Caligola I atto, IV scena.
(…)
Caligola: Era difficile da trovare.
Elicone: Che cosa?
Caligola: Ciò che volevo.
Elicone: E che volevi?
Caligola: La luna.
Elicone: Che?
Caligola: La luna. Sì, volevo la luna.
Elicone: Ah, e per fare cosa?
Caligola: E’ una delle cose che non ho.
Elicone: Sicuramente. E adesso È tutto a posto?
Caligola: No, non ho potuto averla. Sì, ed è per questo che sono stanco. Tu pensi che io sia pazzo.(…)
L’imperatore Caligola esercita il potere solo con il possesso che lo pervade e chi lo subisce viene stregato dal suo fascino maligno. Lui stesso è vittima e carnefice, in preda alla disperazione per aver perso Drusilla sorella e amante, fino a commettere azioni estreme e deliranti. Un uomo che forse per troppo amore si trasforma in un sanguinario folle deciso a condannare l’umanità stessa. Il dolore sublimato in cieco odio verso tutti e verso la sua persona. Non è immortale ma è un uomo che pretende di possedere la luna. Desidera l’impossibile perché ogni altro desiderio terreno non gli appartiene, non potrà mai sostituire quell’incolmabile vuoto che prova dentro di sé, che lo lacera e lo tormenta, sospeso tra due anime. L’una vendicativa e sanguinaria, l’altra autopunitiva e desiderosa di trovare finalmente la pace eterna. L’opera di Camus ci fa ben comprendere che è il potere tout court a rappresentare il pericolo vero per l’uomo e non tanto chi lo esercita. È l’esercizio stesso del predominio sul mondo che piomba sugli esseri umani e li rende assoggettati a qualunque condizione.
Caligola è un uomo che volge lo sguardo in una miriade di specchi che frammentano il suo viso alienato dal dolore e lo fa diventare un mostro per troppo amore, dove alla luce delle candele tutto si fa più sinistro e crepuscolare. È il primo “passio” del Caligola che Araucaìma Teater (giovane e promettente Compagnia di Bergamo) fa rivivere sulla scena, primo di quattro “dalla luna”, in cui agisce un tiranno assillato dai suoi fantasmi. Il passio è quello della “disperazione”. Intorno a lui si agitano bianchi personaggi simili a marionette vestite di candidi vestiti e dalla faccia pallida, emaciata. Cercano il loro imperatore creduto scomparso. Sono Pietro Balbo, Elena Borsato, Miriam Gotti, Ilaria Pezzera e che interpretano i principali personaggi: Cesonia, Elicone, Scipione e Cherea. Le figure femminili assomigliano ad ectoplasmi eterei, fantasmi che riemergono dagli incubi di Caligola. Bravissime interpreti si muovono come manichini scomposti, spiritati. Lui, Caligola, riappare vestito di una consunta pelliccia e declama l’importanza dello Stato e delle sue leggi, esalta la morale, delira nel suo vaneggiare. I suoi sono passi senza una meta, scanditi da sentimenti di disperazione esistenziale, intervallati dalla passione insana.
Passione che lo porta alla fine ad indossare una corona di spine e urlare “io sono ancora vivo”, mutuando le sue sembianze in un Cristo salvifico. Una scelta che il regista Alberto Salvi crea sul finale del Caligola da lui stesso efficacemente interpretato, dove a prima vista parrebbe uno stravolgimento drammaturgico al testo originale di Camus, ma alla luce di quanto visto, ha una sua coerenza stilistica. Un demoniaco imperatore che sul finale assurge a ruolo di Gesù nel tentativo estremo di salvare il mondo sacrificando la sua stessa vita, si rifà ad un Caligola che sa di perdere e di aver mandato alla rovina tutto e non gli resta che il gesto fatale di terminare la sua triste esperienza terrena, unico modo per non annientare definitivamente la vita, l’umanità a cui lui stesso ha procurato tante sofferenze. Questo Caligola fa pensare. Alterna momenti epici a scene che hanno il compito di sdrammatizzare senza però mai venire meno il pathos e l’incombente tragicità del testo. Sono metafore che Caligola – Andrea Salvi ha inserito come quella dell’ improbabile set simile ad un reality show televisivo. L’imperatore è ospite insieme alla moglie definiti dal conduttore Pietro Balbo: “La coppia più tormentata del momento”. Pare una scelta per porre l’accento sul tema “sbatti il mostro in prima pagina”, in cui il dolore intimo e personale viene svenduto in televisione per fare audience. Il mostro Caligola è il mostro che alberga nel cinismo degli uomini che fanno di tutto per spettacolarizzare i sentimenti, anche quelli più dolorosi.
Il congiurato Cherea rivolgendosi ai senatori esclama: «Attraverso Caligola, per la prima volta nella storia, la poesia provoca l’azione e il sogno la realizza. Lui fa ciò che sogna di fare. Lui trasforma la sua filosofia in cadaveri. Voi dite che è un anarchico. Lui crede di essere un artista. Ma in fondo non c’è differenza. Io sono con voi, con la società. Non perché mi piaccia. Ma perché non sono io ad avere il potere, quindi le vostre ipocrisie e le vostre viltà mi danno maggiore protezione – maggiore sicurezza – delle leggi migliori. Uccidere Caligola è darmi sicurezza. Finché Caligola è vivo, io sono alla completa mercé del caso e dell’assurdo, cioè della poesia.»
E Caligola indossa un cappello da giullare per dire: “Prendete e bevete tutti, questo è il mio veleno offerto in sacrificio per voi”, la “Divinità di Caligola (terzo passio) diventa motivo di avanspettacolo, come un varietà, una commedia volutamente tragicomica, e questa è la scelta del regista di sfatare una certa moda di inscenare il Caligola dai toni solo ed esclusivamente drammatici. In un’atmosfera rarefatta dal suono del pianoforte di Lorenzo Perlasca, Pietro Bailo ha il compito di introdurre i “passio” dove scorrono i quattro movimenti “Disperazione, recita, divinità, morte”che compongono la drammaturgia e dove il regista ha scelto di inserire ex novo dei brani collegandoli ad una scelta musicale e vocale molto suggestiva. Gli attori interpretano dei canti popolari friulani di cui uno tradotto in latino e il suggestivo “Miserere di Sessa Aurunca”, una delle preghiere più famose del Cristianesimo. Un grido disperato di colui che si accorge di aver peccato e vuole chiedere perdono. Caligola è forse anche questo e come Skakespeare fa dire a Shilok nel Mercante di Venezia: “Perché i sentimenti, il massimo delle passioni, sono guidati da ciò che uno ama o da ciò che uno detesta”, anche per lui ciò che muove le sue azioni sono l’odio ma anche l’amore.
Caligola. Quattro passio dalla luna
da Albert Camus
Araucaìma Teater
con Pietro Balbo, Elena borsato, Miriam Gotti, Ilaria Pezzera, Alberto Salvi.
al pianoforte Lorenzo Perlasca
regia di Alberto Salvi
Visto al Teatro Studio di Scandicci – Zoom festival il 10 dicembre 2011