizio Arcuri in questa intervista spiega la sua direzione artistica giunta al suo ultimo appuntamento e cosa lo aspetta in futuro.Short theatre compie quindici anni. È uno dei più importanti appuntamenti sul piano internazionale con le performing art e la creazione contemporanea. Il festival è dedicato ai linguaggi contemporanei del teatro, della danza, della musica e della performance, ideato e realizzato da AREA06. Alla luce di un nuovo linguaggio performer/spettatore causato da emergenza sanitaria come vive questo cambiamento?
«Credo che i festival per la loro capacità di lavorare su dispositivi e su caratteristiche specifiche degli spazi, spesso invitando gli spettacoli ospiti a trasformarsi in site specific, non subiscono molto questo, riferendomi alla domanda in cui viene utilizzato il termine di “nuovo linguaggio”. Abbiamo selezionato alcune cose adatte alle modalità del periodo e ne abbiamo rimandate altre perché provenienti da paesi extraeuropei e intercettato istallazioni o performance replicabili all’interno della stessa giornata. Questo per una scelta a monte sulla tipologia di proposte. Ora quello che più si avvertirà come mancante e sarà tutto il contorno di cui vive un festival, gli interstizi tra una performance e l’altra che sono il tessuto connettivo di una manifestazione come la nostra e che fanno la differenza rispetto alla programmazione di un teatro. Quindici anni sono un traguardo importante e inaspettato, essere adolescenti ci costringe a una consapevolezza maggiore a un idea di identità ma il periodo ci fa confrontare con una necessità di elasticità maggiore e di trasformazione ulteriore. Si è cercato anche di mantenere in atto le collaborazioni con i partner e di rispettare le sezioni del festival, naturalmente declinandole come accadeva prima con la speranza di poterlo fare ancora».
Cosa significa “comunità” e “relazione”?
«Al di là del significato corrente, sono termini che vanno continuamente indagati, che non vanno mai dati per scontati, sono termini che vanno costantemente esplorati per calarli nelle situazioni di riferimento. Mi riferisco a delle conseguenze del lavoro che si mette in atto, ovvero il risultato di pratiche non dei punti di partenza. Lavorare su questi due concetti chiave è essenziale ma non possono essere dall’inizio un obiettivo; possono semmai essere il risultato di un processo e di un tentativo di inclusività di realtà, a volte anche profondamente diverse che lentamente ne forzano il perimetro di ciò che si mette in atto. Diversamente si creano delle riserve più che delle comunità, almeno questo è il mio punto di vista. Il teatro può essere il luogo dove si incrociano identità diverse nel confronto e nella relazione. È un peccato quando si perde quest’occasione».
Aggiungiamo altri due concetti chiave di questa edizione: “tempo”, una variabile, e la “trasmissione” un’azione allitterata in quest’ultimo. Quanto, oggi, nel teatro e non soltanto, si sta utilizzando quest’ultima in maniera consapevole, prestando fede a quelli che furono i padri e provando ad apportare innovazioni?
«Non so nemmeno se questo sia interessante e utile prestare fede. Credo che anche qui bisogna porsi in una dinamica diversa. Istituire o cercare di creare una convenzione adeguata alle comunità di riferimento e poi utilizzare delle pratiche come stimoli e punti di partenza da riverificare, da rimettere in gioco per vedere come e in che maniera queste hanno la capacità di trasformarsi e di adeguarsi ai cambiamenti».
A Radicondoli, si è svolta la consueta cerimonia di consegna del Premio che, giunto alla undicesima edizione, sottolinea ogni anno attraverso segnalazioni dalla base del mondo teatrale (artisti e operatori del settore) un maestro del teatro, e alternativamente un progetto creativo e un giovane critico teatrale emergente. Lei è stato premiato come “uno tra i maestri che sanno donare esperienza e saperi”. La trasmissione di cui sopra, dunque. Quale la sua esperienza più cara che più e più volte l’ha accompagnata nell’insegnamento al prossimo?
«La mia esperienza più cara è osservare e imparare dalle persone, imparare come certe suggestioni date si trasformino e vengano processate attraverso dei criteri personali».
Lascia la direzione dello Short theatre e si trasferisce al CSS, Teatro Stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia. Cosa l’ha portata a tale decisione? Percepisce delle lacune nella città di Roma?
«Nell’attuale sistema teatrale credo che i festival così come sono stati concepiti fino a ora non hanno più molto senso. Per tanto abbiamo sentito la necessità di immaginare una nuova forma di curatela che ci permetta di reinventare il senso di un festival oggi in Italia che non può essere certo quello di proporre una serie di spettacoli o essere una vetrina del nuovo. Per fare questo e’ necessario che nuove e giovani energie si aggreghino per impostare in modo diverso proprio a partire dal senso la struttura Festival Il mio arrivo a Udine e la scelta di accettare una co-direzione del CSS viene da lontano, da rapporti stratificati negli anni e che da quest’anno trovano un consolidamento formale. Questo non ha nulla a che vedere né con Short theatre né con Roma».
Si è parlato di crisi teatrale in periodo COVID -19 ma, da scambi di opinioni con suoi colleghi, è emerso che esisteva già da prima e che, anzi, un periodo di stasi era necessario per capire come ricostruire un equipaggio privo di qualsiasi scialuppa. La sua opinione in merito?
«La mia opinione è che qualche mese di riflessione non sia sufficiente per comprendere quali strategie siano necessarie per ricostruire un equipaggio ma soprattutto per capire come costruire nuove scialuppe. Se la legge del teatro e i suoi decreti attuativi seguono lo stato attuale delle cose bisognerà inventarsi un nuovo sistema teatrale; perché quello che aveva funzionato fino a 5/6 anni fa non ha più motivo di essere. La legge sottende un altro tipo di sistema che mette in discussione il senso delle tournée e delle produzioni teatrali. Vede sempre più la costruzione di uno staff che graviti intorno ai nazionali e ai Tric e che in qualche modo stabilisca chi ha un futuro lavorativo e chi no. L’impressione è che si sia pensato ad un equipaggio dove sono troppo poche scialuppe a disposizione. Vedremo con i decreti attuativi come cambieranno o si interpreteranno le regole di questa nuova legge».
«Ci sono delle bombe da mettere da qualche parte, alla base della maggioranza delle abitudini del pensiero odierno, europeo o meno. Di tali abitudini, i Signori Surrealisti sono affetti molto più di me – ve lo assicuro – e il loro rispetto per certi feticci fatti uomini e il loro inginocchiarsi davanti al Comunismo ne è la prova migliore» Così scriveva Artaud nel “Teatro e il suo Doppio”. Può essere attuale come provocazione?
«Non so se mettere le bombe anche se in senso figurato sia l’atteggiamento corretto o l’espressione corretta. In generale mi pare sia più utile sgretolare gli steccati e abbattere le contrapposizioni con mezzi meno oppositivi. Credo proprio che a partire dal linguaggio si possa tentare una rivoluzione che è quella di costruire proprio una nomenclatura adeguata ai nostri tempi capace di non nullificare attraverso i termini l’evoluzione civile che c’è stata in questi anni. Non si tratta, credo, di mettere delle bombe ma semmai di prendere commiato definitivamente dal passato. La società non è più quella dello scorso secolo; la realtà ci dimostra costantemente che siamo in un’altra epoca con esigenze diverse e problematiche diverse. Adagiarsi su vecchie e inadeguate convenzioni non pagherà perché i cambiamenti non si arrestano e se non sono capiti e intuiti ci travolgeranno. È solo questione di tempo. Non occorrono le bombe».
Il programma del Festival www.shorttheatre.org