RUMOR(S)CENA – MILANO – Entrano in scena vestiti di bianco, si sistemano in fila di spalle e cominciamo a togliersi la camicia, per rimanere a petto nudo. Anche il palco è una scatola scenica di un bianco accecante che li avvolge costringendo il pubblico all’inizio a fare quasi fatica a distinguere i loro corpi, se non fosse per il colore nero dei loro folti capelli ricci, oppure le lunghe treccine stile “rasta” che ricadono lungo le spalle.
Una volta iniziata la musica e scoperte spalle e petto scolpiti dai muscoli, cominciano a danzare. Sono i ballerini della compagnia Hervè Koubi, in scena a Milano al Teatro Elfo Puccini per la prima nazionale di MilanoOltre, in esclusiva in versione italiana di “Boys don’t cry”, un pezzo dedicato al tema della danza fino a pochi anni fa vista ancora come una arte più adatta al “genere” femminile che a quello maschile.
Dal celebre film “Billly Elliot” ad oggi del fatto che, all’interno di una famiglia di una qualsiasi cultura, che sia di origine araba, ebrea o italiana non fa nessuna differenza, si coltivi lo stereotipo del maschio che fa calcio o yudo e la femmina danza, si è parlato da sempre moltissimo. In questa balletto però, creato dal coreografo franco algerino Hervè Koubi, l’originalità sta nel fatto di avere messo in scena una sorta di “terapia di gruppo danzata”, durante la quale sette ballerini, tutti di origine araba, alternano le loro riflessioni sulla danza raccontate al pubblico davanti ad un microfono (Pina Bausch insegna), a momenti di danza pura durante i quali la street dance e l’hip hop si intrecciano con la danza contemporanea e persino con la capoeira e le arti marziali.
Mentre in sottofondo le musiche originali di Stèphane Fromentin si alternano a commenti radiofonici di partite di calcio, brani di Diana Ross e canti tradizionali russi, i danzatori procedono “a stazioni”. All’inizio partono in gruppo uno vicino all’altro come un corpo unico che prima disegna linee geometriche verso l’esterno e poi ritorna verso il centro come in una implosione. Poi i movimenti iniziali, quasi a rallenty e a tratti classicheggianti, diventano all’improvviso più veloci, dinamici, i danzatori lavorano nello spazio in una sorta di sfida che simula quasi una partita di calcio, fino ad arrivare in una esplosione di sollevamenti, prese, rotolamenti e scavalcamenti che raggiungono l’apice del virtuosismo della break dance.
“Boys don’t cry” nasce a partire da un testo scritto appositamente dalla storica e scrittrice francese Chantal Thomas, allieva di Roland Barthes e da gennaio 2021 entrata a far parte dell’Olimpo dei grandi dell’Academie Francaise. Il testo racconta di una improbabile partita di calcio, di un parco giochi e della danza, facendone il pretesto per una riflessione nostalgica ma anche divertente sul significato del danzare, specialmente se sei un ragazzo che viene dal Nord Africa o dal mondo arabo. Dunque i sette giovani danzatori, che in occasione della prima nazionale al Teatro dell’Elfo hanno imparato e recitato il testo tradotto in versione italiana da Rino Achille De Pace e Ezio Sinigaglia, mettono a nudo con grande autenticità corpo e anima per così dire, trascinando il pubblico in un vortice di emozioni e buoni sentimenti legati all’amore per la figura materna e paterna, toccando in alcuni momenti anche il tema del bullismo..
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano il 3 ottobre 2021